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Nel segno di Ludwig van Beethoven diventa un viaggio nella bellezza anche una conversazione in una sera di dicembre che si accende di riverberi sonori, quasi ti ritrovassi all’improvviso in un teatro. A un passo da un’orchestra, dentro una conchiglia di suoni ed emozioni. Dall’altro capo del telefono nella sua casa torinese, Giorgio Pestelli – classe 1938, musicologo, critico musicale e professore emerito di Storia della musica all’università di Torino – raccoglie l’invito con cortesia d’altri tempi.
Professore ci avviciniamo ad un anniversario importante: i 250 anni dalla nascita di Ludwig van Beethoven avvenuta a Bonn il 16 dicembre del 1770. Per cominciare le chiedo chi è per lei Beethoven?
«Sono stato avviato alla musica da bambino, ma è solo verso i 13-14 anni che la musica (che per me allora voleva dire il pianoforte) ha cominciato a prendermi, a occupare il mio animo; da allora Beethoven ha sempre fatto parte della mia esistenza, quando ero ragazzino era una specie di eroe, un santo; poi, passando gli anni, è diventato quello che per me è ancora oggi: un insieme di valori, un appello all’impegno, alla responsabilità. Conoscere e studiare tutte le sue opere, una per una, tornare a risentirle, è stata, ed è ancora, l’avventura intellettuale ed emotiva della mia vita. Ma tutto ciò, per carità, senza nessun esclusivismo! Sentivo e mi nutrivo di tutta la musica (adoravo e adoro ancora Wagner, Schumann, Chopin, Debussy ecc.), l’amore per Beethoven cresceva assieme a tutti i grandi della musica; considero una forma di dilettantismo, sotto apparenza di competenza, l’atteggiamento di chi dice: “sento solo Bach, solo Mozart”; non posso neanche dire che Beethoven sia “il più grande musicista che sia mai esistito”; per me il più grande è quello che ascolto in ogni momento secondo il mio stato d’animo del momento».
Come lo racconterebbe ad un ragazzo del Terzo millennio?
«Raccontare o spiegare Beethoven a un ragazzo del Terzo Millennio è una impresa ardua: e questo, a differenza dei miei tempi, perché oggi il concetto di musica si è generalizzato in un assieme spesso confuso di musica di ogni genere, leggera, seria, pop, rock; bisognerebbe cominciare a distinguere e limitare il campo; e poi provare a fare capire che nella sua musica, oltre alla “bellezza” delle sue idee (che si può trovare anche in una canzone, o in altri tipi di musica) in lui c’è sempre anche il fascino di un percorso intellettuale, una costruzione che parte in un modo e finisce in un altro, passando attraverso ostacoli e contraddizioni: ogni pagina di Beethoven, oltre alla bellezza, contiene un’avventura dello spirito».
In questo Natale messo sotto scacco dalla Pandemia la bellezza della musica di Beethoven commuove forse anche di più. Da dove arriva questa luce così potente e per certi versi anche consolatoria che attraversa i secoli ogni qual volta si ascolta Ludwig van Beethoven?
«La luce di Beethoven nel momento attuale che attraversiamo viene dal suo messaggio di ottimismo malgrado tutto, dal suo spirito di guardare sempre oltre, di fratellanza umana; il suo esempio di artista colpito dalla sordità, e quindi dalla solitudine, che canta la felicità (interiore) è una dura e continua lezione per noi; la sua musica è un continuo invito all’azione, a fare, a non abbattersi».
Uno dei suoi libri dedicati al compositore si intitola “Il genio di Beethoven. Viaggio attraverso le nove Sinfonie” edito da Donzelli. In che modo il maestro di Bonn ha scompaginato la scrittura contrappuntistica del suo tempo?
