X
<
>

Share
10 minuti per la lettura

L’omaggio di Rubbettino per i cento anni della nascita del poeta calabrese Franco Costabile, uno dei maggiori interpreti del Sud del pensiero del novecento


«Con questo cuore troppo cantastorie / dicevi ponendo una rosa nel bicchiere, /e la rosa s’è spenta a poco a poco, / come il tuo cuore. Si è spento per cantare / una storia tragica per sempre». Questi i versi di Giuseppe Ungaretti, tanto intensi quanto eterni, incisi sulla lapide di Franco Costabile. L’illustre epitaffio, cogliendo i simboli essenziali della poesia costabiliana, chiude anche la Nota biografica di Giovanni Mazzei in calce al volume La rosa nel bicchiere, opera omnia del poeta uscita per Rubbettino con un’introduzione di Aldo Nove.

Una rilevante operazione editoriale che, nell’anno del centenario della nascita (l’anniversario sarà proprio il 27 agosto), ha saputo restituire alla memoria di tanti una delle voci più alte e sensibili della letteratura del Novecento.
Franco Costabile rientra, a pieno diritto, in una generazione letteraria e poetica tanto variegata quanto complessa. Dai primi anni universitari trascorsi alla facoltà di Lettere in Sapienza, dove prima di laurearsi con una tesi in paleografia nel 1946 sarà allievo di Giuseppe Ungaretti, docente di Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea, fino ai fitti scambi epistolari intrattenuti con i più illustri intellettuali del suo tempo – tra cui spiccano Vittorio Sereni, Elio Vittorini e Giorgio Caproni – Franco Costabile e la sua poesia riuscirono a penetrare il sostrato culturale dell’epoca e a ritagliarsi uno spazio significativo nell’eterogeneo parterre della letteratura italiana.

FRANCO COSTABILE, DAL SUD AL MONDO DELLA POESIA NAZIONALE

A Roma, Costabile, come ebbe modo di scrivere Caterina Verbaro, «intercetta quel periodo di collettivo fermento e di profondo rinnovamento culturale» a seguito del secondo conflitto mondiale. Oltre a frequentare il «fecondo cenacolo artistico» di studenti e letterati creatosi attorno alla figura di Ungaretti, riconosciuto da Costabile come maestro di poesia e che ispirò molte sue liriche, si inserì perfettamente nell’elite intellettuale romana, collaborando attivamente con diverse riviste come «Botteghe oscure» e «L’Europa letteraria». Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Sergio Saviane, Elio Filippo Accrocca, Libero de Liberi, Giuseppe Berto, Giorgio Petrocchi, Enotrio Pugliese sono solo alcuni degli stimati colleghi con cui Costabile intrattenne rapporti di amicizia e reciproca stima.

La poesia di Costabile, sin dalle prime prove, è stata una poesia del reale che con la realtà ha voluto sempre fare i conti, cercando un dialogo attivo, non importa quanto crudelmente, e accettandone ogni punta d’amarezza e d’incertezza, lasciando la parola agli ultimi, dando piena voce a un universo così lontano e impercettibile quanto attivo e presente. I suoi versi hanno assunto gradualmente i toni della protesta, della denuncia spietata di un Mezzogiorno tramortito con in bocca l’amaro della rivalsa. Una lirica civile potente, come sostiene Aldo Nove nell’introduzione a La rosa nel bicchiere, che con il Canto dei nuovi emigranti del 1964 raggiungerà l’apice della sua espressione. Proprio nell’introduzione a Sette piaghe d’Italia, volume collettaneo in cui apparve per la prima volta il Canto dei nuovi emigranti, del testo si legge che fu «tra i più spietati ed ispirati inni civili dal ’45 ad oggi».

GLI ANNI PRIMA DELLA GUERRA

Una protesta e una denuncia che, a ben vedere, si manifestarono nel giovane Costabile già nel 1939, prima dell’imminente passaggio dal neorealismo al neovanguardismo dei «Novissimi» di Alfredo Giuliani e del Gruppo ’63 del secondo dopoguerra. Si pensi a Vana attesa – tra le più significative Poesie disperse a cui il volume Rubbettino dedica una consistente sezione – che viene data alle stampe presso la tipografia Nucci di Nicastro da un Costabile appena quindicenne: «Da tempo che non so, / come non sanno tutti alla mia età, / a casa non ritorna / il babbo amato, che la mamma sa / con tenere parole ravvivare» e più avanti «Un mondo c’è tra noi; / tra padre e figlio».

