Milan Kundera
6 minuti per la letturaMilan Kundera: i guai di coppia, una questione universale
Milan Kundera è scrittore di fama mondiale. La consacrazione gli è giunta negli anni Ottanta con la pubblicazione del romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere – titolo fortunatissimo, così enigmatico e così musicale da imprimersi indelebilmente nella memoria, che Calvino riformulò all’opposto in L’ineluttabile pesantezza del vivere.
Kundera è considerato l’inventore di un genere letterario, sapiente amalgama di saggistica e di narrativa. All’interno della dimensione romanzata in cui si svolge la vicenda, inserisce profonde digressioni filosofiche dai toni metafisici. Racconta principalmente storie di coppie, a fare i conti con l’amore che travolge le anime e i corpi, con tutte le sue immancabili contraddizioni. Mentre il caso e la Storia perseguitano l’esistenza umana. – Sono gli anni in cui l’Est Europa è agitato da certe aspirazioni riformiste, che l’Unione Sovietica reprime piuttosto come una minaccia. E per alcuni non rimane che l’esilio. – Il tempo e la memoria, l’identità e la nostalgia, la pesantezza del vivere e la leggerezza dell’essere, la malinconia, il sentimento, la libertà, l’ironia, la modernità sono alcuni dei temi sui quali l’autore sviluppa riflessioni profonde, che come fili invisibili collegano un’intera produzione letteraria, tornando ora qui ora là, fino a farne una sorta di trattato dell’umano sentire.
Kundera è considerato un maestro di stile: pur non utilizzando particolari virtuosismi riesce a essere sorprendentemente raffinato. Lo dimostrano già certi suoi titoli. Possiede un senso musicale delle parole – che resiste persino in traduzione. La sua prosa risuona come un valzer: elegante, naturale, delicata, sovrana e piena di grazia. In Kundera tutto è movimento, variazione, incessante esplorazione del possibile: riesce a schiudere dietro i fatti che attraversano le vite dei suoi personaggi, altrettanti interrogativi penetranti che in fondo ci riconducono alla nostra esperienza personale.
Per l’autore il compito del romanziere è proprio quello di insegnare alla gente a cogliere il mondo come una domanda, e il senso della letteratura quello di scoprire segmenti di esistenza ancora sconosciuti: “I personaggi dei miei romanzi sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato”, ha scritto. Il che sta a significare chiaramente il tentativo di raccontare ben oltre ciò che conosce, lo sforzo di andare al di là del proprio personale vissuto per raggiungere una dimensione quasi onirica che ha in sé qualcosa di soprannaturale.
Il racconto di Kundera procede a ondate: prima viene la storia dei personaggi, la storia delle coppie, nella loro singolarità e imprevedibilità, poi attraverso le divagazioni e i commenti successivi il problema privato si trasforma nella questione universale – si fa, dunque, anche nostro. Ecco, questa generalizzazione, anziché aggiungere gravità al dramma, lo alleggerisce: ironicamente esso diviene non “la tragedia”, ma solo uno dei guai in più della vita. La letteratura ridimensiona le esistenze, ce le fa vedere in prospettiva, con quel certo distacco che ci fa quasi sorridere dei problemi nostri nelle vite degli altri. Gli stessi da cui troppo spesso, purtroppo, ci lasciamo sopraffare.
Leggere Kundera invece è esercizio utilissimo a ricordarci quale dovrebbe essere il giusto approccio. Se da qualche parte è scritto che le cose debbano essere – nella loro pesantezza – allora saranno, indipendentemente da quanto ci danneremo per far sì che non siano. Si ripeteranno, perdendo drammaticità.
E se invece, ciò che è appare un’unica volta ed è poi destinato a sparire come se non fosse mai veramente esistito – in tutta la sua leggerezza – allo stesso modo, perché dannarsi tanto sulla scelta migliore da compiere? In fondo, se ogni situazione è irripetibile e ci si presenta per la prima volta, non ci si può certo avvalere dell’esperienza. “Qualsiasi studente nell’ora di fisica può provare con esperimenti l’esattezza di un’ipotesi scientifica. L’uomo, invece, vivendo una sola vita, non ha alcuna possibilità di verificare un’ipotesi mediante un esperimento, e perciò non saprà mai se avrebbe dovuto o no dare ascolto al proprio sentimento”, ha scritto.
Ci sono pagine bellissime di Kundera dedicate all’amore: nella sua necessità, nel suo dover essere, forse la cosa più pesante che esista al mondo. Non c’è scelta in amore, l’amore è inevitabile: “Contro i sentimenti siamo disarmati, poiché esistono e basta – e sfuggono a qualunque censura. Possiamo rimproverarci un gesto, una frase, ma non un sentimento: su di esso non abbiamo alcun potere”.
Eppure, bramiamo quella pesantezza per raggiungere l’appagamento che conduce alla felicità, col suo corollario di leggerezza. E ci sono pagine bellissime di Kundera dedicate alla nostalgia: la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. La nostalgia illumina ogni cosa della luce rossastra del tramonto. Eppure, inganna. Pensiamo che ci faccia ricordare le cose che sono state, e invece ce le fa dimenticare. Pensiamo che si alimenti del passato, e invece si nutre di fervida immaginazione. La nostalgia non intensifica l’attività della memoria, non risveglia ricordi, basta a se stessa: Ulisse “per vent’anni non aveva pensato che al ritorno. Ma quando fu di nuovo a casa capì, con stupore, che la sua vita, l’essenza stessa della sua vita, il suo centro, il suo tesoro, si trovava fuori da Itaca, in quei vent’anni di vagabondaggio”.
Il passato non torna, neppure nei ricordi. A Milan Kundera appartiene una specie di saggezza. Un tocco, in cui si fondono dolcezza, dolore, tenerezza, malinconia, amarezza, ironia, leggerezza, un certo distacco interiore e una certa “freddezza stranamente gioiosa”. Ha sempre composto i suoi romanzi come sinfonie. Attratto da tutto ciò che è molecolare: il battito di una pupilla, la misteriosa espressione di una ruga. Ha sempre costruito divagando. Scelto un motivo lo riprende e lo trasforma, perdendo e ritrovando il filo del discorso, per poi intarsiarlo con altri motivi, riperdendo e ritrovando il filo, in un gioco continuo di echi e assonanze in cui il racconto ogni volta sembra quasi smarrirsi trascinato dalla conversazione. Ma alla fine di tante variazioni, è riuscito a disegnare la costruzione più rigorosa. A Kundera appartiene quella specie di saggezza di chi riesce a percepire e assecondare il ritmo inesorabile della vita.
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