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Il 31 marzo 2020 è uscita una circolare del Ministero dell’Interno dove si legge che “per quanto riguarda gli spostamenti di persone fisiche, è da intendersi consentito, ad un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto, purché in prossimità della propria abitazione”. A seguito di questa circolare sono stati emessi provvedimenti regionali per consentire, nel rispetto della distanza di sicurezza e dell’uso dei dispositivi sanitari, le uscite alle persone disabili, in particolare per bambini e ragazzi affetti da autismo. Subito dopo è arrivata una smentita del Presidente del Consiglio Conte che negava di aver concesso la cosiddetta ora d’aria a chicchessia.
Considerando le difficoltà dei nuclei con un familiare affetto da autismo, questa confusione sembra una beffa che si unisce all’ulteriore danno che l’emergenza coronavirus ha creato.
«È un momento di abbandono. Dopo la chiusura dei centri diurni e dei centri di riabilitazione il decreto del 17 marzo all’articolo 48 ha previsto l’assistenza domiciliare. Sulla carta, perché nella realtà accade che la Cooperativa che ha vinto l’appalto comunale per svolgere questo lavoro, può decidere di chiudere per emergenza coronavirus. E lo fa. Lasciandoci da soli».
Questo il grido di dolore di Giulia, mamma di Totò, che così descrive la situazione in cui versa non solo il figlio, ragazzo autistico di 15 anni, ma la sua intera famiglia: «Totò è ormai abituato da quando aveva tre anni a svolgere la sua routine quotidiana: la scuola, lo sport, la musica, la terapia. E in ogni situazione insegnanti, educatori, terapisti, allenatori sono persone specializzate che nel tempo sono riusciti a costruire con lui una relazione positiva. Tutti questi specialisti sono in buona parte pagati di tasca nostra perché il numero di ore stabilite dagli enti pubblici è insufficiente e deve essere necessariamente integrato. Ma solo alcune famiglie possono permetterselo. Da un giorno all’altro adesso è scomparso tutto. Il problema è che Totò non lo capisce. Non può capirlo».
Non può perché nell’autismo l’astrazione concettuale è in varie misure deficitaria, quando non è del tutto assente. Così Totò non solo non accetta di rimanere a casa, ma soprattutto non sa spiegarselo. Allora tutte le mattine si sveglia alle 4.30, va da Mamma Giulia che dorme e le grida: «Mamma! Sono sveglio!». Torna in camera sua canta, grida, inizia a muoversi come un leone in gabbia, con tutta l’energia dei suoi quindici anni. Si prepara per andare a scuola, come ha appreso in anni di terapia occupazionale. Lì dove lo aspettano gli insegnanti, i compagni e le attività adatte a lui, articolate in una programmazione differenziata che seguiva con interesse. Ma ormai da molti giorni Totò resta fermo con lo zaino sulle spalle davanti alla porta, paralizzato di fronte a quella chiusura che è rifiuto e sottrazione. Sottrazione che apre la porta ad un’angoscia incontenibile.
Per Totò il tempo si è trasformato in un incubo, in un’attesa senza fine. I genitori cercano di organizzare per lui attività da svolgere tra le mura domestiche, ma questo non basta a evitare che l’impedimento si trasformi in autolesionismo e violenza verso oggetti e persone.
«Totò non assorbe la frustrazione del cambiamento che vive come un rifiuto, un abbandono. Ormai ha il volto pieno di cicatrici perché si graffia e non sempre riusciamo a fermarlo» dice la mamma.
Così per tutta la famiglia #iorestoacasa si trasforma in lunghe giornate di dolore, sofferenza e sfinimento e, comunque venga interpretata la circolare, neppure l’ipotetica e controversa passeggiata intorno a casa potrà mai colmare l’assenza delle molteplici attività e relazioni che costituivano la giornata di Totò.
Oltre a Mamma Giulia e Papà Andrea c’è un fratello minore: Jaco, di 10 anni, che è affezionatissimo a Totò e da sempre cerca in ogni modo di sostenerlo.
Tra i due c’è una reciproca intesa, perché seppure sembrano provenire da due pianeti diversi, l’amore dei genitori li ha avvicinati fino alla creazione di un legame indissolubile, anche se complesso. Infatti è proprio l’insieme delle tante difficoltà, che scandiscono la vita di questa famiglia, il gradino sul quale tutti e quattro sono saliti per conquistare, un morso dopo l’altro, quella routine così preziosa per l’equilibrio del più fragile: Totò.
Vivendo in questa famiglia Jaco ha sviluppato rare qualità umane, impensabili in un bambino di dieci anni. Sa che suo fratello non ama il rumore, le novità, le persone sconosciute. Sa che se Totò vuole mangiare, si deve mangiare, se decide di svegliarsi nel cuore della notte è così e non si può evitare.
Giulia afferma: «Siamo una famiglia autistica» e mi spiega che nei fine settimana e nei periodi di ferie si spostano in camper. Spesso si recano in Romagna, dove esistono strutture alberghiere e di intrattenimento adatte specificatamente alle persone autistiche. Ma questi momenti felici ora sono molto lontani…E mentre per altri ragazzi della sua età la didattica è diventata a distanza, per Totò il virtuale non funziona. Rifiuta le videochiamate dei suoi educatori, perché è proprio l’utilizzo dei dispositivi digitali a rimarcare la mancanza della loro presenza fisica. Solo un’operazione simbolica potrebbe trasformare in parola l’assenza fisica di qualcuno che Totò aspetta da giorni. Ma ciò non potrà accadere perché Totò è autistico e non ha questa capacità. Anni di paziente lavoro di cucitura dei diversi interventi specialistici curato da Mamma Giulia e Papà Andrea si annullano. Come questa sono tante le “famiglie autistiche” che vivono situazioni simili o anche più gravi. E il grido di dolore di Mamma Giulia si trasforma in accusa: «Il decreto Cura Italia ha previsto i voucher per le baby-sitter e nulla per disabili e malati mentali, né sostegni psicologici per la loro famiglie».
È inutile aggiungere altro alle parole di questa madre: è un dato di fatto che il disturbo mentale non sia riconosciuto al pari della malattia organica. Del resto è più semplice aiutare chi ha una gamba fratturata, ma è dotato di normali facoltà intellettive, che una persona ritenuta folle, strana, diversa. E ancora una volta inclusione resta una parola vuota che gira intorno all’incapacità umana di comprendere, aiutare, amare il prossimo.
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