Quell’ «ottimo lettore della contemporaneità» in grado di «guardare alla gente e ai luoghi semplicemente raccontandoli» intercettato da Luigi Tassoni in una nota critica di pochi mesi fa, trova compiutezza nell’origine di Costabile, nell’analisi di quel seme «del piangere» che segnò l’adolescenza costabiliana: il dramma familiare, quel mancato ritorno del padre dal sapore pascoliano percepito in tutto il suo sofferto dolore, che diventa, senza eccedere, dura amarezza e «stigma psicologico dell’abbandono».

I VERSI DI COSTABILE COMPLEMENTARI ALLE GRANDI PROVE D’AUTORE DEL 900

Il verso muto di una tragicità filtrata da uno stile limpido, una dizione già rapida ed epigrammatica, diverrà «spiazzante per lingua e immagini» e familiare solo ne La rosa nel bicchiere. Una poesia di sguardi semplici in grado di indagare e analizzare la complessità e la tragicità di ciò che esiste e di ciò che appare attraverso pennellate chiare, veloci, scattanti, dal linguaggio lineare e accessibile.

La poesia di Costabile non si spegne tra coloro che, da sempre, sono stati elevati a indiscussi baluardi della letteratura italiana. I suoi versi non soccombono ad altri più celebri, anzi risultano complementari alle grandi prove d’autore novecentesche. In tal senso si pensi a un quadro comparatistico d’insieme, libero da condizionamenti, specie quelli legati alle etichette «tutte terminanti con -ista» che Aldo Nove definisce «vero e proprio abbaglio storico».

LA PRIMA RACCOLTA DI POESIE DI FRANCO COSTABILE, IL POETA DEL SUD MA NON SOLO

Il 1950, anno di Via degli ulivi, prima raccolta di Costabile pubblicata per i «Quaderni di Ausonia» che trovò i commenti positivi di Vittorio Sereni e Giorgio Caproni, è anche l’anno de La terra promessa di Ungaretti e della battaglia «combattuta ai confini del linguaggio» di Andrea Zanzotto, de La terra impareggiabile di Salvatore Quasimodo, La bufera e altro di Eugenio Montale che, seppur pubblicata diversi anni dopo raccoglie alcune poesie scritte in precedenza, o La capanna indiana di Attilio Bertolucci che per la sua forte introspezione lirica lo rendono più vicino all’universo calogeriano. Lo stesso Aldo Nove, sempre nell’introduzione a La rosa nel bicchiere, non nasconderà il suo apprezzamento verso Lorenzo Calogero, oltre che Franco Costabile, i «due grandi maestri» che hanno saputo raccontare in modo diametralmente opposto l’asprezza e la meraviglia di «una terra arcaica dominata da una natura ancora selvaggia e ineffabile».

La rosa nel bicchiere del 1961, di poco successiva a Il seme del piangere di Giorgio Caproni e Opus metricum di Edoardo Sanguineti e dello stesso anno di Nel magma di Mario Luzi e L’intelligenza col nemico di Giovanni Giudici, arrivò all’editore Canesi grazie a Leonida Repaci e lo portò alla vittoria del Premio di Lentini.

LA POESIA UNIVERSALE, VIVA E REALE

Quella di Franco Costabile, a conti fatti, è una poesia universale perfettamente contestualizzata, viva, reale; d’altro canto Costabile non può essere considerato come semplice poeta del Sud. Tra gli esponenti più veri del ‘900 italiano, Costabile ha lasciato una traccia chiara ed evidente della sua poetica. Poeta ispirato, spinto da un’incrollabile fedeltà a sé stesso, sarebbe un errore accostarlo, come per altri è stato fatto, a un movimento letterario preciso dal momento che la vera essenza della sua poesia risiede in una genuina ispirazione, nell’urgenza di affrontare presente e passato, nella premura di affidare temi come l’esilio e l’abbandono alla poesia, insieme a quella profonda e drammatica interiorità di un Sud-Mondo.

L’ERMETISMO MERIDIONALE DI COSTABILE E CAPRONI

In Costabile sembra muoversi un ermetismo tutto meridionale, inteso non come corrente mutevole all’alternarsi delle mode, ma “chiusura stilistica” di una poesia della distanza e dell’attesa, della storia e della tradizione. La stessa asprezza presente nei primi versi che rimarrà costante nelle poesie successive, tanto prossima a quella «fenomenologia dell’abbandono» tipica di molti autori novecenteschi.

