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Illustrazione di Roberto Melis

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Nel 2021 ricorrono i cento anni della nascita e i dieci dalla morte di Andrea Zanzotto, il grande poeta di Pieve di Soligo (TV). Le celebrazioni avranno inizio già a giugno, con un incontro al Centro Manoscritti di Pavia che custodisce gran parte dei suoi autografi e finiranno con il convegno «Zanzotto, un secolo. Da Pieve di Soligo al mondo».

Partita dalla concentrazione del campo visivo del suo paesaggio, infatti, l’opera di Andrea Zanzotto ha subito guardato Dietro il paesaggio (titolo della raccolta d’esordio, 1951) e l’ha perforato in profondità, non solo nella sperimentazione magistrale delle forme linguistiche che lo rappresentano, ma anche nella militanza civile della tutela di un confine a un passo dall’abisso.

Il poeta, infatti, annidato in un angolo remoto del trevigiano, come se fosse una finestra sull’universo, si è sempre interessato ai grandi temi del paesaggio e dell’ambiente, “mangiati vivi” dalla dissipatio humani generis. Già negli anni Sessanta denunciava la presunta modernizzazione che cambiava il volto dei paesi veneti, trasformando i centri storici e invadendo le campagne di cemento. Da allora “lo sconquasso ambientale” ha assunto volti e tipologie diversi, al passo con la voracità lupesca di una “selva oscura” che ormai si estende al mondo intero.

La nostra amicizia ebbe inizio per un intreccio del Caso negli anni Settanta e andai più volte a trovarlo nei luoghi che si riflettono le sue poesie. In questi anni – diceva passeggiando sul Montello – abbiamo assistito alla dissacrazione della natura, che è sempre natura e Storia insieme. C’è l’opera di milioni di anni in cui ha lavorato la natura e una manciata di secoli in cui ha lavorato l’uomo, che ha creato delle armonie, poi sfaldate in modo orrendamente disuguale. Il progresso scientifico e tecnologico – per esempio – che ha portato all’accumulo di armi d’ogni tipo, alla speculazione selvaggia, all’inquinamento di boschi e di fiumi.

Sono questi i temi che faranno da sfondo al Galateo in bosco (1978), prima parte di una trilogia che affronta i temi del suo paesaggio, macchiato dalla presenza di ossari e cimiteri militari di diverse nazionalità che tappezzano le zone del Piave. Sono stati i suoi versi che, più che una storiografia, ci hanno dato un segno del terribile sviluppo ambientale che ha segnato la nostra epoca, sfidando come i topinambúr che fioriscono lungo i fossi, il degrado di discariche, cumuli di plastica e ossari, aprendosi come stelle nel paesaggio degradato.

«Pietà per la plastica», pietà per la straordinaria scoperta della modernità – aveva esclamato Zanzotto nel giorno in cui il suo inventore fu premiato con il Nobel – destinata a diventare un indistruttibile cumulo di spazzatura, come in una paradossale metafora degli effetti di un mercato che produce rovine.


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