La ministra Daniela Santanchè e la premier Giorgia Meloni
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Dopo il rinvio a giudizio per il ministro Daniela Santanchè per falso in bilancio. Meloni in fibrillazione per evitare il rimpasto
Il ministro del Turismo Daniela Santanchè andrà a processo per falso in bilancio delle società del gruppo Visibilia. La decisione del gup di Milano arriva poco dopo mezzogiorno di un venerdì nero al di là della superstizione del numero diciassette. Con lei anche altre quindici persone, tra cui il compagno Dimitri Kunz, la sorella Fiorella Garnero e altri parenti e amici che hanno avuto ruoli nella Visibilia srl ora in liquidazione. Il gup Anna Magelli ha accettato tre patteggiamenti, tra cui quello dell’ex consigliere di amministrazione Federico Celoria.
SANTANCHÈ, LE GIRAVOLTE DI GIORGIA
La prima udienza è prevista il 20 marzo e arriva a quasi tre anni dall’inizio delle indagini e dopo otto mesi di udienza preliminare. Il rinvio a giudizio trasforma automaticamente il ministro in imputata e questo è un problema politico che guasta definitivamente la missione della premier Meloni ad Abu Dhabi, dove il summit sulle energie sostenibili era coinciso con il suo compleanno.
Se giovedì il veleno era arrivato dalla Lega con il messaggio «giù le mani dal Veneto», venerdì arriva da casa, dai Fratelli. Daniela Santanchè infatti è in quota Fratelli d’Italia e, soprattutto, è la seconda testa di quel binomio lombardo inattaccabile e indivisibile che la vede con Ignazio La Russa guidare il partito in Lombardia.
Ma i problemi per Meloni non finiscono qui. Quando era leader dell’opposizione ha chiesto le dimissioni di chiunque venisse anche solo indagato. Uno su tutti: Matteo Renzi. Per non parlare del caso Bibbiano. Diventata premier, Meloni ha mutato l’approccio: dimissioni solo se c’è rinvio a giudizio, se da indagati si diventa imputati.
Daniela Santanchè fu nominata ministro a fine ottobre 2022 quando era già indagata. «Nessun problema – spiegò – se e quando dovesse andare a giudizio, sapremo essere conseguenti». Una settimana fa, nella conferenza stampa di inizio anno – vedete, alla fine, quante domande i giornalisti hanno fatto – le è stato chiesto nuovamente quali conseguenze ci sarebbero state se il 17 gennaio ci fosse stato il rinvio a giudizio. «Valuteremo il da farsi quando avremo la decisione del giudice» è stata la risposta.
IL PROCESSO
Insomma, col passare del tempo l’equazione imputato= dimissioni si è come svuotata, è stata quasi rinnegata. Vedremo. Essere imputati non vuol dire essere condannati. Ma questo è un principio che deve valere sempre e non solo quando conviene.
La notizia porta con sé, quindi, l’ennesima grana politica per Giorgia Meloni. Mentre le parole “rimpasto” – Santanchè sarebbe il terzo ministro sostituito dopo Sangiuliano e Fitto che da solo teneva tre deleghe – e “nuova fiducia” sibilano all’orecchio della premier.
Veniamo al processo, il primo di un pacchetto di indagini che riguardano la ministra e il gruppo Visibilia, nato dagli esposti di un gruppo di piccoli azionisti per presunte gravi irregolarità nella gestione. Santanchè è stata il dominus del gruppo dal 2014 alla fine del 2021.
La procura è convinta di aver ricostruito un «disegno criminoso» per cui chi all’epoca aveva ruoli apicali avrebbe omesso «ogni attività di accertamento» sui bilanci della spa Visibilia Editore, società quotata in Borsa, con il fine «di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto» e l’effetto finale di «indurre in errore gli investitori e mettere a rischio la continuità della spa».
La ministra è accusata di false comunicazioni sociali come ex amministratrice e presidente. Nonché «soggetto economico di riferimento» del gruppo editoriale, che pubblicava, tra gli altri, Novella 2000.
