Il neo governatore della Regione Liguria, Marco Bucci
4 minuti per la letturaIl voto nella Regione Liguria, testa a testa fino alla fine: il centrodestra ce la fa per un soffio, il Pd è il più votato. Crollo del M5s
Un testa a testa al cardiopalma. Centrodestra e centrosinistra appaiati. Fino all’ultima sezione. Alla fine si vincerà di corto muso, per usare un’espressione cara a Massimiliano Allegri. Alle otto di sera esce allo scoperto Claudio Scajola, sindaco di Imperia, vecchia conoscenza del centrodestra berlusconiana, ancora un punto di riferimento per la politica ligure: «Bucci ha vinto. Sarà un grande presidente della Liguria. Dal Ponente, che ha dato un grande contributo, gli giungano migliori auguri di buon lavoro».
Sembra fatta. Forse sì. Le proiezioni fin lì fotografano Marco Bucci avanti di un punto percentuale. Anche lo spoglio reale, che procede a rilento, registra il sorpasso del sindaco di Genova. Circa duecento voti separano la destra dalla sinistra.
Per tutto il pomeriggio nessuno si sbilancia fino alle 8 di sera. Tutti i leader restano silenti, almeno fino a quando questo giornale va in stampa. Solo Maurizio Lupi, che guida Noi Moderati, scommette sulla vittoria del centrodestra: «La Liguria viene da 9 anni di buon governo, oggi si parla di modello Liguria e modello Genova, prima no. Siamo ancora nell’ambito del limite di errore, ma sono abbastanza convinto che si consoliderà questo testa a testa con la vittoria di Bucci».
Elly Schlein entra al Nazareno attorno alle 16. 30, promette ai cronisti che entro sera parlerà e accenna un sorriso. D’altro canto può vantare di aver fatto svettare il Pd al 28%, primo partito in assoluto. Oltretutto a Genova città il centrosinistra ha stravinto la partita con gli avversari.
Affluenza bassa, al 45.96%, otto punti meno la precedente tornata regionale del 2020.
Di sicuro sulla partecipazione avrà pesato l’inchiesta giudiziaria che ha travolto i vertici della Regione innescando le dimissioni di Giovanni Toti. Ed è forse anche per questa ragione se nell’epicentro dell’inchiesta, Genova, l’equilibrio si è spostato verso la coalizione di Schlein.
Nel frattempo c’è un dato che appare inconfutabile: il crollo del M5S. I Cinquestelle si fermano attorno al 4%. Una percentuale che acuisce la distanza tra il leader Conte e il garante Grillo. Quest’ultimo non si è recato ai seggi e da oggi gli potrà dire: «Il Movimento non esiste più e non è certo colpa mia».
Un po’ di numeri. Primo partito, come si diceva, il Pd al 27%. Segue quello della presidente del Consiglio, Fratelli d’Italia, al 15%. Lega e Forza Italia divisi da un punto percentuale, che veleggiano attorno all’8%, Alleanza Verdi e Sinistra al 6%, M5S al 4.5%. E poi una serie di liste civiche. Fra le altre: vince Liguria del centrodestra al 9.5 e Orlando presidente al 5%.
Una partita che si gioca sul filo. Ma è un match importante per gli equilibri nazionali. Fino a poche settimane fa il centrosinistra pensava di vincere e di assestare una mini spallata all’esecutivo. Non a caso la scelta della coalizione presieduta di Elly Schlein di puntare su un pezzo da novanta: Andrea Orlando, spezzino già ministro della Giustizia e del Lavoro, altissimo dirigente del Nazareno. Un profilo che ha cercato di allargare la coalizione anche alla parte più centrista e moderata del centrosinistra. Il riferimento è a Matteo Renzi, il leader di Italia viva che negli ultimi mesi si è riavvicinato al centrosinistra. Ma Conte ha posto il veto nei confronti di Renzi e di conseguenza il perimetro della coalizione di centrosinistra si è ristretto. È dipeso da questo? Forse sì.
A sera sbotta il renzianissimo Francesco Bonifazi: «Se penso che il centrosinistra per colpa di Conte ha rifiutato Italia viva… Finirà per qualche centinaio di voti. E dire che solo Renzi alle Europee ha preso in Liguria 6.500 voti di preferenza. E Paita altri 4.200. Che follia». Segno che da oggi inizierà una resa dei conti nell’ex campo largo.
Una partita dirimente anche per l’altra parte del campo. La squadra avversaria, la coalizione di centrodestra, viene da settimane di passione travolta dal caso Boccia-Sangiuliano, lo scontro con la magistratura, la manovra di bilancio. E infine l’inchiesta di Report che ha innescato le dimissioni del capo di gabinetto del ministero della Cultura.
Se confermato il vantaggio di Bucci, Giorgia Meloni stapperà di sicuro lo champagne. Una vittoria che le consentirebbe di rifiatare, spostare l’attenzione, e ridare forza a una coalizione che continua a primeggiare e ad essere in qualche modo compatta. Insomma, non ci sarebbero solo i sondaggi a certificare lo stato di salute della coalizione di governo. Meloni potrebbe corroborare i numeri degli istituti di ricerca con la riconquista di una regione dirimente per la narrazione del centrodestra.
Certo, preoccupa il dato dell’affluenza che continua a decrescere. E preoccupa anche alla maggioranza, in vista della prossima tornata in Umbria ed Emilia Romagna. Ne è consapevole il viceministro di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami: «L’affluenza è la cosa più importante perché al di là di ogni valutazione di parte che normalmente si porta avanti è importante che ci sia l’affluenza maggiore».
Si superano le otto di sera. La vittoria del centrodestra sembra vicina. Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, confida: «Ho sentito i nostri sul territorio, siamo abbastanza fiduciosi. Il divario tra Bucci e Orlando è ancora troppo basso, quindi, meglio aspettare. Abbiamo fatto una corsa con l’handicap grazie alla magistratura e alla Rai…». Anche dalla Lega filtra `«ottimismo». La notte è lunga. E se sarà vittoria sarà di corto muso. Come piacerebbe a Massimiliano Allegri. E non solo a lui.
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