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COSA potevamo aspettarci dall’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ordinario di Diritto Privato presso la Università di Firenze ma senza una storia legata ad una consolidata esperienza politico – amministrativa e, soprattutto, sostenuto da uno schieramento, quello del Movimento 5 Stelle, convinto di essere all’interno di un Paese di lestofanti, di essere approdati in un Parlamento da cambiare e possibilmente da rivedere nella sua dimensione numerica e nella sua funzione. Insomma non poteva capitare di peggio, non poteva esserci una situazione più critica e pericolosa di quella che ha caratterizzato la prima esperienza del neofita Professor Conte.

Quindi lo scusiamo per quello che ha fatto e per quello che non ha fatto sia con il primo Governo che con il secondo; purtroppo sono le imprevedibilità della democrazia: consentire a tutti di governare anche se privi delle cognizioni basilari di ciò che sia la gestione della cosa pubblica. Quasi tre anni persi, tre anni ricchi solo di annunci carichi di ottimismo sia per l’enorme volano di risorse ottenuto dalla Unione Europea, sia per la immediata attivazione della macchina dello Stato per rispondere ai vincoli temporali imposti al PNRR dalla Unione Europea . Annunci ottimistici offuscati solo da quelli legati alla tragedia della pandemia.

In conclusione la esperienza “Conte” è solo una tragica esperienza caratterizzata da una illusione procedurale sull’avanzamento del PNRR e da una continua emergenza legata al dramma della pandemia. Poi è arrivato il presidente Mario Draghi, con un passato davvero encomiabile: prima Direttore Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, poi Governatore della Banca d’Italia e poi Presidente della Banca Centrale Europea, cioè un vero ed unico riferimento completo di ciò che definiamo una eccellenza istituzionale. Appena insediato Draghi si accorge subito che il PNRR andava rivisitato integralmente e tenta di avviare una simile operazione e, devo dare atto, rende quanto meno difendibile il Piano ed accettabile anche il quadro delle riforme che fa parte integrante del Piano stesso. In tale operazione un grande ruolo viene svolto dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco in modo particolare per la ricerca, sin dal 2021, di procedure capaci di leggere in anticipo lo stato reale di avanzamento delle proposte, dei progetti ed è proprio il Ministro Franco a rendersi conto che il PNRR conteneva un elenco di proposte che difficilmente sarebbe stato possibile completare entro il 31 dicembre del 2026 ed è il primo rappresentante del Governo che nell’estate del 2022 a Cernobbio precisa: “Dobbiamo distinguere le proposte legate al breve termine da quelle legate al medio termine e mentre per le prime dovremo fare di tutto per rispettare la scadenza imposta dalla Unione Europea, per le seconde dobbiamo confermare il nostro impegno ad attuarle nel medio termine”. Il Ministro Franco aveva capito ampiamente che si era in presenza di un Piano costruito dal precedente Governo senza il rispetto di due condizioni basilari: la governance unica e la organicità delle proposte.

Sulla governance unica in più occasioni ho avuto modo di denunciare la esplosione di sedi e di competenze che hanno solo aumentato le inerzie e l’azzeramento della coscienza legata del “fattore tempo”; mentre sulla organicità delle proposte va riconosciuto che tale carenza, o meglio, tale assenza era dovuta al fatto che il PNRR era stato concepito come sommatoria di proposte, come sommatoria di progetti finalizzati a utilizzare le risorse della Unione Europea e quindi privi di ciò che invece intendiamo per organicità della proposta stessa.

Devo dare atto al Presidente Draghi che nel mese di aprile del 2022 si è reso conto che la serie di assicurazioni sull’avanzamento dell’intero PNRR, prodotto dai vari Ministri competenti, non rispondeva a quelle scadenze temporali indicate dalla Unione Europea e che molti Ministri del suo Governo avevano ampiamente fornito inquietanti assicurazioni sull’avanzamento del Piano e sul rispetto delle scadenze legate alle riforme mentre rimaneva ancora critica, solo parzialmente, la concreta attivazione della spesa. Ebbene in Consiglio dei Ministri del mese di aprile il Presidente Draghi chiese ai suoi Ministri un cambiamento sostanziale sia sul reale controllo dell’avanzamento delle proposte, sia sulle forme mediatiche con cui veniva raccontato l’intero avanzamento. D’altra parte eravamo in presenza di un Governo di unità nazionale e, quindi, il Presidente Draghi pur avendo preso atto della incapacità di alcuni Ministri della sua squadra, non poté, in nessun modo, invocare un interim. Tuttavia da quel momento, cioè dal mese di aprile del 2022, dette mandato al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Garofoli di monitorare con una cadenza quasi settimanale l’avanzamento non solo delle riforme ma anche della concreta attivazione della spesa.

Ho voluto riportare questa sequenza di eventi e di competenze per arrivare al momento attuale in cui tutto esplode nelle mani del Ministro Fitto, tutto esplode nelle mani di questo Governo e questa presa d’atto di un misurabile momento critico, lo viviamo non solo per la vicinanza alla scadenza del 31 dicembre del 2026 ma anche per la impossibilità di poter ottenere le future rate, infatti fanno davvero paura le seguenti scadenze: entro il prossimo 31 agosto il Piano dovrà prendere la sua forma definitiva entro la fine di giugno sempre di questo anno vanno completate 27 tra milestone e target entro la fine del corrente anno dovranno essere rispettati 69 atti riformatori tra cui il taglio dei tempi di pagamento in tutte le Pubbliche Amministrazioni, la riduzione delle distanze tra l’aggiudicazione delle gare e il reale avvio delle opere, ecc. entro l’anno dovranno essere rispettati 96 obiettivi al cui sono collegati due rate dell’importo globale di 34 miliardi di euro Ed ho ritenuto opportuno soffermarmi a lungo su questa susseguenza storica anche perché sono rimasto sconcertato dalle dichiarazioni del Capo gruppo del Partito Democratico al Senato Francesco Boccia sul comportamento del Ministro Fitto; Boccia ha precisato tra l’altro: “La tecnica del rinvio, del prendere tempo per guadagnare tempo, deve finire. Perché il tempo sul PNRR ha un costo che l’Italia non può permettersi di pagare. Questo continuo rimandare le scadenze produce un terribile effetto domino sul Piano e le dure osservazioni contenute nelle raccomandazioni della Commissione europea lo ribadiscono. Meloni ha vinto le elezioni promettendo una revisione del PNRR. Sono passati sette mesi, la nuova governance voluta da Fitto non ha prodotto alcuna svolta e Bruxelles attende ancora di conoscere le nostre intenzioni sulla riforma del PNRR. L’Italia di Meloni ha già dilapidato il patrimonio di credibilità costruito a Bruxelles nel recente passato”.

Devo essere sincero non solo sono rimasto sconcertato ma, per un attimo, ho pensato che si trattasse di una omonimia, cioè che il Francesco Boccia capo gruppo del PD al Senato fosse un altro diverso dal parlamentare Francesco Boccia nato a Bisceglie ed anche ex Ministro del Mezzogiorno, cioè di un parlamentare che aveva direttamente ed indirettamente partecipato a dare vita al fallimento attuativo del PNRR; di un parlamentare che ora attacca l’operato di un Ministro che cerca in tutti i modi di salvare uno strumento che oltre ad essere costruito male è stato gestito malissimo. Mi fermo qui, voglio solo precisare, come ho tra l’altro avuto modo di dire pochi giorni fa, che tutto questo, tutta questa rincorsa per recuperare una gestione deludente del passato, non preoccupa solo il nostro Paese ma soprattutto la Unione Europea.


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Alessandro Chiappetta

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