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QUANDO il brutto incubo diventerà storia, una delle immagini che resterà a simboleggiare il dramma che l’Italia ha vissuto con il morbo cinese, sarà la mesta sfilata dei camion dell’esercito tra le strade deserte della notte più tetra e cupa di Bergamo. Quell’andare lento, come il passo solenne dei soldati quando accompagnano i commilitoni caduti. In un silenzio di morte e lacrime, quei mezzi sigillati hanno riportato alla mente il treno bianco, senza finestrini, che si ferma in una stazioncina nella Grande Guerra di Mario Monicelli.
Sull’altro binario la caciara delle reclute in viaggio per il fronte. Il tempo di capire cosa trasporti quello strano convoglio che nessuno ha visto mai, e subito cala il gelo. Lì dentro ci sono i morti, i giovani di ieri. Il nemico invisibile, contro il quale il mondo combatte una guerra mai conosciuta prima, non ha cambiato solo la vita di milioni di esseri umani. Ha cambiato il rituale della morte, del distacco da chi ci ha fatto compagnia nella vita. Non ci sono mani pietose che tengono per l’ultima volta quelle di chi sta avviandosi per il viaggio nel nulla.
Questo virus infame e spregevole vuole che la solitudine, l’impotenza, lo strazio, vengano imposti fino al respiro finale. E quello che in passato era naturale, il letto di morte con le persone care attorno, per un conforto, una parola, un sussurro; ora è diventato un incubo nell’incubo. I poveretti di questi giorni di Apocalisse se ne vanno disperati, affidando con un filo di fiato l’ultimo pensiero all’infermiera che gira in queste camerette piene di macchine della terapia intensiva. Sono parole d’amore per le persone care. come quelle lettere atroci dei condannati alla vigilia dell’esecuzione. La necessità di evitare il contagio obbliga a questo distacco straziante, da brividi, inumano. Chi riesce ancora a conservare un briciolo di forza e lucidità si attacca al telefonino, quando capisce che la luce si sta spegnendo.
Messaggi e messaggi per sintetizzare quello che passa per la testa, l’essenza di un’esistenza in un tweet, i sentimenti pigiati nella tastiera. Per l’ultima volta. Nessuno merita un addio così. Nessun essere. L’ultimo fotogramma non può essere una maschera e un apparecchio attaccato ai polmoni. Una crudeltà. Il virus ha strappato dalle nostre vite anche l’ultimo desiderio, il saluto, il diritto all’addio. Quando finirà l’uragano che ha stravolto anche la nostra morte, molte cose dovranno cambiare, tante non potranno essere come prima. Nessuno deve più morire da solo.
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