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Alcide De Gasperi al voto il 18 aprile 1948 (foto Istituto Luce)

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Su piano Marshall e scelta occidentale le elezioni del 18 aprile 1948 segnarono uno scontro che spaccò in modo netto il Paese fino a creare per decenni un sistema senza alternanza

Gli anglofoni di oggi, quelli che biascicano sold out e location, all inclusive e recruiter direbbero che si è trattata della sliding doors più importante della storia italiana. Un bivio che ha cambiato e deciso in modo netto il cammino del Paese, segnando la vita di milioni di persone. Mai un’elezione politica ha lasciato tracce così profonde, con conseguenze che hanno condizionato i decenni successivi.

Il 18 aprile del 1948 l’Italia si è trovata davanti a una scelta drammatica. Sullo sfondo delle prime libere urne elettorali dell’era repubblicana, un Paese in ginocchio, umiliato da una guerra disastrosa, la fame, le città sbriciolate dai bombardamenti, milioni di morti. Un’Italia triste, con gli occhi bassi, depressa, umiliata da un conflitto bellico finito con la fuga del re e lo scioglimento del suo esercito. Smarrita, confusa, disonorata. Con quelli che provano a sognare, a immaginare un futuro, e altri, tanti altri, troppi, con lo sguardo ancora al passato, pieno di nostalgia per il fascismo e la monarchia.

Alle elezioni politiche del 1948 si arriva dopo un periodo turbolento. La situazione internazionale, la divisione tra Stati Uniti e Unione Sovietica del mondo nelle zone di influenze ha ripercussioni anche sui primi timidi e confusi passi di una repubblica fragile e vulnerabile, con milioni di disoccupati, il cibo razionato, un apparato industriale a pezzi. Tredici mesi prima si è consumata una rottura che ha messo fine al clima unitario della Resistenza: comunisti e socialisti vengono allontanati da De Gasperi.

Il Vento del Nord non esiste più. Nel paese cresce la diffidenza nei confronti del Pci, visto come la quinta colonna di Stalin. La paura è quella di un’insurrezione sul modello della rivoluzione bolscevica, la presa del potere con le armi, la creazione di una dittatura comunista. Un’eventualità che gli Stati Uniti alimentano con una propaganda raffinata, sottile, preoccupati per un ipotetico pateracchio politico di un governo filosovietico nel bel mezzo del Mediterraneo. Una paura teorica, priva di riscontri, di avvisaglie.

Dalla tarda primavera del 1947, dopo un viaggio memorabile del presidente del consiglio De Gasperi a Washington, il clima si avvelena. Nelle piazze ci sono ogni giorno decine di manifestazioni. Protestano tutti: i contadini senza terra, i disoccupati, le vedove di guerra, gli orfani, i reduci, i mutilati, gli operai, gli statali. Ciascuno alle prese con il razionamento del cibo, gli avvoltoi della borsa nera, l’inflazione. Un assedio represso con mitra e fucili dalle forze dell’ordine guidate da un cinico ministro come Scelba.

Decine e decine di manifestanti uccisi, arresti, dolore che si aggiunge a dolore, altre lacrime e lutti. Il clima è violento, l’assuefazione ai misfatti e al sangue della guerra alimenta episodi atroci, terribili. Gli Stati Uniti spiegano a De Gasperi, rappresentante di un paese che si è schierato all’inizio della guerra dalla parte sbagliata, che una via d’uscita può esserci, una mano la possono dare. Ma chiedono garanzie di stabilità politica e comunisti fuori dalla stanza dei bottoni. Dietro questo discorso, legato al piano Marshall, il più grande sostegno economico della storia, resta una scelta di campo drastica: con l’Occidente, senza tentennamenti o ammiccamenti e sguardi di simpatia verso l’Est sovietico. Siamo ai vagiti della guerra fredda e bisogna decidere con chi stare.

La posta in palio del 18 aprile viene con abilità colorata da questi temi. Toni apocalittici, manifesti con parole d’ordine da ultima spiaggia ricoprono i muri scrostati di un Paese inquieto, dove l’antifascismo perde colpi a favore di un anticomunismo feroce e settario. Non a caso saranno definite le elezioni della paura. Da una parte ci sono la Dc con il sostegno dei partiti laici e moderati, la simpatia dei vecchi fascisti e monarchici. Sullo scudo crociato del simbolo campeggia la parola Libertas, per ribadire che mai come ora c’è di nuovo pericolo. Dall’altra il Fronte Popolare di comunisti e socialisti, con Garibaldi come immagine di riscossa e rinnovamento. Una cosa che spaventa.

Il territorio italiano viene diviso alla Camera dei deputati in 31 circoscrizioni plurinominali e al Senato in 19 circoscrizioni plurinominali, corrispondenti alle regioni italiane, più 232 collegi uninominali.

Le settimane che precedono il voto sono di grande tensione. Ci sono scontri ogni giorno, accuse terribili da una parte e dall’altra. Oltre agli Stati Uniti, la Dc può contare sul sostegno della Chiesa. In Vaticano hanno già dimenticato il voto conciliante e decisivo nell’assemblea costituente di Palmiro Togliatti a sostegno dell’accordo con la Chiesa, la conferma dei Patti Lateranensi, la libertà di culto. Oltre Tevere, nelle sacre stanze si vive l’incubo dei cosacchi in piazza San Pietro. Un’angoscia che spinge a mobilitare 25mila parrocchie. Nelle scuole, ai ragazzi vengono fatti fare disegni con l’invito alle mamme di non votare il Fronte Popolare. Nelle processioni spuntano madonne piangenti, mentre Pio XII incarica Luigi Gedda di organizzare i cattolici laici nei famigerati comitati civici in difesa della tradizione religiosa.

Anche sull’altro versante si gioca pesante. Un linguaggio crudo, diretto, che oggi a distanza di 75 anni può anche far sorridere per la semplicità degli argomenti. Un clima di odio attraversa il Paese nel momento più buio, proprio quando sarebbe fondamentale recuperare il clima costruttivo della Resistenza.

La propaganda elettorale dei due schieramenti spacca le famiglie, gli ambienti di lavoro, crea steccati che non sarà facile poi abbattere. Con gli Stati Uniti che ogni giorno ricordano che senza la vittoria della coalizione moderata non arriveranno i fondi del piano Marshall.

Il risultato alla fine degli scrutini è clamoroso: trionfa la Democrazia Cristiana, la quale si aggiudica la maggioranza relativa dei voti e quella assoluta dei seggi, caso unico nella storia della repubblica. Socialisti e comunisti non vanno oltre il 30 per cento, una batosta rispetto ai test elettorali precedenti in Sicilia e in altre città dove avevano vinto.

La partita è chiusa. Mai come il 18 aprile del 1948 la sconfitta per chi ha perso dura per decenni. La Dc governerà fino al 1994, quando sarà sciolta per l’inchiesta dei giudici di Milano sulle tangenti. Le elezioni della paura lasciano l’eredità amara di una democrazia imperfetta, bloccata, senza possibilità di ricambi. Un’anomalia che porterà agli anni bui delle stragi e del terrorismo. Alla tragedia umana e politica di Aldo Moro, un grande statista che non amava muri e steccati e che credeva nell’alternanza. Un sacrificio pieno di ombre scaturite proprio da quel 18 aprile mai finito.


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