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L’intervento in Parlamento in vista del Consiglio europeo, l’arringa di meloni non convince l’Aula e ora si teme per Fitto che per il Governo è vitale che venga riconfermato


Dopo una dozzina di Consigli europei, e altrettante comunicazioni al Parlamento, ha imparato. Ieri, tra Camera e Senato, non s’è vista la Giorgia 1 – istituzionale e consapevole del ruolo di premier quando legge l’intervento – seguita poi da Giorgia 2, un po’ dottor Jekyll e Mr Hyde, la capopopolo sguaiata che si fa prendere la mano dalla leader di partito.
In realtà le è partita la frizione un paio di volte. Al Senato, quando ai M5s che le spiegavano quello che lei stessa aveva appena detto sul Pnrr, ha replicato: «Se arrivo al punto di farmi spiegare da lei quello che ho detto, piuttosto mi dimetto».

Alla Camera ne ha fatto le spese Piero De Luca (Pd) che l’aveva appena accusata di “danno erariale” per le centinaia di milioni (quasi 800) spesi per l’operazione centri per i migranti in Albania. «Il danno erariale lo fa suo padre quando paga intere pagine di giornale e lotti di manifesti per promuovere se stesso». Agguato di pessimo gusto, per non dire un po’ fascista, oltre che falso, visto che il figlio deputato ha rivendicato che il padre presidente di Regione ha acquistato quegli spazi di tasca propria.
Ma insomma, stavolta la premier con tailleur spezzato, giacca rosso Ferragamo e pantalone nero – asciutta e dimagrita – è stata una premier e non leader di una parte. Due anni e mezzo hanno prodotto risultati. Almeno nella forma.

LA PREMIER E L’AUTOCELEBRAZIONE

Nella sostanza è stata una premier che ha celebrato se stessa, la propria politica estera e interna, i successi economici, «sull’immigrazione siamo un esempio per tutta Europa, abbiamo ribaltato il paradigma». Salvo poi lamentarsi per «il solito mantra delle opposizioni e di chi vuole male alla Nazione che ci descrivi isolati e fermi».
Una narrazione rosea e quasi trionfale col tono e la postura fisica di chi «adesso vi spiego io come funziona» alternata a quella vittimistica col sapore dell’assedio. «Wonder woman e Calimero» l’ha graffiata ma con garbo Matteo Renzi. «Meloni Pinocchio”, «Meloni bugiarda» l’hanno attaccata i 5 Stelle.

È un Consiglio europeo particolare quello che inizia stasera a Bruxelles. È l’ultimo della Commissione von der Leyen, l’ultimo in cui il padrone di casa è Charles Michel. Il prossimo, prima di Natale, sarà il primo del von der Leyen 2. In mezzo c’è un passaggio fondamentale: l’elezione dei commissari indicati, che devono essere confermati prima nelle singole commissioni di riferimento e poi dall’Eurocamera.

I TIMORI PER FITTO

Per il governo Meloni è fondamentale che vada tutto bene, che Fitto venga confermato con le funzioni esecutive perché dal suo lavoro a Bruxelles dipenderà quella flessibilità per avere via libera al Piano strutturale di bilancio, al prolungamento del Pnrr, alla manovra di bilancio che è stata approvata un po’ alla chetichella ieri sera in un Consiglio dei ministri convocato alle 8 di sera. La più importante legge dello Stato approvata col favore delle tenebre e senza, ovviamente, la necessaria copertura giornalistica.
Sarà per questo che la premier ha dedicato, nella parte iniziale dell’ intervento, ben sette minuti al caso Fitto. Alternando sicurezza e vittimismo, ha messo le mani avanti dicendosi «sicura che le opposizioni a Bruxelles voteranno per l’Italia e non contro Fratelli d’Italia». Pse, Liberali e Verdi hanno infatti annunciato a Bruxelles di essere contrari alla delega “esecutiva” (poteri di coordinamento su più commissari) per Fitto, visto che «i Conservatori hanno votato contro la Commissione von der Leyen».

