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SU TANTI temi della salute e della medicina si svolge un dibattito che spesso è ideologico prima di essere tra scienziati, tanto infervorato quanto sottovalutato, per le ricadute negli ambiti delle politiche pubbliche, delle decisioni nazionali e internazionali. Basti pensare alle polemiche intorno alla commissione parlamentare d’inchiesta sull’emergenza Covid-19. Polemiche comprensibili e interessi visibili: la commissione approfondirà temi come gli acquisti delle mascherine e i banchi a rotelle; inoltre, ritornerà sulle tragiche vicende che sono state esaminate dalla Procura della Repubblica di Bergamo e che sono state considerate gravemente, anche se indecidibili dal punto di vista processuale, con esplicito rinvio a successivi approfondimenti sociologici e politologici.
I partiti sono partigiani per definizione, ma sulla pandemia opposte interpretazioni si riscontrano anche nel mondo della medicina e degli scienziati. Epidemiologi e virologi molto noti, come Maria Rita Gismondo e Giovanni Rezza si sono detti a favore dell’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta; altri sono scettici, come Nino Cartabellotta, al quale la stampa ha attribuito questa sintesi: “La sanità pubblica cade a pezzi. Il nuovo Piano pandemico giace nei cassetti. La Commissione Covid farcita di no-vax è ai nastri di partenza. Se arriva una nuova pandemia siamo nella merda”.
Non soltanto in Italia il dibattito è rovente. Ci sono state vibranti osservazioni dopo le recenti e drammatiche rivelazioni di Anthony Fauci, in particolare a proposito delle ricerche compiute con la tecnica del guadagno di funzione. Ad esempio, Elon Musk lo ha attaccato (insieme a parlamentari e senatori repubblicani) in maniera talmente cruda da suscitare le reazioni ufficiali del portavoce della Casa Bianca: questi attacchi sarebbero “disgustosi” e “incredibilmente pericolosi”. Non si tratta di un caso esclusivamente americano: a livello internazionale, dentro l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono emersi insanabili dissensi tra scienziati esperti in medicina in merito ad un nuovo Trattato Pandemico, rinominato Pandemic Accord, per coordinare la risposta alla prossima pandemia. In un clima di diffidenze reciproche, gli Stati non trovano un consenso sulla governance e il problema è rinviato al 2025. Nel frattempo, il 1° gennaio 2024 l’Italia ha assunto la presidenza di turno del G7, con un intenso programma, nel quale spiccano gli incontri istituzionali tra i Ministri della Salute dei Paesi G7, l’ultimo si terrà ad Ancona dal 9 all’11 ottobre 2024, in versione ultrariservata. Il tema generale è: rafforzare l’architettura della salute globale, la prevenzione, la preparazione e la risposta alle future pandemie, incoraggiare la prevenzione lungo tutto l’arco della vita, promuovendo l’approccio One Health – interconnessione fra salute umana, animale e degli ecosistemi.
Temi massimi e risultati finora minimi. In un contesto di fermento e di incertezze, la medical intelligence è un argomento antico, ridiventato di attualità dopo il Covid, e, visto che dall’OMS fino a Bill Gates, un’altra pandemia è annunciata, con toni assai preoccupanti (anche da noi, ad esempio da Matteo Bassetti e Ilaria Capua). La medical intelligence è definita dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti con una formula che fa riferimento a informazioni mediche, bioscientifiche e ambientali che interessano la pianificazione strategica e quella medico-militare, per la conservazione della idoneità combattente delle forze amiche e la valutazione delle capacità mediche straniere sia nel settore militare sia in quello civile. Nell’italiano Glossario di intelligence, del 2013, c’è il lemma Medint, con questa definizione: “Disciplina intelligence consistente nella ricerca ed elaborazione di notizie di interesse per la sicurezza nazionale di natura bio-scientifica, bio-medica, epidemiologica, ambientale ed altro, relative alla salute umana o veterinaria”. In proposito, si parla di ambito Nubich (Nucleare, biologico, chimico), per il rischio relativo all’impiego di agenti nucleari, biologici, chimici e radiologici, quattro parole che formano l’acronimo Nbcr.
Si parla anche molto delle connessioni con la cybersecurity. La progressiva consapevolezza dell’esistenza di una società del rischio ha spinto a chiarire la differenziazione rispetto alle epoche precedenti. Sin dalle origini, inclusi Socrate e Cleopatra, dentro la peste di Atene e lungo il declino dell’impero, veleni, virus, epidemie, contagi, disastri provocati dall’uomo hanno avuto un posto preminente nella riflessione sulla salvezza dello Stato. Tra le righe, Tucidide riprende letteralmente il paradigma ippocratico, che è della stessa progenie di Euclide: il terreno sorgivo del più prodigioso razionalismo europeo. Galeno diventa eponimo della epocale peste del 165-180 d.C. e Plinio è protomartire della scienza sperimentale. Rispetto a questa genesi blasonata, la definizione oggi imperante della medical intelligence risente della storia controversa del colonialismo occidentale (primariamente interessato alla conservazione delle truppe in territori ostili) e dei peggiori incubi della guerra fredda. Poiché quel tempo è passato, anche se taluni lo rimpiangono e vorrebbero risuscitarlo, sono sorte proposte parallele e concorrenziali per rispondere alle nuove sfide che si profilano.
In particolare, è stata proposta la possibilità di intendere in profondità e in espansione la medical intelligence, come settore ampio e interdisciplinare, nel quale spiccano la sicurezza nazionale e la promozione del bene comune, con speciale riferimento alla protezione e all’analisi dei dati sanitari. In questa prospettiva, sono preminenti le minacce alla salute; di conseguenza, alcune metodologie proprie dell’intelligence hanno inedito valore perché possono essere applicate all’analisi delle evidenze cliniche, alla sorveglianza epidemiologica, alla interpretazione dei rischi sanitari. Questa medical intelligence richiede competenze plurime e contaminazioni obbligate, nelle quali sfumano i confini con settori come la sociologia della salute o la medicina delle catastrofi e delle emergenze. Sarebbe ingenuo pensare ad un ambito scientifico come tanti altri. Nelle emergenze, casuali o intenzionali, un attore malvagio può cogliere opportunità e utilizzarle ad arte. In teoria, nella congiunzione di medicina e intelligence si vorrebbe coniugare il meglio delle due discipline, sottraendo il peggio – che comunque esiste.
Nella medicina c’è una linea di preoccupazione che va dal dottor Knock di Jules Romains a Big Pharma; nell’intelligence degli scienziati c’è un ambito operativo che non si può beatamente ignorare, visto che è comunemente accreditato: possiamo leggere recentemente su The Economist che “I servizi di intelligence passano il proprio tempo a scovare i segreti degli altri, a proteggere i propri e a impegnarsi in attività coperte che sarebbero inconfessabili in altri rami del governo: costruire sudditanza, tessere nascoste relazioni con gruppi terroristici, sventare complotti e assassinare nemici”. Medicina e intelligence si occupano di questioni vitali, che spesso sono in natura irrimediabilmente complicate; anche una smaliziata consapevolezza di questo ambito umano, molto umano, delle relazioni sociali e istituzionali potrebbe essere visto per certi versi come un sottosettore, un angolo buio, l’ultimo gradino dell’ alfabetizzazione sanitaria, dunque segmento (necessario?) di una strategia generale di empowerment, in una democrazia avvertita, utopia e retorica a parte.
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