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PER quale ragione trascorriamo la nostra vita? Per la gloria, per l’onore, per il successo, per il danaro? Occorre non pensarci, e qualcosa accadrà. Piu facilmente per chi ha ideali, per chi immagina un mondo migliore. La politica. La religione. Ma per gran parte della umanità l’obbiettivo sembra ridursi alla sopravvivenza. Si ha la fortuna di nascere in diversi posti del mondo. Non sempre è una fortuna. Per molti è una tragedia: nascere ad Haiti, in Etiopia, in Tibet ti costringe a un destino di sopravvivenza inevitabile. Puoi andartene, e sarai un clandestino, un profugo, sempre altrove, e forse non tornerai da dove sei venuto, perderai la tua infanzia, la tua adolescenza, trasferiti in nostalgia.
Se avrai avuto la fortuna di nascere a San Giminiano, a Ravello, ad Asolo, ad Alba, o ad Alba fucens, potrai iniziare a considerarti felice. E sarai in balia della tua forza di gravità. Ma a Sarajevo, a Kiev, nella bella e perduta Beirut, quanto dovrai recuperare? Anche a Mannheim non potrai essere felice come a Castellabate. E allora? Poco, nulla dipende da noi. Non la nostra nascita, non la nostra morte. Poi, entrati nella vita, dobbiamo giocarla, e vincere e perdere, una partita in cui possiamo correggere il destino, ma possiamo anche essere travolti. Non dipendono da noi alluvioni (un’alluvione cambiò la vita di mio padre), terremoti, cataclismi, guerre, malattie. Possiamo fare una carriera, possiamo avere successo, possiamo sostenere un’ impresa. Ma cosa vuol dire essere scrittore a Odessa o essere scrittore in Valmarecchia? Come i luoghi condizionano il nostro destino?
Penso a quanto possiamo decidere, e a quanto può decidere l’imprevedibile. Quanto ci aiuta l’amore e quanto ci danneggia il tradimento. Quanto possiamo e dobbiamo resistere alla mala sorte. Forse vive meglio chi non fa nulla, chi si adatta, chi si nasconde nelle pieghe della storia. Orazio e mio padre dicevano: “Non chiedere cosa sarà il futuro”. E il futuro è breve, e corto, subito si fa passato. Subito ciò che siamo è ciò che siamo stati. Certo, possiamo scappare, non farci riconoscere, essere sempre altrove.
La fuga dai luoghi è anche fuga da noi stessi. Ma per andare dove? Per vedere come stanno gli altri, e non farci vedere noi. Un amico vicentino, dopo una vita nel mondo, ha deciso di fermarsi nel convento abbandonato di San Benedetto sopra Assisi. Lì sta da solo. E’ fermo o è in fuga? E , per quanto ci stia, non sarà sempre in fuga? La vita è formidabile; ma si vive per morire.
Forse consolano i figli, che avanzano per noi e dopo di noi. Forse consolano le opere, le cose fatte, che restano, per altri, per farli misurare con ciò che siamo stati, di cui abbiamo lasciato traccia. Forse non si muore per quello che si crea. E certamente per la memoria che si lascia.
Ritorno spesso al ricordo di mia madre, alle sue euforie, alle sue dolorose depressioni, e ai pensieri limpidi e sereni di mio padre. Erano sempre insieme e hanno vissuto vite così diverse. Ci hanno sostenuto e sono stati felici di noi e per noi. Per mia sorella e per me. Abbiamo aumentato la loro vita, anche per riconoscenza. E ora loro non ci sono, e noi siamo soli. Ora ci penso, forse troppo tardi. Ma non dipende, come molte alte cose,dalla nostra volontà.
Ad alcune di queste domande risponde Constantinos Kavafis, come spesso fanno i poeti (esistono per questo); e (per questo) lo ringrazio:
“Hai detto: “Per altre terre andrò, per altro mare. Altra città, più amabile di questa, dove ogni mio sforzo è votato al fallimento, dove il mio cuore come un morto sta sepolto, ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia? Dei lunghi anni, se mi guardo attorno, della mia vita consumata qui, non vedo che nere macerie e solitudine e rovina”. Non troverai altro luogo non troverai altro mare. La città ti verrà dietro. Andrai vagando per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere. Imbiancherai in queste stesse case. Sempre farai capo a questa città. Altrove, non sperare, non c’è nave non c’è strada per te. Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto tu l’hai sciupata su tutta la terra”.
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