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Elezioni dell’Anm: in lizza per il parlamentino ci sono 150 candidati divisi in 5 liste ma c’è anche la rivolta delle toghe


C’è un particolare che a chi frequenta le vicende legate alla giustizia non è sfuggito: la rivolta delle toghe all’inaugurazione dell’anno giudiziario e le elezioni del comitato direttivo centrale dell’Anm, l’Associazione cui aderisce il 96% circa dei giudici. Il seggio telematico si chiuderà oggi alle 13. La contestazione napoletana e il voto, due eventi paralleli, politicamente quasi in dissolvenza. Innegabile che il primo, la clamorosa protesta contro la riforma del ministro Nordio, possa influenzare il secondo, ovvero la scelta dei 36 magistrati chiamati a rappresentare per i prossimi 4 anni il “parlamentino”.

In particolare quei giudici “ragazzini”, di fresca assunzione, entrati per concorso, che potrebbero orientare in un senso o nell’altro il risultato. Ormai da anni la cerimonia dell’inaugurazione ha assunto i connotati di un rito. Un anno sovrapponibile all’altro. Non questa volta, però, che l’Anm ha impresso una svolta plateale, studiata nei dettagli; l’uscita dall’aula, il libretto della Costituzione sventolato come una bandiera. Unico fuoriprogramma: quei dadi provocatoriamente regalati dal segretario di Area democratica Giovanni Zaccato al vice ministro Francesco Paolo Sisto.

A chi giova radicalizzare lo scontro? Per di più in un momento in cui la tensione tra giudici e potere esecutivo ha raggiunto lo Zenit? C’è chi in queste ore, a seggi ancora aperti, parla di “sceneggiata napoletana”, di tentativo di “fare la conta”. Di “show in campagna elettorale” per orientare le scelte future. In lizza per il parlamentino ci sono 150 candidati divisi in 5 liste: Area democrati per la giustizia; Magistratura democratica; Magistratura indipendente; Articolocentouno; Unità per la Costituzione.

La rivolta delle toghe per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario, fa notare chi ritiene che sia stata un’operazione politica costruita a tavolino, renderà ancora più identitario il voto. I contestatori saranno più contestatori, i moderati più moderati. Il rischio di questa “operazione” è lasciare fuori quella parte della magistratura che si ritrae, che non condivide e non concepisce questi rapporti con la politica. Che insomma la manifestazione sia in qualche modo sfuggita di mano alle due componenti, MD e MI che di recente hanno votato insieme la circolare sugli incarichi direttivi. Un tentativo di polarizzare lo scontro nello schieramento associativo pensando gli uni e gli altri di trarne beneficio. A rimetterci in questo modo sarebbero le liste come Unità per la Costituzione e Articolocentuno.

E c’è un’altra domanda alla quale si cerca di dare in queste ore una risposta: cosa succederebbe se a prevalere non fossero le toghe rosse ma i moderati? Potrebbe il governo puntare i piedi sulla riforma? Giorgia Meloni ha dato ampi segnali di apertura: un invito al confronto durante l’iter. In Senato gli emendamenti potrebbero apportare modifiche sostanziali prima di tornare alla Camera. Così che passerebbe altra acqua sotto i ponti e le tensioni si attenuerebbe. Diversamente, se a prevalere fosse ancora la componente barricadera, si andrebbe al muro contro muro. A chi giova? Senza dire che alcune delle modifiche introdotte dalla riforma, ad esempio il sorteggio o l’istituzione dell’Alta corte, non vengono viste da tutte le componenti come il fumo negli occhi. Anzi.

Tra il ministro Nordio e una parte della magistratura si è scavato un solco. Il presidente Anm uscente Santalucia continua ad attaccare il ministro e il governo sul caso Almasri, ma apre qualche spiraglio: “Crediamo fermamente nell’attività parlamentare, tanto che non riteniamo che il primo passaggio significhi che è già tutto deciso”. E c’è chi come l’ex magistrato Giuseppe Ayala, tornando sulla protesta di Napoli, dice: “Non capisco sinceramente perché protestino, sono sempre stato lontano dalle logiche correntizie, anche quando operavo come magistrato, sono un male per tutta la magistratura”.

Questo non esime da critiche alla riforma: “Non c’è dubbio che le scelte dell’Anm siano influenzate dalla politica e dalle correnti piuttosto che dal merito per quanto riguarda le promozioni e l’assegnazione degli incarichi dirigenziali – ha concluso Ayala – Questo è un handicap enorme, soprattutto se pensiamo che con la riforma avremo un altro consiglio superiore fatto da PM, indipendente da ogni controllo, così creeremo un’altra corporazione composta da PM e autoreferenziale, e questo è un pericolo”.


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