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Le modifiche alle politiche sociali del governo Meloni hanno contribuito al calo della povertà in Italia nel 2023
Dalla riforma dell’assegno unico e universale per i figli a carico a quella del reddito di cittadinanza, fino al potenziamento dell’esonero parziale contributivo sul lavoro dipendente. Le modifiche alle politiche sociali introdotte nel 2023 dal governo Meloni – con revisioni al sistema di tasse e benefici, e la relativa compensazione tra tagli e aumenti – hanno, seppur di poco, aumentato l’equità nella distribuzione dei redditi disponibili.
La diseguaglianza del reddito primario, misurata attraverso l’indice di Gini, pari nel 2023 al 47,1%, dopo i trasferimenti e i prelievi si riduce al 31,7%. Era 31,9% nel 2022, prima cioè delle modifiche introdotte lo scorso anno. Un “taglio” quindi di 15,5 punti percentuali (10,8 punti “ad opera” dei trasferimenti, 4,6 del prelievo contributivo e tributario). Con un effetto redistributivo più marcato nel Mezzogiorno, dove si determina una riduzione della diseguaglianza di 16,9 punti percentuali. Di 15,2 e 14,2 rispettivamente nel Nord e nel Centro. Più importante è l’effetto sul rischio di povertà nel Paese, che si riduce di oltre un punto percentuale, passando dal 20 al 18.8%.
È quanto emerge dal rapporto dell’Istat su “La redistribuzione del reddito in Italia” targato 2023, che combina gli effetti delle modifiche entrate in vigore lo scorso anno sull’assegno unico e universale per le famiglie con figli a carico fino ai 21 anni, sul reddito di cittadinanza, inclusa l’introduzione del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) – e l’esonero parziale dei contributi previdenziali per i lavoratori dipendenti.
Della prima misura fruisce il 92,5% delle famiglie con figli under 22 anni. Con un importo medio dell’assegno pari 2.947euro – circa 245 euro al mese – che arriva fino a 3.765 euro e 3.740 euro per i nuclei meno abbienti (primo e secondo quinto di reddito primario). Le modifiche introdotte lo scorso anno hanno aumentato l’importo dell’assegno in media di 719 euro rispetto al 2022 – 60 euro al mese in più – per il 92,3% delle famiglie.
Una piccola percentuale di nuclei invece, il 7,7%, ha registrato un peggioramento del reddito, con una perdita media pari a 376 euro, circa 31 euro al mese, per via della riduzione delle compensazioni temporanee per l’assegno unico ai 2/3 dell’importo prevista per il 2023, sia perché nel 2022 erano ancora in vigore, seppure solo nei primi due mesi, le detrazioni per i figli a carico, l’assegno al nucleo familiare e l’assegno temporaneo, misure che nel loro insieme riguardavano una più ampia platea di famiglie.
La scure del governo Meloni sul reddito di cittadinanza ha tagliato – riducendolo o azzerandolo completamente – il beneficio per circa un milione di persone nel confronto con il 2022. La riduzione della platea è imputabile, spiega l’Istat, al miglioramento della loro situazione economica con il conseguente venir meno dei requisiti per l’accesso al beneficio, alla riduzione dei mesi di fruizione e alla flessione dell’adesione delle famiglie alla misura. Tra riduzione dell’importo e cancellazione, la perdita complessiva ammonta in media a 1.663, circa 138 euro al mese, incidendo in particolarmente sulle fasce più deboli.
L’esonero contributivo – con un taglio del fiscale passato da 2 a 7 per le retribuzioni lorde fino a 25mila euro e da 3 a 6 per quelle fra 25 e 35 mila euro – interessa 12 milioni di famiglie per un importo medio di 690 euro, al netto delle ricadute fiscali.
La decontribuzione comporta un miglioramento del reddito disponibile per circa 11 milioni di famiglie (il 43% di quelle residenti in Italia), con un guadagno netto di circa 537 euro rispetto a quello prodotto dalle misure in vigore nel 2022, che arriva a 569 e 630 euro per i nuclei della fascia centrale dei redditi (terzo e quarto quinto).
Per alcuni – poco meno di un milione di famiglie (3,8%)- il potenziamento del taglio del cuneo introdotto lo scorso anno ha determinato una perdita dovuta soprattutto al venir meno del diritto al trattamento integrativo dei redditi da lavoro dipendente conseguente al superamento – grazie all’esonero contributivo – della soglia di reddito di 28mila euro, con una maggiore incidenza nel terzo e penultimo quinto di reddito sia in termini di numero di nuclei familiari, sia di importo medio della perdita.
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