L'intervento di Giorgia Meloni ieri in Senato
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LA GIORNATA più lunga di Giorgia Meloni inizia al mattino negli studi di Agorà su Raitre: n’intervista a tutto tondo sui temi di stretta attualità politica, interna ed estera, Putin e guerra in Ucraina compresa. Prima di tutto, una notizia sulle elezioni europee che si celebreranno fra 80 giorni. «Per me una vittoria sarebbe confermare i voti che mi hanno portato a Palazzo Chigi un anno e mezzo fa, cosa non facile: non accade spesso che dopo un anno e mezzo un governo possa confermare quel consenso». Confermare il consenso delle politiche del 2022 significa attestarsi attorno a una percentuale del 26%. «Un modo per mettere le mani avanti?» si chiedono i più maliziosi in Transatlantico.
Fatto sta che l’occasione dell’intervista con Roberto Inciocchi serve all’inquilina di Palazzo Chigi per inviare un messaggio all’esterno: «I miei rapporti con il presidente Mattarella sono ottimi, lo ringrazio perché non fa mancare mai il suo sostegno non tanto al governo, ma alla nazione. È un rapporto che gestiamo direttamente, personalmente: chi briga per comprometterlo temo che resterà deluso».
RIFORME ED ECONOMIA
Non manca la polemica con la sinistra: «Si è indignata perché ho detto che le tasse non sono una cosa bellissima, ma lo confermo». Siamo in campagna elettorale, ça va sans dire. Un passaggio è dedicato alla riforma costituzionale. «Entrerà in vigore nella prossima legislatura. Praticamente, tra una cosa e l’altra, nel 2028. Ora, nel 2028 sono contenta che la sinistra dia per scontato che ci sarà ancora Giorgia Meloni, si vede che non si vedono proprio messi benissimo… Ma, insomma, non lo darei per scontato. E dico di più: nel 2028 anche il mandato del presidente Mattarella sarà verso il termine, quindi questa riforma non riguarda né Giorgia Meloni né Sergio Mattarella».
Capitolo economia. «Oggettivamente l’Italia è cresciuta lo scorso anno più della media europea, una cosa che non si vedeva da moltissimo tempo, in una situazione di estrema difficoltà sta dando buona prova di sé. Questo vuol dire che va tutto bene? No. Vuol dire che le nostre politiche danno risultati migliori di quelle che abbiamo visto prima? Probabilmente sì». L’orgoglio meloniano si trasferisce poi in Senato per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del prossimo fine settimana. «Ci avviciniamo – dice – a uno degli ultimi Consigli europei di questa legislatura e, superato lo scoglio della revisione del Patto, una parte molto significativa verterà sui grandi temi della politica internazionale e si partirà dal tema dell’invasione russa». E dunque «ribadiremo il nostro sostegno all’Ucraina».
MELONI, PUTIN E L’UCRAINA
Quanto alla proposta di Emmanuel Macron di un intervento diretto delle truppe Nato, Meloni si oppone fortemente: «Ribadisco anche in quest’Aula che la nostra posizione non è favorevole a questa ipotesi foriera di una escalation pericolosa da evitare a ogni costo». Non ci sarà un intervento diretto ma Meloni ci tiene a sottolineare che non intende sedersi al tavolo con Vladimir Putin. Ed è qui che forse sembra prendere di mira chi, come Matteo Salvini, continua ad accarezzare il filo-putinismo: «Come ci si può sedere al tavolo delle trattative con chi non ha mai rispettato gli accordi?». Dopodiché, sulla cooperazione con Kiev aggiunge: «Non si tratta dell’impegno a fornire armi, ma di un’intesa che riguarda una cooperazione a 360 gradi, come è naturale che avvenga con uno stato che ha avviato il processo di ingresso nell’’Unione europea».
Non a caso, subito dopo Giorgia Meloni rivendica il ruolo dell’Italia, e dunque del suo governo, per l’allargamento dell’Europa all’Ucraina: «Voglio cogliere l’occasione per rivendicare con orgoglio il ruolo che il nostro governo ha svolto, dapprima nel Consiglio del dicembre scorso per contribuire a sbloccare il negoziato per l’avvio del percorso di adesione dell’Ucraina alla Ue, e poi nel Consiglio straordinario di febbraio, per favorire una soluzione positiva proprio sulla revisione del quadro finanziario pluriennale, comprensivo di un adeguato stanziamento per l’Ucraina, ma anche di risorse fondamentali per affrontare alcune delle principali questioni di nostro interesse, dal sostegno alla competitività. fino alla lotta all’immigrazione illegale».
E ancora: «Non era una trattativa facile, e probabilmente non avrebbe avuto questo epilogo se avessimo seguito i consigli di quanti, anche in quest’aula, da tempo sostengono che non si debba dialogare con tutti, ma solo con alcuni, in questa bizzarra idea di un’Europa distinta tra nazioni di serie A e altre di serie B. Pare che la linea vincente, e più utile all’Italia, oltre che alla comune causa europea e occidentale, sia invece quella sostenuta da chi – come me – ha sempre considerato tutti i partner europei degni di rispetto e considerazione».
Un tema, quello dell’allargamento dell’Unione europea, sul quale «l’Italia ha investito molto». La premier ha poi detto che si lavorerà affinché lo stesso Consiglio arrivi a esprimere una «posizione autorevole» sul conflitto in corso tra Israele e Hamas finalizzata alla risoluzione della guerra. «Non possiamo dimenticare chi è stato a scatenare questo conflitto: è stato Hamas».
LA MINA SALVINI
Eppure il rumore di sottofondo dell’aula del Senato è solo uno: «Presidente, come la mettiamo con Salvini?». Francesco Boccia, capogruppo Pd, è il più diretto: «Meloni è ambigua rispetto alle affermazioni di Salvini su Putin». Già, il vicepremier della Lega. Assente in aula. E perché? «Avrà avuto qualche impegno» mette le mani avanti Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega a Palazzo Madama. Il ministro leghista, lunedì, si è espresso a favore del successo di Putin. Un’affermazione che ha costretto l’intero Esecutivo a prendere le distanze. Ed è forse per tal ragione se Meloni, in replica agli interventi dell’aula, rivendica l’unità dell’Esecutivo: «In politica estera la maggioranza è compatta senza tentennamenti».
Non ci sta il dem Filippo Sensi: «In Europa è il premier ungherese Orban a fare gli interessi di chi frena sull’Ucraina, nella vostra maggioranza lo fa la Lega, e a poco vale dire che poi si vota tutti insieme. Se in un coro c’è una stecca si sente, e i pannicelli delle smentite o delle rettifiche non coprono la vergogna. La vergogna!».
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