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In una delle più celebri scene di “Tre uomini e una gamba” il trio composto da Aldo, Giovanni e Giacomo si ferma in un autogrill per una pausa caffè. Giovanni, però, famoso per essere il più pignolo fra i tre, avanza al barista l’infernale richiesta di un «latte macchiato, tiepido, senza schiuma e con poco caffè», aggiungendo, dopo un attimo di pausa, un tagliente «tiepido, eh!»; una volta toccato il bicchiere che il cameriere gli porge sul bancone, però, esplode in un seccato «va’, freddo, lo sapevo!», ed avvia la tipica gestualità tutta italiana del disappunto, diventata una caratteristica del personaggio (e non solo).

Fortuna che a salvare dalla putrefazione il fegato di ristoratori e camerieri è intervenuta l’idea del proprietario del Tom’s Diner a Denver, negli Stati Uniti, che ha deciso di aggiungere sugli scontrini, oltre al costo della consumazione, ben trentotto centesimi di tassa sulla domanda stupida che il cliente ha posto al cameriere o al proprietario.
E così, “stupid question” sullo scontrino diventa una voce uguale a “sandwich” e a “coca-cola light”. L’iniziativa pare essere stata, tra l’altro, anche molto apprezzata dai clienti che, divertiti, si sono subito cimentati in una gara a chi la spara più grossa.

Ma cosa vorrebbe dire “importare” in Italia questa nuova tendenza? Proprio qui da noi, che siamo diventati famosi per aver venduto la Fontana di Trevi come se fosse nostra e abituati a locali come “La Parolaccia” a Roma, dove il cliente è avvezzo a sentirsi dare dell’imbecille per puro marketing?

La sensazione è che, in questo frangente, saremmo piuttosto permalosetti, per il semplice fatto che siamo anche campioni olimpici di domande prive di senso davanti ai banconi dei bar: eroi della spacconata “attiva”, ma mai abbastanza di quella “passiva”.

«Mi scusi, cosa c’è nel cornetto vuoto?».

«Che differenza c’è tra la scaloppina al limone e quella ai funghi?».

“Scusi, potrebbe togliere il cioccolato dalla coppetta, rimetterlo a posto e metterci la Nutella? Tanto il bambino lo ha leccato poco”.

«Lo zucchero dietologo è questo?».

Non è che una piccola parte delle cacofoniche richieste dei clienti che sarebbe divertente (e terapeutico) tassare nei pubblici esercizi, ma il rischio che il bar in questione si trasformi in una scena di “Lo chiamavano Trinità” sarebbe alto. Già sembra di sentire proteste su proteste su quanto già la vita di per sé sia cara e si arrivi a lucrare su queste stupidaggini, le proposte di legge per l’abolizione dello strapotere dei titolari dei locali, i “j’accuse” contro la violazione della libertà di espressione.

La verità è che questa è una piccola, bisbigliata metafora di quanto poco siamo inclini ad assumerci le responsabilità delle idiozie che diciamo, siano esse la richiesta di un “panino con mortadella vegano” o l’ennesimo ruggito socio-politico da leone da tastiera. E dal momento che non riusciamo proprio a trattenerci dal dire qualcosa di fuori posto, forse, una tiratina d’orecchi da chi quelle domande se le sente fare, ci starebbe pure.

Per imparare che il silenzio è d’oro, ma parlare troppo mica scherza. E può essere dichiarato su uno scontrino.


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