SANTANCHÈ, LE INDAGINI
Le indagini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Milano nacquero sulle denunce di alcuni soci di minoranza. Tra cui il finanziere Giuseppe Zeno (parte civile insieme a due piccoli azionisti) e riguardano i bilanci 2016-2022. Per l’accusa sarebbero stati «truccati» per sette anni per nascondere «perdite» milionarie, per permettere al gruppo di rimanere in piedi, ingannando gli investitori e continuare a trarre «profitto» da aziende ancora attive.
Una delle contestazioni “chiave” è quella relativa all’iscrizione «nell’attivo dello stato patrimoniale» nei bilanci della spa Visibilia Editore, dal 2016 al 2020, dell’avviamento (il valore intrinseco della società, ndr) «per cifre che vanno dai 3,2 ai 3,8 milioni senza procedere alla integrale svalutazione già nel dicembre 2016». Secondo i pm «tutti sapevano e tutti hanno taciuto» delle presunte gravi irregolarità sui conti e della crisi di Visibilia.
Tutti, a partire dall’imprenditrice poi senatrice e poi ministra. Scrive il gup nel decreto che dispone il giudizio: «Le prove raccolte dalla Procura di Milano sono tutte pienamente utilizzabili ed escludono la possibilità di emettere una sentenza di non luogo a procedere».
I CAPI D’ACCUSA
Santanchè ha sempre creduto di poter evitare il processo e, anche nell’aula del Senato, ha negato ogni responsabilità mostrando grande sicurezza e certezza. «Lo dite voi che sarò rinviata a giudizio, io non credo proprio» sfidava i giornalisti.
Ieri, tramite il suo avvocato Nicolò Pelanda, ha detto di essere «molto perplessa» e ha ribadito che non c’è mai stata «alcuna operazione di maquillage», non è mai stato «nascosto alcunché» e i soci sono sempre stati «informati sulle perdite».
La decisione di ieri mattina è solo la prima di un bouquet di spine nelle mani della ministra. Il 29 gennaio la Cassazione dovrà decidere sulla competenza tra Milano o Roma sul caso in cui Santanchè con altri risponde di truffa aggravata ai danni dell’Inps per la cassa integrazione in Visibilia durante il periodo Covid. La senatrice di FdI è anche indagata per bancarotta dopo il fallimento di Ki Group srl, società della galassia del bio-food un tempo guidata dalla senatrice. Fallimento che a dicembre 2024 ha riguardato anche Bioera, società del gruppo: anche qui ci sono profili di bancarotta al vaglio.
Ci sono altri due casi che sfiorano la parlamentare: quello relativo alla compravendita della villa di Forte dei Marmi di Francesco Alberoni, acquistata da Kunz e da Laura De Cicco, moglie del presidente del Senato La Russa, e il caso Negma, un fondo con base negli Emirati e alle British Virgin Islands.
La segretaria Pd, Schlein, è stata la prima ieri a chiedere le dimissioni della ministra.
LE OPPOSIZIONI
«Giorgia Meloni deve pretendere le sue dimissioni perché non può usare due pesi e due misure, soprattutto verso gli amici che lei ha voluto al governo e per cui adesso è politicamente responsabile».
A ruota sono arrivati Conte, Bonelli e Fratoianni, durissimi. Calenda chiede dimissioni «non per il rinvio a giudizio, che non è una condanna, ma perché Santanchè ha portato al fallimento una società e perché i fatti sono compatibili con una carica importante come quella del ministro del Turismo». Matteo Renzi e Iv restano fedeli al principio per cui si è colpevoli solo al terzo grado di giudizio.
Nella maggioranza, il primo a fare muro è stato Salvini: giù le mani da Santanchè. Poi Forza Italia. Meloni manda avanti il fedelissimo Fidanza. Le decisioni saranno prese dal presidente del Consiglio nei prossimi giorni. Di sicuro, al terzo ministro sostituito, si dovrà parlare di rimpasto, nuova fiducia. Insomma, un Meloni bis.
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