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William Somerset Maugham

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La vita di William Somerset Maugham si legge tutta d’un fiato. Come un romanzo d’altri tempi. Come quei romanzi che lo hanno reso uno scrittore famoso – ma è stato anche un commediografo di grande successo. Quei romanzi intessuti di pessimismo acre e pungente ironia nei confronti delle debolezze, dei vizi, delle follie degli esseri umani. Quei romanzi pieni della rassegnata consapevolezza che le cose della vita accadono alle persone senza meriti o colpe particolari. – La malvagità del destino è ineluttabile: la pioggia cade nello stesso modo sul giusto e sul malvagio senza un perché, parafrasandolo.

Quei romanzi che non possono che concludersi con l’assoluzione dell’umanità, con il suo sollevamento da ogni responsabilità, e con la sofferta ma inebriante sensazione di onnipotenza che si prova una volta svelato il segreto del mondo. Un segreto che annichilisce e libera allo stesso tempo, che affanna e consola: quel segreto è la nostra insignificanza.

Maugham nacque nel 1874 a Parigi, ma su suolo britannico. Venne alla luce in una stanza dell’ambasciata britannica, perché suo padre, avvocato inglese a sua volta figlio di un famoso avvocato inglese, si occupava delle questioni legali della stessa ambasciata. Era già scritto che anche lui sarebbe diventato un avvocato, ma il destino volle diversamente. Sua madre, da tempo malata di tubercolosi, morì lasciandolo che era ancora un bambino. Fu una perdita lacerante. A cui seguì appena due anni dopo quella del padre. William fu spedito in Inghilterra, nel Kent, per essere cresciuto da uno zio – Henry – un uomo freddo e persino crudele. Fu un vero inferno per lui, orfano, deriso dai compagni di classe per il suo cattivo inglese – la sua prima lingua era il francese – cominciò a balbettare. Quel disturbò se lo portò dietro per tutta la vita, insieme a un pesante senso di inadeguatezza e al rifiuto a provare qualunque emozione.

Maugham crebbe infelice, sviluppando un certo talento nel fare osservazioni provocatorie e taglienti alle persone che non gli piacevano. A 16 anni convinse lo zio a mandarlo in Germania, dove studiò letteratura, filosofia e tedesco presso l’università di Heidelberg. Lì con un uomo, inglese, di 10 anni più vecchio di lui, ebbe le prime esperienze omosessuali.

Tornato in Inghilterra, lo zio gli trovò un posto in un ufficio di contabilità. Resistette un mese. Allora Henry gli chiese finalmente di diventare avvocato, come da tradizione di famiglia. Maugham non volle assolutamente, sognava già la scrittura. Ma lo zio non avrebbe mai approvato. Alla fine studiò medicina, al King’s College di Londra.

Non furono anni buttati per quella che poi sarebbe stata la sua carriera letteraria. Londra era una città piena di vita e Maugham nella sua professione aveva modo di incontrare gente di bassa estrazione sociale, in momenti di grande ansia e tensione. “Vedevo come le persone muoiono. Vedevo come sopportavano il dolore. Vedevo come sono la speranza, la paura e il sollievo”: vedeva la vita nuda e cruda e la sofferenza che amareggia e inasprisce gli uomini. Nel frattempo riempiva quaderni di idee letterarie e di notte si dedicava a svilupparle. Ne uscì Liza di Lambeth, racconto di un adulterio consumato nella classe operaia e delle sue conseguenze. Un romanzo inquadrabile nella scuola degli scrittori realisti (gli “slum writers”, che potremmo rendere come gli “scrittori dei bassifondi”): ebbe un successo notevole e nonostante Maugham avesse appena conquistato la laurea, gli fece abbandonare la medicina per abbracciare quella carriera letteraria che sarebbe durata 65 anni. Commentò così il passaggio di professione: “La presi come un’anatra prende l’acqua”. Cominciò a scrivere e viaggiare, nel primo decennio del Novecento visse in posti come la Spagna e Capri. Pubblicò diverse opere, tutte di scarso successo fino all’opera teatrale Lady Frederick, del 1907. L’anno successivo quattro sue opere teatrali erano contemporaneamente in scena a Londra. La rivista Punch pubblicò una vignetta in cui Shakespeare si mordeva nervosamente le unghie guardando i cartelloni.

Durante la Prima guerra mondiale fu operativo come autista di ambulanza. E non smise di produrre. Si sa che in quegli anni prestò servizio come agente per l’Intelligence britannica. Nel 1915 uscì il suo romanzo Schiavo d’amore. Ci furono molte critiche negative fino al commento che decretò il successo del libro, definito l’opera di un genio e paragonato a una sinfonia di Beethoven. Il libro è palesemente autobiografico.

La vita di William Somerset Maugham si legge tutta d’un fiato, come un romanzo d’altri tempi, perché in effetti lo è per davvero. Maugham è Philip – il protagonista. La balbuzie del primo diventa il piede equino del secondo. Entrambi orfani, allevati da uno zio, entrambi incapaci di gestire le emozioni e i sentimenti ma non per questo colpevoli.

Dal libro sono stati tratti adattamenti per il cinema e la tv, come è accaduto ad altre opere dello stesso autore: per esempio al suo ultimo grande romanzo – anch’esso in molti sensi autobiografico – Il filo del rasoio (1944). In mezzo ci sarebbero una miriade di titoli da citare. La luna e sei soldi, ispirato alla figura di Paul Gauguin, lo portò nelle isole del Pacifico a raccogliere materiale, facendolo testimone e cronista degli ultimi giorni del colonialismo britannico in India e nel Sud-Est asiatico.

Maugham non ha mai perso l’occasione di trasformare la vita vera in letteratura e ha usato la sua esperienza di agente segreto per creare il personaggio di Ashenden o L’agente inglese (1928) – solitario e sofisticato – che finì per ispirare un certo Ian Fleming per la serie di un certo James Bond. Negli anni Trenta del secolo scorso, era ormai uno degli scrittori più affermati e più ricchi del mondo anglofono. Comprò villa Mauresque, una tenuta di 12 acri a Cap Ferrat in Costa Azzurra. La sua dimora per il resto della vita fu uno dei grandi salotti letterari dell’epoca. Continuò a scrivere e a viaggiare. La sua vita sentimentale non fu mai facile: ebbe una moglie e una figlia con cui i rapporti non furono certo idilliaci. Ma anche un compagno storico, Gerald, e dopo la morte di quest’ultimo condivise i suoi ultimi anni con Alan. Morì di tubercolosi nella sua villa in Costa Azzurra nel 1965, all’età di 91 anni.

Come un uomo che nella vita era riuscito a diventare quello che aveva sempre desiderato, attraverso grandi difficoltà e sofferenze, e ciò lo aveva reso tremendamente disincantato ma in fondo anche inevitabilmente indulgente.



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