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La manifestazione ad Acca Larentia

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RICORDARE a 45 cinque anni di distanza l’omicidio a sfondo politico di due giovani attivisti di destra aderenti al Fronte della Gioventù, aggrediti a Roma in via Acca Larentia nella sede del loro partito politico, il Movimento sociale italiano, certamente non può essere deplorato. Anzi, risponde a un dovere esprimere un netto giudizio di condanna di questo, come di ogni altro omicidio politico, commemorando chi ne è rimasto vittima. Con quelle uccisioni non solamente si è arrecata l’offesa, la più grave e irreparabile, alla vita delle persone, si è anche sostituita la violenza al dibattito, al confronto, anche alla più accentuata contrapposizione delle idee, che caratterizza la democrazia.

IL COMPITO DEI MAGISTRATI

Posto questo punto fermo, possono essere discutibili le modalità con le quali avviene il ricordo di un atto esecrando e la commemorazione delle vittime, modalità che possono essere tali da sminuire, oscurare o addirittura contraddire il valore positivo di una manifestazione che si proponga quegli obiettivi positivi. Come appunto sembra accadere per la manifestazione organizzata nella ricorrenza dell’omicidio di via Acca Larentia, se si è caratterizzata per elementi che possono configurare un reato che le nostre leggi prevedono, punendo «chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista».

Le immagini di via Acca Larentia apparse sui giornali e sugli schermi televisivi mostrano una riunione organizzata, in un ordine che appare nelle file proprie di una “adunata”, con espressioni verbali e gesti, quale il saluto romano dei partecipanti, che erano usuali nelle manifestazioni del partito fascista. È compito della magistratura valutare se effettivamente le modalità con le quali è stata organizzata e si è svolta la manifestazione configurino un reato. La corretta definizione dei contorni dei reati in questo ambito, che nella più diffusa percezione viene caratterizzato dal saluto romano, si potrà avvalere di una decisione che dovrà adottare il 18 gennaio la Corte di cassazione a Sezioni unite, avendo come riferimento un analogo episodio avvenuto a Milano per ricordare l’uccisione di un giovane militante del Fronte della Gioventù. Il fondamento della disciplina penale risiede nella stessa costituzione, che nelle sue disposizioni finali stabilisce che «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

È evidente la finalità di escludere che si compiano atti orientati a realizzare o promuovere la riorganizzazione di un movimento politico caratterizzato da elementi ideologici contrapposti ai principi cui si ispira la costituzione e incompatibili con questa.

NO ALLE ENFATIZZAZIONI DI VIA ACCA LARENTIA

In attuazione della richiamata disposizione della costituzione, la legge ha definito in modo ampio la riorganizzazione del partito fascista, individuata quando «un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista». In questo contesto i reati di apologia del fascismo, come pure di partecipazione a pubbliche riunioni compiendo atti usuali del partito fascista.

Quale che sia la rilevanza penale delle manifestazioni che la cronaca ci ha offerto, il loro rilievo non va enfatizzato, cosa probabilmente non sgradita a chi le ha promosse. Ancora meno si può ritenere che nel nostro Paese la democrazia sia in pericolo o che sia alle porte una involuzione autoritaria. Le istituzioni democratiche hanno anticorpi adeguati per fronteggiare un simile ipotetico rischio. Lo hanno mostrato nei momenti più duri degli anni di piombo, delle stragi e del terrorismo, superati preservando le libertà, senza inammissibile rottura o sospensione delle garanzie costituzionali. Garanzie che operano anche con riguardo alle leggi di revisione costituzionale, che non devono essere in contrasto con i principi supremi della stessa costituzione e possono essere oggetto del giudizio della Corte costituzionale.

*Presidente emerito della Corte costituzionale


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Alessandro Chiappetta

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