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Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

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IL MONITO del presidente della Repubblica fa vibrare i sentimenti più profondi dei democratici, un appello accorato probabilmente suscitato dagli accadimenti cupi che toccano la Democrazia occidentale sotto assedio dall’esterno e dall’interno. L’Italia, che purtroppo spesso eccelle anche in esempi di esagerazioni senza provarne disagio, ha probabilmente spinto Sergio Mattarella ad una riflessione che in questo quarto di secolo nessun importante protagonista della nostra Repubblica ha voluto toccare. Infatti, non è un caso se il suo ragionamento parte dal principio di “un uomo, un voto”. È proprio dalla limpidezza ed efficienza di questo elementare aspetto che regola il suffragio universale del voto che dipende il funzionamento di una Democrazia oggi sotto assedio.

Tuttavia, sull’espressione della volontà dell’elettore nella scelta del proprio rappresentante territoriale in Parlamento, il degrado è assai avanzato. Le leggi elettorali, man mano, hanno spostato il potere di scelta dal cittadino ai Partiti, che ben presto hanno trascurato l’indicazione costituzionale di essere palestre e veicolo di partecipazione, e si sono trasformati in gran parte in comitati elettorali ed organizzazioni personali con il potere di collocare in Parlamento essi stessi i candidati, complici leggi elettorali varate dalle maggioranze politiche sempre sotto il rinnovo del Parlamento.

Persino la Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente ammesso il ricorso denuncia di Mario Staderinied altri. Va da sé che una Democrazia Parlamentare, quale siamo, nel compromettere il concetto di “un uomo, un voto”, manomette il funzionamento dei cardini della nostra Repubblica. Il primo riguarda due dei tre poteri dello Stato: quello legislativo, governativo e giudiziario, da tenere assai distinti tra loro. Ma se uno schieramento dell’attuale bipolarismo condotto da un capo di partito vince le elezioni, avendo scelto esso stesso i parlamentari, si ritrova il potere di controllo di due dei tre poteri dello Stato. Assoggettare successivamente anche la Magistratura sarà cosa assai facile, rendendo divelte le colonne della Democrazia concepita e regolata dalla Costituzione. L’altra questione riguarda l’istituzione suprema della Repubblica: la sua presidenza. Con parlamentari non indicati dai cittadini dei territori ma dai capi partito, l’autorevolezza e forza del Presidente della Repubblica viene compromessa. Dunque, dovremmo comprendere che continuando così, verranno sempre di più meno gli equilibri delicati che reggono il funzionamento delle nostre istituzioni.

Bisogna dire che negli anni, nella forsennata ricerca di successi elettorali, le dirigenze politiche hanno smarrito il senso del loro ruolo costituzionale, ed ecco perché, ultima arrivata, ora siamo alle prese con un’altra picconata alle fondamenta della Repubblica: la elezione diretta del premier, che si vorrebbe giustificare con l’esigenza di governabilità. Ma da questa nuova trovata, però, conseguenza della somma di cecità di un quarto di secolo, rischia di condurci alla deriva. Un tema di tal fatta deve fare i conti con la revisione delle leggi elettorali limpide, con altri poteri di equilibrio rafforzati, con il consenso alto degli elettori tutti che ricordiamo per più della metà non va a votare per le ragioni che prima si sottolineavano.

Ed allora, dalle parole di Mattarella sui rischi che corriamo, si sono già depositati presso la Cassazione i quesiti referendari con il motto “io voglio scegliere”. Si annunciano da altri quelli della autonomia differenziata e contro il premierato, ma in assenza di cittadini che possano scegliere loro i parlamentari, il teatrino italiano della politica sarà sempre aperto, e naturalmente con la compromissione ulteriore della buona politica e di una democrazia sotto assedio.


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