«Con tutte le sue opere, con le Sinfonie in modo particolare, Beethoven ha compiuto una vera rivoluzione; ma la sua non è una rivoluzione di ribaltamento, di scardinamento; è una rivoluzione di assorbimento: Bach, Haydn e Mozart, e altri minori, sono da lui assorbiti, accettati e sviluppati; non c’è negazione nella sua opera, ma continuità; anche la scrittura contrappuntistica, generale nel pensiero musicale dell’età precedente alla sua (Bach ad esempio), viene fusa con la nuova visione di un linguaggio musicale basato sull’armonia e l’evidenza ritmica, in una parola sul “carattere” unico e inconfondibile delle sue invenzioni; anche il contrappunto, basta pensare alle sue “fughe” nelle ultime Sonate, agli ultimi Quartetti, alla Nona Sinfonia, alla Messa solenne, diventa una cosa sola con il pensiero sinfonico».
L’altro lavoro, sempre edito Donzelli, si chiama “I concerti di Beethoven. Il genio da pianista a compositore”, quale Beethoven troviamo in quest’ultimo libro?
«Nel mio libro sui Concerti viene fuori il Beethoven del suo tempo: quello che si è fatto una strada di musicista indipendente come “pianista” compositore, che suonava cioè le sue composizioni in pubblico; nei primi due Concerti per pianoforte, attraverso le varie versioni, rifacimenti, miglioramenti, questo processo si vede bene; a partire dal Terzo Concerto per pianoforte il “pianista” lascia il posto al compositore assoluto. Quindi il libro mette in luce non solo il Beethoven genio fuori dal tempo, ma anche il Beethoven del suo tempo, il Beethoven vissuto nella storia, nella sua città, di fronte al suo pubblico concreto».
L’ultimo Beethoven – in particolare l’ultima sonata per pianoforte, l’opera 111 – può essere indicato come il punto di rottura o il punto di svolta?
«Direi che con l’ultima Sonata per pianoforte, l’opera 111, Beethoven rompe con la tradizione “classica” della Sonata ed entra a vele spiegate nell’età “romantica”, quella di Schubert, Schumann, Weber e Chopin. Un po’ tutto Beethoven va inquadrato fra età classica e età romantica: l’opera 111 fa vedere bene le strutture della sonata classica che senza forzature, per misteriosa metamorfosi, diventano un poema musicale; con l’op.111 l’età romantica non è solo additata, è già abitata come nuovo paesaggio dell’anima».
Quando decide di ascoltare Beethoven, lei cosa sceglie?
«Di solito è lui che decide; se il caso mi fa ascoltare una musica di Beethoven, qualsiasi, mi trova sempre pronto, come davanti a una cosa nuova. Ma in generale, se devo scegliere, non vado in cerca di opere troppo aggressive, di grande impatto, tipo Quinta Sinfonia, preferisco quelle della saggezza, dell’uomo che ne ha viste di tutti i colori, e si mette un gradino più su delle circostanze: come nelle ultime Sonate, nei Trii, nei Quartetti; tuttavia c’è anche un’opera d’impatto che sempre mi seduce, la Terza Sinfonia Eroica: se ne sento le prime note, non posso staccarmi e devo arrivare fino alla fine».
Quale partitura può squarciare il silenzio, la solitudine e le angosce di queste notti e giorni difficili così come del resto aveva fatto la musica con la sordità di Ludwig?
«La sordità di Beethoven, cioè una menomazione che lo colpiva nel suo mestiere, non è stata vinta dalla musica ma dalla sua forza morale; per squarciare il silenzio e la solitudine di queste notti noi abbiamo la sua musica a disposizione: quindi sono molte le opere che possono aiutarci e confortarci; ma non mi sottraggo, oggi, alla richiesta di indicarne una: il Trio per pianoforte, violino e violoncello op.97 detto “Arciduca”, c’è un’ampiezza che allarga il respiro e allo stesso tempo una intimità che tocca il cuore».
E infine professore, immaginiamo sia la notte di Natale – di questo Natale così simile a una bufera di neve sulle nostre vite – cosa si potrebbe ascoltare di Ludwig per guardare con speranza al nuovo giorno che sta per arrivare?
«Per la notte di questo Natale un’opera di Beethoven che si potrebbe ascoltare con grande beneficio è la Sinfonia n. 6, detta “Sinfonia Pastorale”: è pervasa di serenità, e quindi ci prepara alla speranza; e contiene anche una “Tempesta”, che però passa ed è seguita da un inno di ringraziamento per il ritorno alla calma. Proprio quello che ci auguriamo tutti!».
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