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La luce dorata del tramonto su Sydney (foto di Cleto Corposanto)

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Mi ha sempre affascinato, da bambino, questa idea che – essendo la terra tonda, all’incirca – bucando ipoteticamente sotto i nostri piedi e attraversandola per intero in un immaginario tunnel, si potesse sbucare dall’altra parte del mondo. “E dove ci troveremmo?” chiedevo estasiato. “In Australia” era la risposta più frequente. Ho poi scoperto che forse in realtà sarebbe più appropriato pensare alla Nuova Zelanda come territorio “dall’altra parte” (che comunque si trova in zona, all’incirca), ma insomma alla fine stiamo parlando di un grande, lontanissimo continente. Di quello che viene solitamente identificato come il nuovissimo mondo. Grande perché, per il solito problema della distorsione delle cartine geografiche dovute alla necessità di rendere piana una superficie sferica, la nostra idea di Australia non rende conto dell’effettiva larghezza di questa isola/continente. Ci aiuta a coglierne la grandezza reale, forse, valutare che un aereo impiega, per esempio, circa 3 ore e mezza per andare da Roma a Mosca, ma ce ne vogliono 4 e mezza per andare da Perth, sulla costa ovest, a Sydney su quella est. Sempre in Australia.

Con quasi 7 milioni e mezzo di chilometri quadrati (in gran parte desertici), l’Australia è il sesto Paese più esteso al mondo, ma ospita solo poco più di 25 milioni di abitanti, quasi tutti sulle coste (in particolare quella est). Abitata dai nativi (che si chiamano anche aborigeni, anche se è un termine che a loro non piace perché velatamente dispregiativo) per più di 40 mila anni, l’Australia è stata colonizzata dal Regno Unito a partire dal XVIII secolo; lo stesso nome attuale è dovuto alla colonizzazione dopo la pubblicazione nel 1814 a Londra del libro “A voyage around Terra Australis” dell’esploratore Matthew Flinders. I britannici, a differenza di olandesi e portoghesi che avevano avvistato e visitato la grande isola per primi, rinunciando alla sua colonizzazione in quanto priva di territorio valutato interessante, approvarono invece nel 1786 la costruzione di una colonia penale a Botany Bay, nella meravigliosa baia di Sydney, destinata a ergastolani e gente ritenuta comunque pericolosa per la società. E da “Terra Australis Incognita” (“terra australe sconosciuta”, ndr), continente la cui presenza era stata ipotizzata già da Greci e Romani, nel 1824 il nome fu semplificato in Australia.

Nonostante avessi viaggiato già molto, non ero mai stato nell’emisfero australe quando mi arrivò la notizia della conferma dell’invito al Convegno mondiale di Sociologia di Brisbane. Un evento, insomma, e finalmente l’opportunità di un viaggio lungo, veramente lungo, che mi avrebbe portato dall’altra parte del mondo, senza passare per il tunnel immaginario dal centro della terra su cui avevo fantasticato da bambino. In un afoso pomeriggio di luglio, è un mercoledì, ci imbarchiamo dall’aeroporto di Verona con destinazione Roma: dalla capitale, un volo della Quantas, la compagnia di bandiera, ci avrebbe portati a Sydney. Per lo più nella mia vita i grandi viaggi li ho fatti in solitaria: questa volta sono con A.S., amico e collega, pure lui diretto al convegno. Mercoledì sera ci imbarchiamo quindi su un volo Quantas, destinazione Singapore. Un volo di circa 11 ore che ci catapulta nel bel mezzo di una notte (quale?) al trafficatissimo scalo asiatico. Abbiamo 3/4 ore di sosta, e allora una birra e un paio di sigarette nello strepitoso “cactus garden”, un meraviglioso giardino all’aperto. Sono circa le 3 di mattina e ci saranno circa 35 gradi umidi. Rientrare a bordo dell’aereo è un toccasana; altro strappo di circa 12 ore e ci troviamo nella meravigliosa Sydney; è venerdì mattina in Australia, sono all’incirca le 7. Siamo partiti mercoledì pomeriggio….

