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Forse il Codice degli Appalti non è adatto per rispondere ad una serie di esigenze: servono nuovi strumenti per affidare le opere pubbliche
Forse dovremmo ripensare alla modalità con cui affidiamo la realizzazione di opere pubbliche, quanto meno di alcune tipologie, sì dovremmo avere il coraggio di ammettere che forse il Codice degli Appalti, pur con una vita di un anno, non solo è obsoleto ma non adatto per rispondere ad una serie di esigenze, ad una serie di fattori che hanno modificato integralmente il brodo entro cui si muove un mondo, quello delle costruzioni, che per una serie di motivazioni, nell’arco di soli dieci anni, si è modificato in modo sostanziale. Ma cerchiamo di capire ed analizzare quali siano i veri elementi di una simile rivoluzione; ne elenco solo alcuni ma penso che siano sufficienti per capire la dimensione del “cambiamento”:
- Il PNRR, o meglio le risorse del PNRR, rappresentano l’ultimo volano finanziario che lo Stato ha avuto a disposizione per completare opere già iniziate o opere da finire entro i prossimi due anni. Le prossime Leggi di Stabilità partiranno con una quota obbligata di 12 miliardi di euro per il contenimento del debito pubblico (una quota fissa per i prossimi sette anni) ed una quota di circa 15 miliardi per il taglio del cuneo fiscale. Ricordo che 27 miliardi è stata la media delle risorse previste negli ultimi anni dalle Leggi di Stabilità e quindi penso che in futuro sarà difficile prevedere rilevanti assegnazioni pubbliche per interventi nel comparto delle infrastrutture;
- In quasi un decennio, dal 2015 al 2023 sono fallite 130.000 imprese di costruzione a causa di un blocco negli investimenti in opere pubbliche. Una scelta adottata dai vari Governi che si sono succeduti e che hanno preferito erogare risorse in conto esercizio per supportare il “Reddito di Cittadinanza”, il “Quota 100”, ecc, In realtà in quasi dieci anni gli investimenti in opere strategiche non hanno superato il valore globale di circa 30 miliardi di euro;
- Il “Superbonus 110%” in edilizia ha praticamente drogato il mercato delle costruzioni ed ha illuso l’intero comparto ed al tempo stesso ha ulteriormente distrutto il potenziale tesoretto futuro dello Stato per interventi nel comparto delle infrastrutture;
- È scomparso del tutto l’interesse del “privato” ad essere promotore di iniziative nel comparto delle infrastrutture; abbandonate o rimaste ferme alla soglia di Memorandum of Understanding le ipotesi di Partenariato Pubblico Privato;
- La tecnica, o meglio, le modalità legate allo strumento della “concessione” mai aggiornate e sono rimaste ferme ad indicatori e a formule superate come il Weighted Average Cost of Capital (WACC) (Determinazione del tasso di remunerazione del capitale investito) utilizzato in modo particolare nelle concessioni autostradali;
- I fattori esogeni che hanno fatto praticamente esplodere i costi ed hanno reso spesso irreperibili le materie prime ed hanno contestualmente amplificato le incertezze, quali le guerre in Ucraina, Israele, Mar Rosso;
- Un cambiamento sostanziale nei rapporti tra Stato e Regioni; in modo particolare tra lo Stato e le Regioni del Mezzogiorno soprattutto nella definizione e nella gestione dei programmi legati ai Fondi comunitari come quelli relativi ai Fondi di Sviluppo e Coesione (FSC)
Ed allora mettere in gara un’opera caratterizzata da un determinato valore e da realizzare in un preciso arco temporale, con una serie di vincoli e di penalità in caso di inadempienze, diventa davvero una esperienza contrattuale rischiosa e poco conveniente. In realtà la Pubblica Amministrazione mette in gara opere ignorando che le mutazioni, le variazioni sostanziali diventano il riferimento che rende ingestibile, nel tempo, la commessa. In realtà penso che il sistema assicurativo, in presenza di una simile situazione diventerà, sempre più costoso e, forse, ingestibile.
Insomma di fronte a questa elevata elasticità del sistema è, a mio avviso, difficile ricorrere a strumenti come l’ultimo Codice degli Appalti; o meglio è quanto meno rischioso, per opere complesse e con un arco temporale di realizzazione lungo e con la non certezza della copertura finanziaria, rimanere fermi ad uno strumento concepito, senza dubbio correttamente, ma non adeguatamente strutturato per rispondere alla serie di fattori esogeni prima elencati. In realtà dovremo confrontarci con quattro specifiche condizioni:
- La carenza di risorse pubbliche;
- Il ricorso al “canone di disponibilità”;
- La necessità di ricorrere al coinvolgimento di privati attraverso forme di Partenariato Pubblico Privato ed attraverso il sostegno e l’incoraggiamento della figura del “promotore”;
- La rivisitazione dello strumento della concessione.
Cercherò di essere più chiaro ricorrendo ad un esempio: il nuovo asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria ha un costo di circa 19 miliardi di euro; questo è un importo che lo Stato potrà garantire solo in un arco temporale lunghissimo e, cosa ancor più grave, questa scelta non consentirà la realizzazione di altre opere urgenti e fondamentali in altre realtà del Paese.
Ed allora le Ferrovie dello Stato dovrebbero identificare un modello contrattuale che preveda come pagamento dell’intervento una rilevante concessione nell’uso di un numero rilevante di nodi stazione ferroviarie grandi, medie e piccole. Questa è un’ipotesi tutta particolare perché affronta trasversalmente una forma di concessione, un modo di pagamento articolato su due distinti fronti: una parte viene garantita ricorrendo al “canone di disponibilità” (cioè, dopo la collaudazione dell’opera e la messa in esercizio della stessa, le Ferrovie pagano un canone annuale come copertura di una parte degli investimenti) ed una parte attraverso la concessione dell’uso di un numero di stazioni per un arco temporale definito.
Penso che questo esempio, a cui potrei aggiungerne tanti altri, contenga le quattro condizioni dette prima; sicuramente molti diranno che l’attuale Codice degli Appalti consente già tutto questo, non lo metto in dubbio, la mia è solo una provocazione; il mio, in realtà, è un tentativo per convincere le varie stazioni appaltanti ad utilizzare simili strumenti, simili procedure perché ormai le tecniche tradizionali, legate a bandi di gara garantiti da risorse pubbliche, soprattutto per grandi interventi, diventeranno sempre più rare e se non ricorriamo subito a queste nuove forme rischiamo, non solo di bloccare interventi fondamentali, ma di compromettere investimenti fondamentali proprio nel Mezzogiorno del Paese.
Una realtà territoriale, quella del Mezzogiorno, che ha una esigenza programmatica di interventi strategici per circa 60 miliardi di euro, di cui 30 miliardi già inseriti nei vari Contratti di Programma (come esposto in una mia nota di un mese fa), ma che, allo stato, non sarà facile assicurare finanziariamente proprio per i vincoli che caratterizzeranno le prossime Leggi di Stabilità.
La mia, ripeto, è una provocazione ma penso utile per evitare un rischioso blocco degli investimenti nel comparto delle infrastrutture.
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