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Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini

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La nuova governance si muove nella direzione giusta. Esprime la intuizione strategica di politica estera ponendo al centro i 4 Mediterranei partendo dall’Africa. Si misura con polveriere a cielo aperto, armi e soldi a usura delle autocrazie, ma può vincere con lo spirito della nostra Carta di Napoli di un partenariato non colonizzatore e grandi investimenti sul capitale umano. La proposta di premierato alza la bandierina della Terza Repubblica, ma non dà la reale direzione al Presidente del Consiglio eletto e impone per il Capo dello Stato un consenso più rappresentativo dello stesso Parlamento.

Il premierato proposto è una riforma senza fiato. Alza una bandierina: eleggiamo direttamente il Presidente del Consiglio ed entriamo nella Terza Repubblica, ma possiamo non sciogliere le Camere se lo cambiamo perché prevediamo l’ipotesi di un nuovo incarico a un parlamentare della stessa maggioranza. La sintesi è che si pensa a un esecutivo anche con la riforma che non è sotto la reale direzione del Presidente del Consiglio eletto. Forse, si poteva fare tutto un po’ meglio con la sfiducia costruttiva che ovviamente avrebbe funzionato se si fosse scelto il modello tedesco del cancellierato.

Si è piantata una bandierina nel dibattito dell’arena politica senza un reale costrutto. Non è detto che la bandierina non possa diventare per strada una bandiera, questo va auspicato, ma si è persa la possibilità di fare in partenza una bella riforma condivisa sul cancellierato per correre dietro gli interessi di Salvini e di altri quattro gatti. Anche il tema del Presidente della Repubblica, nonostante gli sforzi dialettici e pratici compiuti per rispettarne il gradimento popolare come figura istituzionale e l’integrità del ruolo di garanzia, si pone comunque.

Perché nel momento in cui fai eleggere direttamente dal popolo il Presidente del Consiglio o fai eleggere allo stesso modo anche il Presidente della Repubblica, generando un evidente tasso di confusione, o ti preoccupi di garantire al Capo dello Stato un consenso di nomina molto più rappresentativo del parlamento integrandolo con una componente rafforzata di rappresentanti designati da Regioni e Comuni, dei grandi corpi sociali, della società civile e della stessa Chiesa. Perché preservi una legittimazione più alta che bilanci il nuovo equilibrio di potere tutelando il peso dell’autorità massima di garanzia della Repubblica.

C’è, invece, una bandiera issata dal governo Meloni che questo giornale condivide senza se e senza ma. Riguarda il manifesto del Piano Mattei che con i suoi riferimenti fondanti al partenariato strategico con i Paesi africani – esprime una cultura finalmente non colonizzatrice e pone al centro il capitale umano – i grandi investimenti nell’energetico, nelle rinnovabili e nella manifattura, ricalca alla perfezione i punti della nostra Carta di Napoli. Che è il frutto del lavoro meticoloso, svolto da un advisory board di primaria grandezza voluto dal Quotidiano del Sud-l’ALTRAVOCE dell’Italia, alla base delle conclusioni del primo festival euromediterraneo dell’Economia (Feuromed) tenuto a Napoli l’anno scorso con Commissione e Parlamento europei. Si ripeterà ad aprile dell’anno prossimo, sempre a Napoli, come arena di confronto a tutto campo con le massimi voci dell’economia, della politica e della finanza nazionali e internazionali allargando il raggio di analisi e di proposta a tutti e quattro i Mediterranei ed avendo come tema unificante il nuovo Sud italiano motore di pace e di sviluppo.

La nuova governance del Piano Mattei con cabina di regia e struttura di missione voluta da Palazzo Chigi si muove nella direzione giusta. Lo abbiamo già detto più volte, ma non abbiamo difficoltà a ripeterlo, questa del Piano Mattei e del nuovo rapporto con i quattro Mediterranei espressione dei Sud del mondo, è la più grande intuizione strategica di politica estera di Giorgia Meloni. Si misura con la polveriera a cielo aperto di Gaza, in Medio Oriente, e l’espansionismo autocratico che ha portato russi e cinesi ad espugnare perfino l’en – clave occidentale del Niger in Africa, ma resta l’unica strada realmente percorribile per il mondo occidentale se vuole sintonizzarsi sul nuovo asse strategico dei traffici commerciali e dell’economia globale. Storia e geografia si muovono insieme a favore del Sud italiano come porta dell’Europa nel Mediterraneo e come centro, non più periferia, del mondo capovolto.

Dobbiamo porci da oggi il problema, come stiamo già facendo come Feuromed mettendo in contatto le università del Marocco e della Giordania con quella di Napoli, di costruire la nuova classe dirigente del nuovo Mediterraneo. Nonostante bombe, strage di civili, stupri, sgozzamenti, armi dei russi, soldi a usura dei cinesi, un mondo arabo palestinese in ebollizione e la grande alleanza dei terrorismi. Bisogna avere la forza e l’intelligenza di investire sul capitale umano e sullo sviluppo che sono insieme le radici dell’albero della pace e l’antidoto più efficace contro la cultura autocratica che vuole dividere il mondo in due baricentri e portarlo a uno scontro di civiltà e di religione che rade tutto al suolo. Dio ce ne scampi.


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