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Il cerchio ignobile dell’inferno: i traditori. Il primo pensiero va all’adulterio o a Giuda, ma l’avventura dell’uomo è piena di orribili voltafaccia e falsi amici, fino a cambiare la storia
Chi è il traditore? Che sia chi infrange un giuramento, o incrina il patto che unisce una comunità, pare abbastanza ovvio. Per non parlare degli adulteri nella sfera privata. Le origini del tradimento affondano le radici nei tempi antichi. In ogni epoca e civiltà, sono tanti i personaggi che hanno ricevuto l’infamante accusa di traditore. Da quando esiste una società civile, non c’è persona di buon senso che non pensi male del tradimento. Dante lo ritiene addirittura la peggiore delle colpe. Non a caso, nell’Inferno i traditori sono posti nel nono cerchio, che è l’ultimo, e Lucifero lo domina con la sua tremenda presenza. Visto che Lucifero, governatore dell’inferno, rappresentava per Dante il primo e il più ignobile dei traditori.
Ma c’è tradimento e tradimento, pur nella concretezza della storia. La storia è piena di traditori, per avidità o per amor di patria, per ambizione o per vendetta, per fanatismo o per viltà. Il tradimento è sempre stato un’azione abietta e infame. Non c’è storia, etica o morale che possa tollerarlo, così come non c’è politica che possa legittimarlo.
Dopo la cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden, i primi della storia che addirittura commettono l’errore di tradire Dio, la Bibbia nel Vecchio Testamento registra una storia infinita di tradimenti di ogni genere: Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe venduto dai suoi fratelli e il loro padre ingannato, le promesse non mantenute dal Faraone, fino ad arrivare al tradimento di Giuda nel Nuovo Testamento e al rinnegamento di Pietro.
L’archetipo del traditore nel Medioevo è proprio Giuda. Il racconto dell’Iscariota, che tradisce Gesù per trenta monete d’argento, simboleggia la profonda ferita dell’abbandono e del rinnegamento. E a inchiodare Giuda nel ruolo di traditore dei traditori ci sono gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova, e, naturalmente, anche Dante, il quale nel XXXIV canto dell’Inferno colloca Giuda nella bocca centrale di Lucifero, accanto a Bruto e Cassio. Infatti, sebbene la storia sembra farci intendere che la decisione di Bruto e Cassio sia da giustificare per nobili cause, ossia aver tradito per salvare la Repubblica a cui Cesare aveva impresso una deriva totalitaria, tuttavia, le paventate buone intenzioni di Bruto e Cassio non convinsero Dante, che decise di mettere i due traditori a far compagnia a Giuda, in fondo all’imbuto gelido dell’Inferno.
Giuda, Bruto e Cassio, il primo simbolo del tradimento della chiesa, i secondi dell’impero. Tradimenti resi ancora più odiosi dal fatto di esser stati perpetuati al momento della nascita delle due istituzioni.
L’idea del tradimento muta e cambia lungo i secoli al di là della definizione che ne viene data dai filosofi e dagli storici. Se nel mondo antico, il tradimento viene visto essenzialmente come un atto di lesa maestà contro il sovrano, sanzionato con afflizioni terribili, dando luogo al reato di crimen maiestatis che si riferiva ad ogni comportamento capace di offendere, minacciare e attentare alla sicurezza del re e del governo. Da cui ha poi preso forma l’idea della damnatio memoriae. Vale a dire la condanna all’oblio a cui erano destinate e votate le persone ritenute responsabile del reato ignobile e infamante di tradimento.
A partire dalla fine del XIX, la fedeltà al sovrano viene definitivamente soppiantata dalla fedeltà alla nazione. Lo stesso sovrano è ormai costretto a identificarsi con la propria nazione e non più con la propria dinastia. Da allora i traditori assumono le fattezze classiche con cui li raffigura l’immaginazione popolare. Quindi la figura del ribelle, del voltagabbana, del cospiratore, del dissidente, dell’eretico e dell’eversore dell’ordine politico costituito.
Il traditore è colui che consegna la propria città al nemico per garantire la propria sicurezza o per procurarsi dei vantaggi personali. E non per favorire il destino della propria patria. Testimonianza di ciò è la decisione del maresciallo Radetzky, il quale dopo la rivoluzione del 1848, decise di infliggere pene durissime ai cospiratori contro l’impero austro ungarico accusati di tradimento verso l’ordine costituito.
Vittime di un tradimento furono invece i Fratelli Bandiera, colpevoli di propugnare l’unificazione nazionale. Individuando nell’Austria, nello Stato Pontificio e nei Borbone i nemici da combattere.
Non è da meno Dante, quando compie una violentissima invettiva nei confronti del Conte Ugolino. Collocando anche lui, insieme ai suoi quattro figli innocenti, nel nono cerchio dell’Inferno (canto XXXIII), dove sono condannati i traditori della patria e del partito politico. L’intento di Dante, che raffigura Ugolino che morde la testa del suo nemico (l’arcivescovo Ruggieri), cercando di saziare per l’eternità quella fame che non ha potuto soddisfare in vita, è di suscitare con espressioni che inducono a pensare all’antropofagia (i figli del nobiluomo si rendono conto del destino preparato per loro e si offrono come cibo al padre, come soluzione disperata allo strazio), l’orrore e il disprezzo nei confronti della classe politica del suo tempo, invischiata negli odi tra fazioni, nei tradimenti e nelle vendette.
