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Matteo Salvini, ministro dei Trasporti e leader della Lega

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SI SONO ritrovati a Palazzo Chigi alle 12.30 per riannodare i fili di una maggioranza che si stava sfaldando sulla Finanziaria e Giorgia Meloni ha voluto guardare negli occhi i vicepremier di Lega e Forza Italia Salvini e Tajani. «Mi raccomando, niente scherzi». I due azionisti di minoranza della coalizione di governo non potranno presentare emendamenti alla Finanziaria. Il diktat meloniano è stato vidimato da Lega e FI. Un confronto durato due ore, dopo cui Palazzo Chigi diffonde una nota che fotografa un Esecutivo solido e in salute. «Dall’incontro è emersa la grande compattezza e determinazione delle forze di maggioranza che ha consentito di varare una manovra finanziaria improntata alla serietà e alla solidità dei conti pubblici, che nonostante il contesto difficile riesce a ridurre la pressione fiscale sul ceto medio-basso, a sostenere le famiglie e imprese».

Il testo, a questo punto, potrà essere trasmesso al Parlamento, «dopo il necessario drafting e la firma del capo dello Stato». Obiettivo: procedere spediti, così da completare l’iter prima di Natale, addirittura prima della consueta festa di Atreju. Senza dimenticare, ovviamente, che l’Esecutivo terrà conto «con grande attenzione del dibattito parlamentare e delle considerazioni delle forze di opposizione e di maggioranza».

UNITÀ SBANDIERATA IN MAGGIORANZA

Già, la maggioranza: ha ritrovato la sintonia dopo ore di passione con Lega e Forza Italia. Forza Italia, la più infuriata con la premier, ha ottenuto le dovute garanzie sugli affitti brevi. Gli azzurri si dicono infatti soddisfatti per «l’istituzione del Cin (Codice di identificazione nazionale, da utilizzare obbligatoriamente per gli affitti brevi e per le offerte tramite le piattaforme informatiche. I benefici realizzati dall’emersione – quantificata in oltre un miliardo – sono destinati alla riduzione della pressione fiscale. La cedolare secca resta al 21% per il primo appartamento dato in affitto breve. Dal secondo – intestato allo stesso proprietario – passa al 26%. Il governo si è fatto carico di analizzare il finanziamento della tv pubblica Rai, al fine di sostenere il piano industriale triennale di rilancio dell’azienda. Il governo terrà conto del dibattito parlamentare e delle considerazioni delle forze di maggioranza e opposizione». Salvini, dall’altra parte, aveva già ricevuto un “contentino” sulla riforma delle pensioni e sul ritorno a quota 103, seppur con dei correttivi. Ed è su queste note che i leader archiviano la manovra. Niente emendamenti, quindi? Ufficialmente Forza Italia e Lega si dicono allineati alla presa di posizione della premier, che nella riunione avrebbe detto: «Quando si decide di fare un percorso insieme, non capisco le polemiche esterne… Manteniamo una linea comune, non ci sfaldiamo».

I RETROSCENA DELLA MAGGIORANZA

Parole a metà strada tra uno sfogo e un monito, cui ha fatto eco il ministro dell’Economia, Giorgetti: «La manovra tiene conto dei mercati, delle richieste della Ue ed è compatibile con le risorse disponibili». Eppure c’è chi sostiene che dietro l’apparente tregua in maggioranza, Lega e Forza Italia nascondano una trappola. Secondo una fonte qualificata, azzurri e salviniani avrebbero già un accordo con l’opposizione: «Tutti gli emendamenti che non possiamo depositare li affidiamo a voi che potrete presentarli…». Se fosse vero questo retroscena del Palazzo, l’iter della legge di Bilancio potrebbe rallentare già in Commissione, dove i numeri della maggioranza non sono limpidi. Non è un caso che, in questo contesto, Meloni si serva del vertice di maggioranza per rilanciare la riforma costituzionale sulla forma di governo.

In una seconda nota firmata Palazzo Chigi si legge: «Dal vertice di maggioranza «è emersa la piena condivisione del progetto di riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Il testo del disegno di legge sarà esaminato dal Consiglio dei ministri di venerdì 3 novembre». È l’elezione diretta del premier la principale novità della riforma della ministra Elisabetta Casellati. Viene altresì previsto un sistema elettorale di tipo maggioritario con un premio del 55%, assegnato su base nazionale che assicurerebbe il 55% dei seggi nelle Camere ai candidati e alle liste collegate al candidato premier eletto. In virtù della riforma, e stando alle bozze, il capo dello Stato non avrebbe più il potere di nomina del premier (come prevede oggi l’articolo 92), ma quello di conferire l’incarico al premier eletto, mentre manterrebbe il potere di nomina dei ministri, su indicazione del capo del governo.

PREMIERATO E MUGUGNI IN LEGA E FORZA ITALIA

Si prevede inoltre una norma antiribaltone: qualora il premier si dimetta o decada dal proprio ruolo, il presidente della Repubblica può assegnare l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un altro parlamentare eletto e collegato al presidente del Consiglio. Un modo per garantire continuità alla legislatura senza ricorrere al voto e che farebbe saltare il meccanismo della sfiducia costruttiva. Per ora non si sa se la novità resterà nel testo definitivo. Infine, potrebbe saltare anche un’altra prerogativa del presidente della Repubblica: il potere di nominare i senatori a vita. In ogni caso la riforma garantirebbe che gli attuali senatori restino in carica fino alla fine del mandato.

Meloni accelera, dunque, sul premierato. Raccontano che la mossa sia utile a far dimenticare una manovra finanziaria senza fuochi d’artificio che sconfessa il programma elettorale e le promesse degli ultimi anni. Una mossa che non lascia tutti felici. E se è vero che le truppe di Forza Italia esultano per la riforma costituzionale, che è uno dei pallini della narrazione berlusconiana, c’è chi invece storce il naso. Dalle parti di via Bellerio sono più i mugugni che altro. I leghisti lamentano: «Che fine ha fatto la riforma dell’autonomia? Cosa diciamo ai nostri elettori del Nord?».


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