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Zelda e Francis Scott Fitzgerald

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“Spero che sia sciocca. Una bella bambina sciocca”, è il 14 febbraio del 1921 Zelda Fitzgerald scopre di aspettare una bambina. Francis Scott Fitzgerald, che ha sposato l’anno precedente, sta scrivendo il suo secondo romanzo. È il giovane romanziere più famoso d’America. Famosi lo sono entrambi.

“Sembra che siano entrambi usciti dal sole: la loro gioventù è impressionante. Tutti vogliono incontrarli”, Dorothy Parker così commenta le feste leggendarie dei Fitzgerald, i loro viaggi tra Europa e America, i bagni vestiti nelle fontane, la perenne ubriachezza, la cacciata dai due più celebri Hotel di New York, la ricchezza subito guadagnata e facilmente sperperata, lo champagne e il gin, i vestiti e i tagli inimitabili di lei, il continuo scandalo tra vecchi e benpensanti, l’idolatria dei giovani. “Scott e io, noi non crediamo nella conservazione”, dichiara Zelda. Hanno 24 e 20 anni quando diventano la coppia più celebrata e chiacchierata del secolo appena iniziato. La loro gioventù è impressionante.

Amava ballare sopra ogni cosa. Partecipare ai party fino a notte fonda. E nuotare. Si diceva nuotasse nuda nel lago e fumasse come un uomo. E poi amava i ragazzi, baciarli soprattutto. Zelda Sayre era figlia di un integerrimo giudice di Montgomery. La reputazione del padre la tutelava dalle malelingue e lei faceva ogni cosa in suo potere per squarciare quella protezione che l’avviluppava. “Era sicura di sé, presuntuosa e priva di autocontrollo. Ciò nonostante, non volevo cambiarla. Ogni suo difetto si accompagnava a un’energia passionale che lo annullava. La sua influenza su di me era immensamente grande. Mi pungolava a fare qualcosa per lei, a ottenere qualcosa da poterle offrire”, scrive Fitzgerald.

È il 1918, Scott era stato mandato in Alabama per completare l’addestramento militare. Ad una festa si conoscono. Zelda è arrogante, intelligente e vitale. Lui è gravato da una sensibilità estrema che lo fa dubbioso, incerto e spaventato. Ma ha l’arte, la capacità di rendere eterna e resistente la bellezza che coglie nella sua essenza più reale. Sta scrivendo il primo romanzo. I due si frequentano, si amano, si dividono. Zelda rompe il loro fidanzamento quando il libro di Scott viene rifiutato dall’editore. Fitzgerald resta ubriaco per un’intera settimana, la prima di molte volte, ma si rialza. Rimette mano al romanzo, inserisce un personaggio, Rosalynd, che è Zelda e contagia della sua vitalità ogni cosa. Lo manda a Zelda, lei lo richiama a sé, prima ancora di sapere che il libro sarebbe stato pubblicato e che sarebbe diventato un successo letterario incontrastato. Gli scrive: “[…] fra cent’anni penso che mi piacerà sapere che dei giovani si chiedano se avevo gli occhi azzurri o marroni. Naturalmente non sono né l’uno né l’altro.”

“Zelda aveva gli occhi da falco e una bocca sottile […] potevi vedere la sua mente lasciare la tavola e andare al party della sera prima e tornare con gli occhi assenti come quelli di un gatto e poi compiaciuti”, Hemingway descrive Zelda in Festa mobile. Lui e Scott sono diventati amici negli anni di vita parigina. Hemingway pensa che Zelda sia pazza, e soprattutto gelosa della scrittura di Fitzgerald. “Imparai a conoscere molto bene quel sorriso. Stava a significare che Scott non sarebbe stato in grado di scrivere.”

Cinque anni dopo il loro matrimonio, Scott e Zelda sono qualcosa di sopravvissuto a loro stessi. Scott è alcolizzato e infelice, vende la propria scrittura per mantenere il tenore di vita. Zelda ha tentato due volte il suicidio, entra ed esce dalle cliniche psichiatriche. Litigano, si amano, si tradiscono, si separano per lunghi periodi, ritornano. Uno dei loro litigi più feroci avviene quando Zelda decide di incanalare il proprio spirito artistico in un romanzo. Scrive Lasciami l’ultimo valzer, la storia della sua vita e del suo matrimonio. La stessa materia di Tenera è la notte, cui da molti anni lavora Fitzgerald. Non c’è più un briciolo di desiderio o di gratitudine nel suo sguardo per Zelda, quando cerca di impedire in ogni modo l’uscita del libro. “Tu sei una scrittrice di terz’ordine e una ballerina di terz’ordine. – Le dice – “Tu hai raccolto le briciole che io lascio cadere dalla tavola da pranzo e le hai ficcate nei libri […] Tutto questo è materiale mio. Niente di tutto questo è materiale tuo.”

Zelda è Rosalynd. E poi Gloria, Daisy, Nicole, Minna. Ma soprattutto è la vita che Fitzgerald infonde alla sua arte: inarrestabile, estrema, netta, passionale e crudele. Zelda voleva dalla vita una pienezza che prosciugava ogni cosa e non ammetteva lo scorrere quotidiano del tempo. Era gelosa della scrittura di Fitzgerald, ma non nel modo in cui molti hanno creduto. Ne era sacerdotessa e fiamma, poteva attizzarla o spegnerne il rogo per sempre. Non lo fece mai. Curò con dedizione la revisione dell’ultimo romanzo incompiuto di Fitzgerald, morto d’infarto a 44 anni. Poi bruciò lei pure, nell’incendio della clinica dove era ricoverata.

“Senza te, carissimo io non potrei vedere o udire o sentire o pensare – o vivere – […]. Senza te è come chiedere pietà a una tempesta o uccidere la Bellezza o diventare vecchia”, gli scrive quando erano giovanissimi. Poco prima di morire, Scott dice a un amico “Come sempre, anche oggi mi sento più vicino a lei che a qualsiasi essere umano… Non mi dispiacerebbe se, fra qualche anno, Zelda e io potessimo rannicchiarci insieme sotto una pietra in qualche vecchio cimitero di queste parti”. Sotto la stessa lapide del cimitero di Rockville, ci sono le loro tombe. Incise sulla pietra, le ultime parole del Grande Gatsby: “così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.”

È il 7 ottobre 1923, Zelda e Scott sono all’apice del successo e del loro amore. Il Baltimore Sun intervista Zelda: “«E così parleremo solo di me!» chiede la signora Fitzgerald allegramente. «Non sono mai stata intervistata in vita mia!» […] «E adesso che si fa? Sarà una di quelle cose formalissime? Scott, ti prego, vieni in soggiorno e aiutami a essere intervistata!» […] «È la persona più affascinante della terra». «Grazie, caro […] Ma non lo pensi veramente […] Per te sono pigra». «No», dice lui […] Per me sei perfetta. Sei sempre disposta ad ascoltarmi mentre ti leggo i miei manoscritti a qualunque ora del giorno o della notte. Sei affascinante – e bella. E sbrini il frigo una volta a settimana. O almeno credo. […] «Come dovrebbe essere la tua giornata ideale?» «Pesche a colazione», è la risposta immediata. «Sarebbe un buon inizio, no? Fammici pensare. Poi golf. Poi una nuotata. Soltanto starmene tranquilla ad ascoltare suoni piacevoli – e non il silenzio assoluto. […] Voglio solo essere me stessa e godermi la vita».


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