Sydney è una delle città più belle del mondo; il suo inconfondibile skyline con l’Opera House è una meravigliosa cartolina. Al tramonto, tutto si colora di una luce oro che non ho mai più rivisto da nessuna parte. La sera ci concediamo la prima cena australiana, e scegliamo un bel posto sulla baia: si mangia pesce, e la scritta BYO ci appare – ahinoi! – di buon auspicio. Ne comprendiamo appieno il significato quando, con un piatto a base di pesce, chiediamo del vino. In Australia le licenze per vendere alcol sono molto costose, e quindi molti ristoranti e supermercati non lo vendono. BYO, impariamo così nella nostra prima lezione australiana, sta per “Bring Your Own”, ovvero… “portati da bere”. Si risolve subito, comunque; accanto al ristorante, un negozio di alcolici provvede a vendere vino e altro. Si acquista, si entra, e la bottiglia di vino te la aprono a tavola.

Due o tre giorni dopo, siamo in partenza per Brisbane, sempre sull’affollata (si fa per dire…) costa est australiana. Lì si tiene il convegno mondiale di Sociologia, nel quale incontro Alberto Izzo (uno dei maestri italiani) e illustro la mia relazione su Big Data e Reti Neurali Artificiali come nuovo paradigma della ricerca sociale. Brisbane è una città moderna, senza una grande storia alle spalle: va ricordato che stiamo parlando del nuovissimo continente, e tanto per essere chiari qui diventa sito turistico uno dei primissimi edifici della città, al porto, oggi un ristorante. Stiamo parlando di una costruzione del 1900 circa. Nei dintorni della città un bellissimo, enorme parco dove vengono curati e allevati alcuni degli animali più caratteristici dell’Australia; al Daisy Hill Koala Center l’incontro con numerosi Koala appollaiati su alberi e con altrettanti wallabies, canguri di stazza medio-piccola. Finito il convegno, è ora di volare ancora più a Nord, verso quella barriera corallina che è certamente una delle meraviglie naturali del mondo. Si dice che due siano le cose dallo spazio che si vedono sulla terra a grandissima distanza: la muraglia cinese e la barriera corallina australiana. Non so se sia vero, non sono mai andato nello spazio. Ma le ho viste da vicino entrambe.

Un volo ci porta a Cairns, cittadina sulla costa poco sotto Cape Tribulation (?!) che sarà la base dei prossimi spostamenti australiani. Uno per visitare appunto la grande barriera, il reef (“barriera corallina”, ndr), uno spettacolo che merita da solo il lungo viaggio in aereo. E poi un percorso in treno verso l’interno, un treno panoramico che sale fra gole e montagne nella zona della foresta pluviale fino a Kuranda, un antico paese abitato prevalentemente da nativi. Qui abbiamo finalmente l’occasione per parlare di questa meravigliosa cultura locale, di osservare la grande abilità delle donne nella realizzazione di opere d’arte bellissime, e di toccare con mano il didgeridoo, lo strumento tipico dei nativi australiani, ad ancia labiale, uno dei primi aerofoni: è Djalu il nostro interlocutore che ci spiega il significato dello strumento e del suono nella sua cultura di nativo australiano, prima di esibirsi in un mini-concerto. I nativi australiani hanno subito molti torti allorché la civilizzazione è arrivata sull’isola-continente. Oggi il rapporto con i nuovi australiani è abbastanza tranquillo: pochi nativi vivono nelle periferie delle grandi città (e quasi sempre in condizione di emarginazione), mentre quello che resta della popolazione originaria continua a vivere nelle zone interne dell’Australia.

Lì, simbolicamente quasi al centro, immersa nel “bush” (nella “boscaglia”, ndr) si erge Uluru, nota anche come Ayers Rock, la montagna sacra per i nativi. Un territorio che il Governo australiano ha formalmente riconsegnato agli aborigeni solo nel 1985. E dal 1998, il 26 Maggio in Australia si festeggia il “Sorry Day”, il giorno in cui tutta una nazione chiede scusa ai nativi per i maltrattamenti subiti. Ecco, sia pure con grande ritardo, un atto di grande civiltà che tende all’integrazione e al recupero di culture tradizionali e valori autentici. Una lezione che arriva da un grande, lontanissimo, Paese.


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