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“La scuola è fallita. Urge rifondarla” (Youcanprint Editore). Questo il titolo del lavoro e l’appello di Generoso Zigarella, che nella scuola ha trascorso gran parte della propria vita. Il libro, “dedicato a tutti i nipoti d’Italia” e frutto di lunga ricerca sul campo, è diviso in due parti. Nella prima l’autore delinea e denuncia, indicandone anche le cause, la situazione emergenziale in cui versa attualmente il mondo dell’istruzione. La seconda parte è interamente dedicata agli strumenti, ai progetti, alle risposte pensate con cura da Zigarella per far sì che la scuola riacquisti il proprio ruolo educativo, sociale e culturale. Un viaggio tra open day, sindacati, nuovi metodi didattici, fragilità degli adolescenti e formazione dei docenti alla ricerca di soluzioni e cambiamenti concreti.

Questo libro nasce dalla sua lunga esperienza all’interno della scuola; è stato per molti anni un preside, giusto?

«Sì, sono un preside in pensione di un istituto tecnico e lo sono stato per scelta culturale oltre che per esperienze professionali. Ho sempre notato una forte divaricazione tra i tre “tipi” di scuola: istituti tecnici, istituti professionali e licei. Mentre le rispondo penso a Gramsci: ritengo che questa distinzione corrisponda spesso a una distinzione in classi sociali, se vogliamo utilizzare questo termine. Dirigere un istituto tecnico è stata una scelta mirata. Ricordo che un direttore generale mi chiese di trasferirmi presso un liceo classico. Dissi di no».

Prima è stato un insegnante. Immagino che questo abbia comportato molti cambiamenti nel suo modo di vivere la scuola.

«Sì. Insegnare significa coltivare un rapporto diretto con gli alunni, dirigere una scuola è il passaggio a un contesto di burocratismo; una cosa è il rapporto con gli alunni e con le loro vite ed esperienze che si collegano ai processi di apprendimento, tutt’altra cosa sono i processi burocratici. Le procedure burocratiche, che definirei asfissianti, prevalgono sulle finalità didattiche».

Quando ha avvertito che qualcosa nel mondo scolastico si stava deteriorando?

«Direi che è stato un crescendo; non ci sono stati momenti precisi in cui le cose sono cambiate e si è passati dal bello al brutto, Giambattista Vico diceva che la natura delle cose sta nel loro nascimento».

Pensa che gli studenti abbiano abbastanza voce in capitolo? Bisognerebbe coinvolgerli di più?

«Io penso che non si debba parlare propriamente di dar voce agli studenti perché non è quella la chiave per risolvere i problemi; la loro voce è importante ma non si può sempre assecondarla prendendo, così, la strada della demagogia. Allo studente non si possono chiedere soluzioni, bisogna dargli cultura e capacità di analisi, discussione, rappresentazione. Cultura: è attraverso questa che si costruisce la libertà dello studente».

generoso zigarella libro

Uno dei capitoli che più mi ha colpito del suo lavoro è quello dedicato al personale ATA ( il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, ndr). Spesso ci si dimentica di quanto sia complessa la struttura di un’istituzione scolastica.

«È vero, la scuola è una struttura estremamente complessa e ci vogliono autonomia e professionalità per poterla gestire. Solo con queste due componenti si determinano spazi ed elasticità che rendono poi efficace la scuola. Io sono convinto che bisogna valorizzare molto la professionalità di tutti, dai docenti al personale ATA, che non hanno un ruolo subalterno. Se il personale ATA viene reso più protagonista e competente, anche le procedure burocratiche si sveltiscono. E di questo beneficia tutta la struttura».

Dal libro si evince che il bullismo è un tema che la sta a cuore. Pensa ci sia scarsa coscienza collettiva nei confronti dell’argomento? Le misure per contrastarlo sono efficaci?

«Questo è un tema delicatissimo. Rispetto al bullismo io sono molto critico con la scuola. Ho vissuto dall’interno le dinamiche scolastiche, penso anche ai molti consigli di classe: si mette la polvere sotto al tappeto, si cerca di non affrontare in maniera diretta e concreta il fenomeno e si ignorano le dinamiche che portano un alunno ad esserne vittima. Ci sono forme di omertà che non ci dovrebbero essere nella scuola».

Lei si sofferma nel suo libro, nello specifico, sulla scuola secondaria di secondo grado. L’impressione per chi legge è che chi si occupa di scuola lo faccia spesso prestando poca attenzione alle esigenze delle diverse fasce d’età degli alunni.

«Questo è il problema di fondo: al centro dei dibattiti e dei tavoli di lavoro non c’è mai lo studente, ci sono altri interessi collaterali che trascurano i bisogni degli studenti. Si possono spendere anche miliardi ma il sistema scolastico resta non solo inadeguato ma anche inefficace se non si agisce con cognizione di causa. I politici dovrebbero capire davvero cos’è la scuola oggi, conoscerla, prima di procedere con riforme e cambiamenti».

Anticipando i tempi complicati in cui adesso ci troviamo, Lei ha affrontato anche il problema degli edifici scolastici. È la dimostrazione che tutti i nodi vengono al pettine?

«Quella in cui ci troviamo è una situazione grave ed eccezionale che nessuno immaginava. Però, bisogna dirlo, se la questione della sicurezza edilizia e degli ambienti scolastici fosse stata affrontata adeguatamente in condizioni di normalità, ora le difficoltà sarebbero minori. Il problema della gestione di questi valori sarebbe oggi di portata diversa se fosse stato preso seriamente in considerazione prima».

Ha scritto anche di “telestudio”, cosa ne pensa della recente “didattica a distanza”?

«Io sono convinto che tutte le modalità di insegnamento debbano essere presenti nel percorso formativo degli allievi, anche la scuola capovolta e la dad tenendo però a mente due considerazioni. La prima è che la scuola de visu, studenti fra studenti e docenti fra studenti, non può essere sostituita: il resto può costituire un momento di integrazione e arricchimento ma conta la vita scolastica, che non può essere sostituita. La seconda è che i docenti devono essere messi in condizione di non essere dominati dal mezzo. Nella scuola italiana si deve programmare tutto, le professionalità degli insegnanti non si possono improvvisare».

Per alcune famiglie, che non disponevano dei supporti necessari, la situazione è stata drammatica.

«Infatti. Bisogna fare in modo che tutti gli studenti possano usufruire di questa opportunità di insegnamento. Bisogna pensare a più metodi e più mezzi e calibrarli in base alle diverse esigenze».

Qual è l’invito che vorrebbe lanciare a chi si occupa della scuola?

«L’invito è di rifondare la scuola, di intervenire in maniera radicale perché questo odierno è un sistema inadatto alla formazione della nuova classe dirigente di cui l’Italia necessita. Gran parte della crisi attuale, economica e sociale, è conseguenza dell’arretramento culturale italiano e quest’ultimo dipende direttamente dall’arretramento scolastico che interessa la scuola secondaria».

Forse di scuola dovremmo iniziare a interessarci tutti, non solo i genitori o chi ci lavora.

«La scuola non è un sistema chiuso, la scuola interessa l’intera società e ad essa dovrebbe interessarsi ogni cittadino».

La seconda parte del suo libro è piena di proposte concrete. Vuol dire che non si è rassegnato, che crede ancora in un cambiamento?

«Io non sono assolutamente pessimista. Mi auguro che ci sarà una classe politica all’altezza che farà davvero della scuola una questione principale. È quello di cui abbiamo bisogno».


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