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M5s, il “day after” senza Beppe Grillo cambia gli scenari per il Pd che nel “divorzio” tifa per Giuseppe Conte


Niente più consulenza per chi «si è reso responsabile di una contro-comunicazione» ai danni del Movimento 5Stelle, ha scolpito Giuseppe Conte nel corso dell’intervista per l’ultimo libro di Bruno Vespa. Botte da orbi.
Fine dei rapporti con il Garante e fondatore del M5S. La soap opera grillina si arricchisce di un colpo di scena che non lascerà tutto come prima. Conte e Grillo non riescono a convivere, si lasciano bruscamente.
A dire il vero, il rapporto non è mai stato idilliaco, ma adesso siamo ai titoli di coda e non si torna più indietro. Non si parlano da mesi, solo per interposta persona o attraverso i post o le interviste.
Insomma, tutto finito. Difficile che la ferita questa volta possa rimarginarsi. In Transatlantico i parlamentari si aggirano più che spaesati. Perché in fondo la domanda nasce spontanea: «Che cosa sarà il Movimento 5 Stelle senza Grillo?».

Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, assiste all’ultima scena della soap da spettatore e ammette, accennando un sorriso ironico: «Il rapporto tra i due è al capolinea? E alla fine ne resterà solo uno? Sì, un solo elettore – scherza – Battute a parte, penso che la strada sia segnata, ora manca il passaggio nell’assemblea costituente, dove verrà approvato la proposta di Conte di far fuori Grillo anche come garante».
Casaleggio junior è spietato nei confronti dell’attuale leader del Movimento: «Credo che Conte citi mio padre a sproposito, non ha niente a che fare con lui. Non è più compatibile con quella storia. Fanno bene ad avviare un nuovo partito, con un nuovo nome e un nuovo simbolo: è inutile fingere di ispirarsi a principi che sono stati disattesi per tre anni».

I TENTENNAMENTI VERSO IL PD

Tutti contro tutti. Prima di tutto Grillo out. Per sempre? Pare di sì. Tanti sospettano che il comico abbia in canna di ricostruire una nuova cosa populista che si basi sul grillismo della prima ora. Alessandro Di Battista, che per certe frange del Movimento rappresenta il vero erede di Grillo, osserva con attenzione le prossime mosse del Garante. In privato, Dibba si dichiara pronto «a varie ed eventuali». Tradotto, significa che “Ale” potrebbe anche mettersi alla testa di una nuova compagine grillina.
Allo stesso tempo l’avvocato del popolo non compirà dei passi indietro. Ha sottolineato che «qualcosa si è incrinato in maniera irreversibile» e che «umanamente sono rimasto colpito da come si comporta, mi ha rattristato moltissimo».
Inizia una nuova fase per il Movimento. Prima c’è stato il Vaffa, poi il governismo, adesso l’opposizione con l’obiettivo dichiarato di tornare a governare.

Il rapporto con Elly Schlein è costellato di alti e bassi. Ci sono giorni in cui Conte apre al Partito democratico e al centrosinistra, altri in cui mantiene una linea autonoma né di destra né di sinistra. Nel mondo dem c’è chi, come l’eurodeputato Matteo Ricci, fa il tifo per l’attuale leader del M5S: «Ci auguriamo che Giuseppe Conte mantenga saldamente la guida del MoVimento 5 Stelle, perché ha espresso la volontà che il suo partito sia nel centrosinistra. Guardiamo al dibattito interno al MoVimento con grande rispetto, sperando che non ci siamo divisioni. La forza del principale alleato rimane, per il Partito democratico, assai importante. Il Pd non gode mai dei problemi dei suoi alleati, perché la forza dell’alleato è la forza del campo che stiamo costruendo assieme, quello del centrosinistra».

Al Nazareno il rapporto con il M5S di Conte viene dato per solida e l’alleanza cosa fatta. Anche perché, tanti si domandano, «ma dove deve andare?». Larga parte del gruppo dirigente del Movimento che si divide fra Camera e Senato non ha alcun dubbio che i 5Stelle debbano stare all’interno della coalizione di centrosinistra.
Il più dubbioso resta proprio Conte, forse perché non accetta di essere partner di minoranza – il Pd è al 24%, il M5S al 9-10% – e perché in caso di alleanza con Schlein dovrebbe cedere lo scettro della coalizione alla segretaria, vedendo così allontanare il ritorno a Palazzo Chigi.

DECISIVO L’IMPATTO DELLE REGIONALI

Da questo punto di vista, le elezioni in Liguria rappresentano un test per la coalizione di centrosinistra. Anche se sono un piccolo campione, l’ex campo largo si gioca tanto, se non tutto. Anche perché fino a qualche settimana fa il centrosinistra sembrava più che favorito dalle inchieste giudiziarie che hanno travolto i vertici della Regione. Ecco perché una vittoria di Andrea Orlando, che sfida il sindaco di Genova Marco Bucci, rafforzerebbe il rapporto tra Pd e Cinquestelle. Perché in quel territorio Pd e 5Stelle hanno siglato un patto accompagnando alla porta Matteo Renzi e Italia viva.
Cosa diversa se avvenisse il contrario, perché si azzererebbero gli attuali equilibri di coalizione. E ritornerebbe a farsi sentire l’ex rottamatore. Già, Renzi. L’ex premier invocherebbe un cambio di passo a Elly Schlein: o noi o il M5S. Un diktat che metterebbe in difficoltà i vertici del Nazareno, anche perché riderebbe rifiato anche all’ala riformista del Pd che non aspetta altro. Grande caos all’orizzonte, insomma. E le tensioni nei 5Stelle non aiutano certo il centrosinistra.


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