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Autonomia a doppia velocità: 184 funzioni subito alle Regioni. Prevista un’accelerazione che potrebbe scardinare alla radice l’attuale ordinamento dello Stato


Delle ventitrè materie che la riforma Calderoli affida alla competenza esclusiva delle Regioni che ne faranno richiesta, nove potranno essere immediatamente affidate dalle Regioni dopo l’entrata in vigore del DDL dell’autonomia differenziata. Si tratta in particolare di:

  1. organizzazione della giustizia di pace
  2. rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni
  3. commercio con l’estero
  4. disciplina delle professioni
  5. protezione civile
  6. previdenza complementare e integrativa
  7. coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
  8. casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale
  9. enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Complessivamente sono 184 le funzioni statali assegnate alle Regioni attraverso le nove materie che possono essere immediatamente operative. Senza dover attendere il percorso previsto dalla determinazione dei Livelli essenziali delle Prestazioni (LeP).
Un pacchetto molto robusto delle funzioni complessive che sono destinate a transitare dallo Stato alle Regioni vengono rese immediatamente disponibili dalla riforma Calderoli. Ma va considerato che anche all’interno delle restanti 14 materie-LEP vi sono funzioni non-LEP di importanza tutt’altro che secondaria. Quali la contrattazione integrativa e la retribuzione in ambiti come la scuola e la sanità, che egualmente possono far parte della fase iniziale di attuazione della riforma.

Non esiste ancora una chiara contabilità delle funzioni che saranno considerate non LeP nell’ambito delle materie LeP: anche questo aspetto andrà chiarito nella fase di esecuzione, in una terra di mezzo che tenderà a riempire il piatto delle attività che il governo vorrà assegnare alla competenza esclusiva delle Regioni che intenderanno avviarsi su questo percorso.
La talpa frettolosa messa in azione con la legge procedimento sulla autonomia differenziata sta operando per scavare un profondo cunicolo di accelerazione, basato sul principio che scardinare l’attuale ordinamento determinerà poi l’inevitabilità di proseguire sul percorso di implementazione della riforma.

In qualche modo, mediante l’astuzia legislativa del Ministro Calderoli, si può immediatamente mettere in atto l’esecuzione del trasferimento di più della metà delle funzioni previste dalla autonomia differenziata alle Regioni. Mentre nei due anni successivi continuerà una discussione del tutto teorica sui Livelli essenziali delle Prestazioni. Non definiti i quali, l’inevitabile tagliola della riforma scatterà in ogni caso, mettendo tutti con le spalle al muro e costringendo alla applicazione del criteri di ripartizione della spesa storica, che favorisce le regioni settentrionali del nostro Paese.

Sfogliare la margherita delle istituzioni centrali è il meccanismo posto da base della firma sulla autonomia differenziata. La differenza introdotta riguarda sostanzialmente la unilateralità dei petali, che sono tutti destinati ad essere assegnati alle Regioni. Con un criterio di immediatezza per quanto riguarda le materie e le funzioni non LeP, fino a completare l’operazione nei due anni successivi, lasciando il gambo nudo ad un governo centrale che sarà guidato da un premier forte, successivamente alla entrata in vigore della riforma del premierato.

Sarà a quel punto amara la sorpresa di un capo del governo dotato di poteri formidabili, ma alla guida di una utilitaria sprovvista di ruote, motore ed acceleratore. Per chi ricorda le vicende dell’economia, possiamo paragonare l’incastro tra riforma del premierato e dell’autonomia differenziata a quello che successe al primo amministratore delegato della Telecom privatizzata, Gian Mario Rossignolo, che definì se stesso “very poweful CEO”, salvo poi a scoprire che praticamente non aveva alcuna effettiva possibilità di guidare l’azienda.

La furbizia con la quale è stata costruita la riforma sulla autonomia differenziata introduce criteri di asimmetria nel suo percorso di implementazione. La logica delle due fasi costituisce una forzatura destata ad influenzare anche il percorso successivo. Poiché, in tutta evidenza, il trasferimento immediato di funzioni non-LEP comporterebbe un assorbimento irreversibile di risorse rendendo definitivo il divario, così compromettendo la conformità dell’intero processo all’articolo 119, comma 3, della Costituzione.

Facciamo un esempio concreto. Se una Regione investe nel potenziamento dei giudici di pace riuscirà a dare una risposta più efficiente nella attuazione della giustizia civile, determinando per questa via l’allargamento di una forbice nei livelli essenziali delle prestazioni. Sarebbe in questo modo una dimostrazione plastica sulle caratteristiche di diseguaglianza che questa riforma è destinata a determinare. Invece di ridurre la forbice tra i territori, si andrà in direzione esattamente opposta.

Proprio la materia dei giudici di pace è diventata non LeP per effetto di un emendamento dei relatori del provvedimento nel corso della discussione in Senato. Per la Commissione Cassese si trattava invece di una delle materie per la quali era necessario definire Livelli essenziali di Prestazioni.
Come si può verificare da questo passaggio, l’intera architettura del provvedimento è guidata da principi precisi di volontà politica, e non è per niente sorretta da una analisi economica e giuridica sulla sostenibilità del percorso dal punto di vista della tenuta sotto il profilo costituzionale.

E’ esattamente questa la partita che si aprirà immediatamente a valle della approvazione parlamentare del provvedimento, quando le Regioni potranno formulare quesiti di costituzionalità. Le materie non LeP sono uno degli ambiti su cui si potrà esercitare l’analisi delle istituzioni territoriali che intenderanno verificare divanzi alla Corte Costituzionale l’aderenza della autonomia differenziata ai principi fondamentali della nostra Carta.


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