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Giorgia Meloni, presidente del consiglio

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LA QUIETE dopo la tempesta. Lo scontro tra Ue e governo italiano sembra essere rientrato. O almeno sembra così leggendo le parole che arrivano da un portavoce della commissione europea interpellato sullo stato delle trattative con Roma per lo sblocco della terza rata e le modifiche al piano italiano. «Sono in corso scambi costruttivi». E ancora: «Come regola generale, non commentiamo i disegni di atti legislativi nazionali» sottolinea sempre il portavoce in riferimento alla Corte dei Conti, ricordando che il regolamento sul Recovery fund «richiede un quadro di controllo su misura e proporzionato alla sua natura unica di programma di spesa dell’Ue». E sempre rispetto alle tensioni degli ultimi giorni da Bruxelles si fa sapere: «Ricordiamo inoltre che, nell’ambito del Pnrr, l’Italia ha posto in essere un solido sistema di audit e controllo per garantire la tutela degli interessi finanziari dell’Unione».

I decibel si sono abbassati e adesso il messaggio che si vuole fare veicolare suona così: «Comunicheremo la conclusione della nostra valutazione non appena raggiungeremo quella fase. Non è insolito impiegare un po’ di tempo oltre la scadenza indicativa, ad esempio è accaduto con le richieste di pagamento di Lussemburgo, Romania e Slovacchia». Insomma, non c’è nulla da preoccuparsi. Il braccio di ferro dello scorse ore sembra essere rientrato. Venerdì la Ue ha bacchettato l’Italia sul ruolo della Corte dei Conti (“monitoreremo con grande attenzione le misure”). E di tutto risposta Roma ha risposto all’ora di cena con una lunga nota piccata in otto punti per dire che le dichiarazioni dei portavoce di Bruxelles «alimentano le polemiche strumentali che non corrispondono alla realtà». In quei minuti si registrava un clima incandescente nell’asse Roma-Bruxelles. Di sicuro, una situazione di difficoltà comunicativa, ma se si vuole anche operativa. Con la terza rata sempre ferma al palo.

E ora? È stata solo una incomprensione tra l’esecutivo italiano e la commissione Ue? In questo contesto la maggioranza di governo continua a lamentarsi dell’atteggiamento dell’Unione europea. Il più duro è Carlo Fidanza, capodelegazione di Fd’I al Parlamento di Strasburgo: «Penso che da parte di alcuni alti funzionari ci sia una sorta di doppio standard: quello che a Draghi veniva ampiamente consentito, senza che qualcuno gli chiedesse conto di alcunché, con noi diventa oggetto di attenzioni occhiute». Tommaso Foti, capogruppo meloniano a Montecitorio, indossa i panni della colomba: «Qualcuno in Europa ha prima travisato, ma poi c’è stata una precisazione: hanno fatto un passo di lato». Ancora più ecumenici i toni dell’azzurro Maurizio Gasparri: «Credo che le precisazioni fatte dagli esponenti dell’Unione Europea abbiano chiarito la situazione. In ogni caso il nostro governo auspica i controlli più seri ed efficaci sulla gestione del Pnrr. Ma con alcune sagge proposte ha cercato di evitare la moltiplicazione dei controlli che servirebbe soltanto a paralizzare la gestione dei fondi del Pnrr».

Dall’altra parte il centrosinistra mette in luce le difficoltà del governo sul Pnrr. «Noi rischiamo di perdere dei miliardi dall’Europa perché non raggiungiamo gli obiettivi» è la tesi del Pd, Alessandro Alfieri. Duri anche i cinquestelle con Vittoria Baldino: «Il governo non vuole trasparenza sui fondi». Critiche anche da Azione con Osvaldo Napoli: «L’emendamento con cui il governo proroga di un anno e circoscrive l’area delle responsabilità penali per danno erariale, oltre a eliminare il controllo concomitante della Corte dei Conti, si sta rivelando per quello che è: un alibi per nascondere le inadempienze politiche dell’esecutivo».


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