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Il ministro Roberto Calderoli

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La legge sull’autonomia, il decreto Spacca Italia, tanto cara alla Lega e a Calderoli bocciata anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio

PER lo Spacca-Italia le bocciature non finiscono mai e l’ultima è ancora più cocente perché arriva all’indomani dell’approvazione in Senato del disegno di legge Calderoli: a pronunciarla non è stata l’opposizione, bensì un organo terzo: l’Ufficio parlamentare di bilancio nell’audizione che si è tenuta ieri a Palazzo San Macuto. Il professor Giampaolo Arachi, componente dell’Upb, ha elencato punto per punto le incongruenze dell’Autonomia differenziata, legge bocciata che ora passerà all’esame della prima commissione Affari costituzionali della Camera.

SENZA PEREQUAZIONE NIENTE LEP

La Commissione parlamentare per le questioni regionali, dove ieri Arachi ha tenuto la sua relazione, è un organo prevalentemente consultivo. E in quanto tale sta conducendo un’indagine conoscitiva sulla determinazione e sull’attuazione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni). Senza i Lep – da 20 anni oggetto oscuro del desiderio e inattuati – pensare di portare a termine il progetto federalista è pura utopia. Definirli e finanziarli vorrebbe dire garantire in tutte le regioni italiane gli stessi diritti sociali e civili. Chi non vorrebbe questo? Ma servono risorse. E qui casca l’asino e crolla l’impalcatura del provvedimento. Un federalismo a costo zero, o meglio – per dirla nel linguaggio del Mef – a invarianza di bilancio. Arachi, in un recente passato presidente della Commissione tecnica fabbisogni standard, (Ctfs) ha messo il dito nella piaga. «Lep e fabbisogni – ha detto Arachi – sono strettamente collegati e non possono essere determinati in modo indipendente: sono necessari il coordinamento tra i due processi e la collaborazione fra le strutture tecniche e gli organi competenti».

Altro punto chiave è la perequazione – prevista dalla legge 42/2009 – senza la quale non sarà possibile realizzare, e dunque quantificare, i Lep. Su questo punto il consulente di Upb è stato chiarissimo. «A distanza di due anni dalla data stabilita per il termine della ricognizione, quest’ultima non è stata ancora fissata, e la dotazione finanziaria del fondo per la perequazione infrastrutturale, in origine pari a 4,6 miliardi di euro, è stata ampiamente ridimensionata». Non sappiamo se al ministro per gli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli, a questo punto siano fischiate le orecchie. È un fatto, però, che la legge sull’autonomia approvata il 16 gennaio scorso dalla maggioranza non ha retto al primo confronto con la realtà incontrovertibile dei numeri a prova e quindi bocciata.

AUTONOMIA BOCCIATA: LA VERIFICA DELL’UPB

Il provvedimento è stato più volte modificato, ritoccato e poi di nuovo modificato per le pressioni interne alla stessa maggioranza. Il risultato finale è un pasticcio, il frutto di mediazione e correttivi imposte dai senatori di Fratelli d’Italia costretti a ingoiare il rospo pur di incassare il Premierato. Per la cronaca: il fondo citato ieri da Arachi è stato definanziato di 3,5 miliardi. Ergo: si va nel senso opposto, un assist per quelle regioni del Nord che vogliono trattenere sui propri territori il maggior gettito Irpef e Iva e gestire in proprio materie ora di competenza dello Stato. La legge fissa in 24 mesi l’arco di tempo in cui deve avvenire la ricognizione e dovranno essere determinati i Lep. Il Comitato Clep, creato ad hoc e guidato dal costituzionalista Sabino Cassese, si è portato avanti e ha definito le materie cosiddette «leppizzabili». Sono stati lasciati fuori settori importanti, come il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la protezione civile o la previdenza completare e integrativa. L’unica materia per la quale i livelli minimi sono stati già definiti è la Sanità (Lea). Ma proprio i Lea, che sono attualmente in corso di definizione – ha chiarito Arachi – dimostrano quanto siano complesse le verifiche sull’erogazione dei Livelli essenziali delle prestazioni. Le criticità stanno nella frammentazione delle procedure e nella difficile stima dei costi.

«La definizione dei Lep – ha sostenuto il professor Arachi – assume valenze diverse a seconda che avvenga nell’ambito delle competenze degli enti territoriali o in quello dell’autonomia differenziata. Nel primo caso, i livelli storici di fornitura non seguono criteri uniformi sul territorio e sono solitamente differenziati». L’introduzione di un Lep comporterà dunque in questo caso un potenziamento delle prestazioni lì dove il livello è più basso. Che si traduce nella necessità di nuove risorse. Nelle regioni in cui verrà applicata l’autonomia differenziata – ha continuato Arachi – i Lep riguarderanno in prima battuta le prestazioni erogate dallo Stato con criteri tendenzialmente uniformi sul territorio, ed è improbabile perciò che vengano riequilibrati e modificati».

LA COMPATIBILITÀ CON LA COSTITUZIONE

Arachi ha fatto l’esempio dell’Istruzione, materia che fa gola a regioni che hanno richiesto l’autonomia, come il Veneto e la Lombardia. La più rilevante in termini di spesa. E ha paventato l’eventuale definizione di nuovi Lep per servizi che attualmente non sono uniformi. Uno su tutti: il tempo pieno. Dove sono le risorse per garantirlo su tutto il territorio nazionale? Attuarlo vorrebbe dire assumere personale docente, offrire il servizio mensa, allungare l’orario di servizio del personale non docente, bus navetta ecc, ecc. Chi paga tutto questo? Senza dire che il ddl leghista introduce nuove procedure per individuare i Lep: decreti legislativi approvati dal Parlamento e bypassa l’intesa in Conferenza unificata che in questo modo viene ridimensionata e potrà esprimere solo un parere.

Non era certamente competenza del professor Giampaolo Arachi introdurre la vera critica che si può fare nei confronti dello Spacca-Italia: la sua compatibilità con la nostra Carta costituzionale. Un vulnus che si trascinerà anche nei prossimi mesi. «Richiamandomi alle audizioni che si stanno tenendo in Parlamento – è questa la perfetta sintesi finale fatta da Vincenzo Presutto, ex vice-presidente della Bicamerale per l’attuazione del federalismo – con poche parole e in modo diretto posso dire che la legge sull’autonomia di Calderoli è in parte inattuabile e in parte incostituzionale e per questo bocciata».


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