“Voto contro ma otterrò quello che mi serve”

Meloni se ne fece anche vanto: voto contro, ma tanto otterrò quello che mi serve. L’argomento è stato usato dalla premier non tanto per mostrare una sua debolezza (Fitto avrà la delega) ma per insinuare incertezza nel Pd e provocarlo. «Spero che la segretaria Schlein poi vorrà chiarire cosa farà il Pd e cosa farà il Pse di cui il Pd è la componente più numerosa».
Anzi, Fitto è la dimostrazione della potenza geometrica di questo governo. «La sua nomina e le sue deleghe sono un notevole miglioramento per la nostra nazione rispetto alla composizione della Commissione uscente, atteso che vedeva 4 vicepresidenti esecutivi e 7 vicepresidenti complessivi, ma nessun italiano». Tutto questo, ha detto, è la «prova della ritrovata centralità dell’Italia, a dispetto del continuo mantra di un presunto isolamento internazionale». Per questo ha chiesto più volte l’unità nazionale nel voto sulla Commissione «come feci io quando ero all’opposizione e votai Gentiloni». Falso. Meloni convocò la piazza contro Gentiloni e voto contro.

MIGRANTI E ISRAELE

Molto entusiasta, ma «arrogante e tronfia» per i 5 Stelle, «da bulla» per Elly Schlein, la narrazione sui centri in Albania. «Ci sono quindici Paesi in Europa che hanno già firmato un documento in cui chiedono soluzioni innovative come quella dell’Albania per gestire i flussi dei migranti. E se volete vi rileggo qui cosa ha scritto la presidente von der Leyen nella lettera di invito ai capi di Stato e di governo in arrivo a Bruxelles».

Lo ha fatto. Ma un conto è la curiosità per l’esperimento albanese. Altro è la certezza che funzioni. Intanto, la regia è perfetta: domani sera inizia il Consiglio europeo e domani Meloni sarà anticipata dalle immagini della prima nave militare italiana che sbarca i migranti destinati all’Albania. Il problema è che sono solo 16 contro gli oltre mille sbarcati ieri a Lampedusa. Ottocento milioni, mal contati, per fare cosa? «Sono 134 milioni di euro l’anno – ha rivendicato la premier – Sono sempre una piccola parte, il 7,5%, del miliardo e 800 milioni che spendiamo ogni anno per l’accoglienza di immigrati irregolari.
A me interessa l’effetto dissuasivo. Che il nostro modello sta centrando, visto che gli sbarchi sono diminuiti del 60%». Poi l’attacco alle ong, alla Sea Watch in particolare «che ha dichiarato che le guardie costiere sono i veri trafficanti e gli scafisti innocenti. Sono parole vergognose. E mi preoccupa – ha detto Meloni al Pd – che l’opposizione attacchi me».

I CONFLITTI

Tutto sommato, la parte migliore è quella dedicata all’Ucraina e al Libano dove «andrò venerdì per visitare il nostro contingente». Il pacifismo in salsa 5 Stelle, molto meglio l’originale Bonelli e Fratoianni, fa la sua parte, ma la premier convince quando dice: «Ricordiamoci che lo scopo del terrorismo islamico è isolare Israele rispetto all’Occidente. Netanyahu sbaglia, ma Isreale non può restare sola». Alla fine si scopre una premier europeista, che condivide «l’analisi di Draghi sulla competitività dell’Europa e la necessità di invertire la tendenza, cessare di essere un gigante burocratico e fare debito comune per affrontare le sfide del tempo», a partire dal Green deal.
Disse quella che voleva uscire dall’euro e non ha mai votato il Next Generation Eu. Quella che mentre parla siede tra il popolare Tajani e il Patriota Salvini, tra chi tifa von der Leyen e chi va a braccetto con Orban. E però è diventata «un punto di riferimento in Europa».


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