Roberto Calderoli
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La lega vuole fare presto sull’Autonomia differenziata: o si va in aula entro il 29 aprile o si sfascia il governo
Autonomia differenziata a tutti i costi. E a tappe forzate. La strada è segnata: per assecondare i desiderata della Lega, l’ufficio di presidenza della prima commissione Affari costituzionali della Camera ha stabilito anche una seduta notturna per il prossimo venerdì. Una corsa contro il tempo, negli spazi orari lasciati dalle votazioni per il Def.
L’ultima seduta con all’ordine del giorno la votazione delle proposte emendative è fissata per il 27 aprile, un sabato, caso più unico che raro per i nostri parlamentari che il giovedì pomeriggio lasciano il trolley in portineria, pronti a svignarsela. La deadline è fissata alle 18 in punto, quando, qualsiasi cosa accada, si voterà la delibera per dare mandato ai relatori a riferire in Assemblea. Tempi contingentati per gli interventi.
LO SCAMBIO STRAVOLGE LA COSTITUZIONE
C’è il diktat della Lega. O l’autonomia va in Aula il prossimo 29 aprile oppure si sfascia il patto di governo. Quasi in contemporanea l’omologa commissione Affari costituzionali del Senato terminerà l’esame del disegno di legge sul Premierato che così potrà continuare il suo cammino per la prima delle quattro votazioni in programma, così come è previsto dall’articolo 138 della Costituzione.
La Lega ha fretta. Si vota per le Europee. L’autonomia differenziata è il trofeo da offrire all’elettorato padano. E comunque andrà a finire, sia che il progetto presidenzialista vada avanti, sia che si areni strada facendo, indovinate a chi resterà in mano il cerino?
La risposta non è difficile, basta leggere le ultime dichiarazioni dei leader del Carroccio per capire dove si andrà a parare. In cambio del semaforo verde i leghisti vogliono che il resto del Paese conceda l’autonomia differenziata alle loro regioni.
Una pistola puntata, un ricatto vero e proprio – denunciato in tempi non sospetti da questo giornale – un “voto di scambio”, né più né meno di quello che il centrodestra sta denunciando a Bari. Se possibile, anche più grave, perché si tratta di una svendita (a prezzi stracciati, perché non c’è alcuna certezza che il Premierato vada in porto, mentre l’autonomia è un ordigno pronto a scoppiare). Una considerevole porzione geografica del nostro Paese condannata a rimanere in una condizione di perenne svantaggio.
Se fino a ieri le parti in commedia negavano l’evidenza – «nessuno scambio, presidenzialismo e autonomia sono due riforme distinte» – ora nessuno si nasconde più dietro un dito. Il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, lo ha detto chiaro e tondo. Fine degli infingimenti, patti chiari e amicizia lunga. Io do una cosa a te, tu ne dai una a me. Un mercato delle vacche – diciamolo – per stravolgere la Carta, nonostante nella maggior parte delle audizioni siano emerse le tante contraddizioni delle due abborracciate riforme.
RULLO COMPRESSORE SUGLI EMENDAMENTI
Prima ancora dei dubbi di natura squisitamente costituzionale – che lasciamo agli Ermellini – il Premierato non ha sciolto nodi essenziali. Tanto per citarne due: la nuova legge elettorale e il peso del voto degli italiani all’estero. Questioni non di poco conto, dunque, ma si va avanti comunque, a tappe forzate, qualsiasi costo, in nome di un patto. Le stesse modalità applicate per imporre il dissennato disegno di legge Calderoli, uno “Spacca-Italia” che favorirà la secessione dei ricchi.
Ora che il ddl 1665, partito dallo stesso binario del Premierato, la Commissione affari costituzionali di Palazzo Madama, è giunto all’ultimo miglio, il ricatto leghista è ancora più evidente. Lo scenario è quello che abbiamo anticipato più volte, ma è bene ripeterlo a beneficio di chi solo ora si stia rendendo conto del peso che avrà sul futuro del Mezzogiorno.
La Lega ha chiesto e ottenuto che il disegno di legge approdi in Aula il prossimo 29 aprile. Ovvero tra meno di una settimana. Significa cancellare in fretta e furia le audizioni già programmate e passare un colpo di spugna sui 2.400 emendamenti presentati dalle opposizioni.
Del resto – ha osservato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, costretto a scendere in campo dalle pressioni dei suoi – la maggioranza non ne ha presentato nessuno. Ecco, allora, che ieri, alle 11, la Commissione della camera presieduta da Nazario Pagano (Forza Italia) si è riunita per valutare quali emendamenti erano ammissibili e quali no. Terminato il lavoro, il presidente ha dato comunicazione e l’Ufficio di presidenza ha dettato i tempi per presentare eventuali ricorsi.
Fratelli d’Italia non nega che ci sia stata una forte accelerazione. «La democrazia è confronto, ma poi arriva il momento della decisione, e questo governo ha dato una forte impronta decisionale – rivendica Alessandro Urzì, deputato di FdI e relatore del ddl – Del resto il provvedimento è stato ben spiegato: senza finanziamento dei Lep non ci sarà alcuna possibilità di intesa con le Regioni che faranno richiesta di autonomia. Intese che comunque potranno essere annullate». E lo scambio Premierato-Autonomia? «Coincidenze nei percorsi tra due riforme che rientrano nei programmi della maggioranza».
LE MINACCE LEGHISTE CONTRO GLI ALLEATI
Non la pensano cosi molti esponenti di Fratelli d’Italia che, in questi giorni, in camera caritatis sussurrano opinioni molto contrastanti ma si piegano alla ragion di Stato. Per non parlare di Forza Italia, uscita allo scoperto con il leader Antonio Tajani finito al centro di una polemica per aver invitato i suoi a «vigilare» e aver chiesto più tempo.
Regalare agli elettori veneti e lombardi il sogno autonomista prima del voto delle Europee (8-9 giugno) rimane l’obiettivo di Matteo Salvini, incalzato dal governatore-doge Luca Zaia e dall’ala più integralista che agita il vecchio gonfalone bossiano.
Per lo stesso motivo i presidenti delle Regioni del Sud – in primis il calabrese Roberto Occhiuto – avrebbero preferito far slittare l’approvazione .
È bastato far correre la voce che gli azzurri avrebbero presentato un proprio emendamento correttivo per scatenare la reazione del Carroccio, arrivato a ipotizzare una rottura del patto di alleanza.
In contemporanea, come rappresaglia, sono arrivati i primi sgambetti. Che si tratti però di una vittoria di Pirro è assolutamente fuor di dubbio. Tutto dipenderà dalle intese, da quello che i ministri di Palazzo Chigi e Giorgia Meloni, cresciuta nella cultura identitaria e centralista, vorranno, bontà loro, ancora concedere.
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