Ma, come tutti sappiamo, il tradimento fa parte della politica così come della vita. Il tradimento non è soltanto quello razionale legato all’osservanza e alla possibile violazione delle leggi codificate dagli Stati, ma è anche quello emotivo e irrazionale. Dalla storia di Elena e Paride a quella di Lancillotto e Ginevra, il tradimento è il mezzo con cui i protagonisti si illudono di sfuggire alla grigia malinconia quotidiana. Ma è invece destinato a portarli all’infelicità o a un esito tragico. Del resto, nella storia di questi cedimenti il tradimento apre una breccia provocatoria e inquietante. Decisiva quando è commesso, ma non meno profonda quando è evitato. Non sono da meno le storie di Madame Bovary e di Anna Karenina, dove i tradimenti sono addirittura accettati. Finché non diventano argomento di pettegolezzo, ossia finché non vanno a macchiare il nome della sua famiglia.
È anche vero che chi scrive la storia può indicare oggettivamente se un certo comportamento appartiene o no alla logica del tradimento. Ma non può “giudicare” il tradimento. Perché, il giudizio politico, etico, morale sul tradimento è sempre un giudizio di parte. Testimonianza ne è l’Affaire Dreyfus. Un caso di presunto tradimento che scuote la Francia sul finire dell’Ottocento catturando l’attenzione di Émile Zola il quale, con il suo J’Accuse, una lettera aperta al Presidente della Repubblica pubblicata sul giornale L’Aurore, fa un’aperta denuncia sulle irregolarità dell’arresto e della condanna di Dreyfus, il capitano d’artiglieria ebreo accusato tre anni prima di aver tradito il Paese vendendo alla Germania segreti dell’esercito francese.
Del resto, nei mesi in cui Dreyfus viene arrestato e processato, Édouard Drumont con La France juive utilizza l’affaire in chiave antigiudaica per spiegare come, qui, il tradimento sia un fatto connaturato all’ebreo. Poiché il tradimento presuppone la rottura di un rapporto di fiducia, per Drumont i traditori non sono gli ebrei, i quali sono piuttosto spie, ma i loro amici e sostenitori, i “judaïsant”. Una presa di posizione che testimonia la verità scomoda denunciata da Mathieu Dreyfus. Ovvero che l’incriminazione di suo fratello era ascrivibile al virulento antisemitismo che allignava tra i suoi concittadini.
Una categoria a parte è poi quella degli intellettuali che tradiscono in primo luogo se stessi e il loro obiettivo, cioè “una totale devozione alla verità”, come scriveva Julien Benda nel suo celebre libro Il tradimento dei chierici, pubblicato nel 1927. Qui, il filosofo francese denuncia l’asservimento dell’intellettuale agli interessi dei ceti dominanti, nel tentativo di difendere la sua l’immagine di custode dei valori di verità e giustizia, alieno da ogni coinvolgimento di parte che possa distrarlo dai suoi compiti di educazione razionale.
Nondimeno, non tutti i tradimenti, presunti o reali, vengano per nuocere. Certo, viene spontaneo chiedersi come sia possibile passare dall’ignominia di un’azione alla sua eccellenza?
Cosa ci sia nel tradimento che permette quest’ambiguità?
Machiavelli, forte del suo pragmatismo, non nega il fatto del tradimento, né il suo carattere negativo, ma lo legge alla luce dell’agire concreto. In sostanza, per Machiavelli, l’atto del tradimento è un elemento ben presente nel genere umano, sicché compito del Principe è “saper far fronte al volgersi dei venti e della fortuna anche a scapito della gloria”. È questo il “bene” della politica, e per questo è realisticamente “buono” persino l’uso del tradimento.
Ci sono poi alcuni tradimenti che siamo portati a ritenere legittimi o addirittura positivi, i cui meriti sono spesso riconosciuti dopo la loro morte. A ricordarcelo è il regista Marco Bellocchio che nel lasciare ai posteri la storia di Don Masino Buscetta sceglie di farlo descrivendolo come il “traditore eroico”: l’affiliazione a Cosa Nostra comincia da troppo piccoli per poter scegliere nulla, e sottrarvisi non può che significare tradire, così dice Buscetta al magistrato Giovanni Falcone nel loro primo incontro.
Una figura, quella di Buscetta, che va ben oltre la semplice appartenenza a Cosa nostra e al suo pentimento, o meglio alla sua collaborazione con la giustizia. Il suo pentimento fu un atto meritorio, che permise allo Stato di compiere importanti passi avanti nella lotta per estirpare la piaga della mafia. Ma è verosimile che Buscetta rimase sempre convinto nel profondo della sua originaria adesione a Cosa nostra, perché per lui era stata la mafia ad aver tradito i “valori” originari su cui era stata fondata.
Il tradimento, dunque, come un’esperienza complessa, dolorosa e dai molti volti, che coinvolge profondamente sia il tradito che il traditore. Perché il tradimento marchia l’autore del gesto con un segno indelebile e lo spedisce nella dannazione della storiografia. Tuttavia, nonostante il dolore, può diventare anche un’opportunità. Del resto, quanti gesti eroici, quante decisioni risolutive e quante scelte coraggiose ci sarebbero state senza dover fronteggiare il rinnegamento della lealtà?
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