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Alda Merini

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Super celebre come poetessa, in particolare come facitrice di versi amorosi, in alcuni momenti dell’anno, e soprattutto in occasione di ricorrenze sentimentali, vieni letteralmente inondato da poesie intere o singole quartine che innamorati giovani e meno giovani, estrapolano dalle sue raccolte. Te le mandano direttamente sul telefonino mediante WhatsApp o le condividono su tutti i cosiddetti Social a disposizione. È accaduto massicciamente anche lo scorso 21 marzo (giornata mondiale della poesia, e data di nascita della poetessa milanese. Anzi, dei Navigli, come ci teneva a sottolineare lei stessa).

Sto parlando di Alda Merini che, a partire da un certo punto della sua vita si è messa a scrivere e a dettare aforismi agli amici per telefono. È, questa, una produzione che pochi conoscono ma che pure ha dato vita ad una serie di libricini alcuni molto piccoli e di pochissime pagine. Non sempre gli amici che frequentavano la poetessa le hanno fatto un “buon servizio”. Molto spesso hanno raccolto quelle frasi partorite estemporaneamente – a volte per puro gioco, a volte per semplice gusto dell’ironia – e le hanno stampate, mandandole in giro, indifferenti al valore delle stesse.

Lo facevano in buona fede, per lo più; per quell’eccesso di affetto che non sempre ci rende lucidi nei giudizi. Ma questo non vuole essere uno scritto polemico. Il primo libretto di aforismi, quello che la incorona come autrice valida di questo genere espressivo, data al 1992. Porta il titolo secco di Aforismi, ed è stato pubblicato dalle Edizioni Nuove Scritture in due ristampe. Un librino di appena 48 pagine, oggi introvabile, e che contiene in totale 109 pensieri. Ogni pagina ne contiene tre e solo l’ultima ne contiene quattro. Ma come erano nati questi aforismi di Alda?

Erano nati dalla sua assidua frequentazione con un altro geniale creativo di cui sono amico, e che si chiama Alberto Casiraghi. Alberto ha sempre posseduto un torchio ed ha sempre amato poesia e aforismi. In verità lui ha anche praticato la scultura, a volte una scultura micro utilizzando ogni sorta di materiali quotidiani, e anche l’acquerello con cui realizzava le sue raffigurazioni surreali, le sue visioni poetiche. Con quel torchio Casiraghi ha stampato un numero incredibile di libricini cuciti a mano, impreziositi da disegni, macchie di colore, e spesso accompagnati da una sola frase e da un oggetto che poteva essere una pietra, un legnetto, una piantina…

Il catalogo robusto realizzato anni fa, mostra come quelle edizioni di pochissime pagine e di pochissimi esemplari, abbiamo annoverato una sterminata quantità di autori, quasi tutti divenuti suoi amici. Alberto di aforismi ne ha sempre scritto in quantità esagerata. Molti non si possono neppure definire aforismi, e forse sarebbe più pertinente definirli schegge poetiche.

L’autore si diverte a giocare con l’assurdo, il nonsense, a produrre nel lettore una specie di spiazzamento. Sono, in ultima analisi, un riflesso della sua stessa personalità anticonformista. A spingere la Merini su questo terreno dell’aforisma è stato Casiraghi, ed è stato lui a raccogliere e a stampare le primizie. Ed è stato sempre lui ha consegnarmi una robusta raccolta che io ho falcidiato eliminando tutti quelli scopiazzati, orecchiati, plagiati, banali, ripetitivi, noiosi che Alda gli aveva dettato. Alberto sulle prime ci rimase un po’ male, ma poi accettò il mio punto di vista perché in fondo con quella edizione di 109 aforismi Alda Merini debuttava, e dovevamo averne rispetto, evitando di comportarci con la stessa disinvoltura dei suoi tanti devoti ammiratori, ma dallo scarso acume critico.

Il tascabile, dalle misure di 17 e mezzo per 10, ebbe grandissimo apprezzamento anche fra quegli intellettuali che non nutrivano grande simpatica verso la poetessa, e quando ne portai una copia ad una filologa severa come Maria Corti, ne parlò con ammirazione. L’introduzione in cui tracciavo la genesi di quel libretto si concludeva con queste parole: “In alcuni di questi aforismi selezionati da una raccolta inedita molto più ampia, si condensano squarci della vicenda umana, esistenziale, poetica di Alda Merini. Il suo vissuto e le sue ebbrezze del cuore; l’ossessione religiosa e la terribile esperienza disumana del manicomio; l’indignazione e il doloroso difficile vivere quotidiano. A volte però queste frasi diventano momenti di felici epifanie; piccole frasi accese da luminosi bagliori, cariche di una graffiante spensierata ironia. Più spesso si fanno pesanti e lapidarie come sentenze; parole dure, e tuttavia mai scevre di una perfetta conchiusa bellezza”.

A conclusione mi compiaccio di offrire alcune di quelle pepite al buon gusto ed al piacere dei lettori. “Ogni seme che si riscalda nella terra conosce il freddo della nascita”, “Chi tace spaventa”, “Chi è morto in vita giace bene”, “La ragione fredda è quasi sempre spietata”, “Fino a che gli agnelli beleranno, i lupi avranno notti concitate”, “Se una mano è leggera non vuol dire che sia estranea al delitto”, “Mi piacerebbe fare la ladra perché la prima volta che misi la mano nella tasca di un paltò ci trovai la mano di un uomo”, “I poeti cantano coloro che hanno bisogno. Ma non li salvano mai”.


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