Abbandono e “cose perdute” che tornano prepotentemente in Res amissa, raccolta postuma di Giorgio Caproni, uscita un anno dopo la morte del poeta livornese e curata per Garzanti da Giorgio Agamben, in cui si può leggere la poesia Per Franco Costabile, suicida.
«Si muore d’asfissia, / è noto, per difetto / d’ossigeno. Lo si può anche, / e forse più dolorosamente, / per mancanza d’affetto». Sono versi che non lasciano spazio a interpretazioni e respingono le opinioni più autorevoli. Una risposta lapidaria alla tragedia più grande, risposta che, al tempo stesso, è una domanda per «difetto d’ossigeno», una richiesta per «mancanza d’affetto».

Quella di Caproni diventa così un’evidente presa di coscienza e non di posizione, e proprio in quel verso breve, rapido ed epigrammatico, così esplicito ed efficace, si ritrova lo stile di Costabile, quella di Sul modo di essere liberi quando scrive: «Sedete / su una panchina / a riflettere: / vita vecchiaia solitudine. / Provate. / Provateci una volta» oppure nei più celebri «Un arancio / il tuo cuore, / succo d’aurora. / Calabria, / rosa nel bicchiere».
Con Giorgio Caproni i punti di contatto sono pressoché infiniti. Dalla versificazione istantanea e interrotta al gusto per le strofe sospese, fino al gioco chiaroscurale tra ciò che è dicibile e ciò che resta silenzioso.

LA VICINANZA DI COSTABILE AI SUOI CONTEMPORANEI

Un chiaro esempio lo si vede ne Il seme del piangere, raccolta del 1959 del poeta livornese, che si apre con un «Perch’io, che nella notte abito solo, / anch’io di notte, strusciando un cerino / sul muro, accendo cauto una candela / bianca nella mia mente»; in Via degli Ulivi, invece, si legge «Nella tua notte / io solo ti vedo / colma di luce. / Ai miei occhi / poveri di storia / si rammenta / il gioco a mosca cieca / delle lucciole: /tu ed io nel sonno degli ulivi». Ma anche l’Annina di Caproni, madre del poeta che immagina di rivedere giovane, «leggera», «capinera», «bianca e nera», contrapposta alla povera Lisetta «caduta nel fiume» o «alla piccola Valeria»; la tragica partenza di Annina da un lato, la consapevolezza di Costabile dall’altra: «Tu sei partita. Che pena ascoltare il fischio del trenino alla pianura».

Come il Caproni di Res amissa e dei Versicoli quasi ecologici (1972) Costabile gioca con i lettori, alterna il “noi” e il “voi”, lui stesso si fa lettore delle cose perdute nel Canto dei nuovi emigranti, le “cose di prima” che si affastellano, si allontanano e si avvicinano, le “cose dell’ora” che vengono licenziate, a volte trascurate. In Qualcosa, poesia riprodotta come autografo manoscritto sul volume di Traversetti dedicato all’amico pittore Enotrio Pugliese, si avverte un che di testamentario. C’è qualcosa che è più cose insieme: qualcosa di perduto, «da licenziare coi libri, con le macchine, con le stelle che aspettano», e qualcosa che «deve invece ripetersi / rassomigliare».

L’EVOLUZIONE DI COSTABILE E LA SCIA DI UNGHERETTI

In Costabile si ravvisano stilemi pasoliniani, i temi sociali e politici di Repaci; secondo Nove «Dino Campana e Franco Costabile erano uniti dall’unica necessità di esprimere il proprio mondo interiore come il trasognato, emarginato Sandro Penna o il canto implicito e dirompente di un Sud, quello di Alfonso Gatto».

E ancora Montale, Saba, Sbarbaro, la poesia civile, ricca di sofferenza e bellezza, di tradizione e paesaggi naturali di Corrado Alvaro. Ungaretti in Canto del 1932, contenuta ne Il sentimento del tempo, scrisse della «crudele solitudine / che in sé ciascuno scopre, se ama, / ora tomba infinita, / da te mi divide per sempre. / Cara, lontana come in uno specchio». Costabile raccontò di quello stesso specchio in una strofa enigmatica, quasi fosse un indovinello, cogliendone tutto l’accoramento e «chiedendosi forse / a che serve nel vicolo / guardarsi a un pezzo di specchio».

In Via degli Ulivi la lezione ungarettiana è già stata assimilata, la solitudine diventa quella del «tempo» che «ci pesa e fa male», l’amore, invece, è quello così lontano che «in questo giorno sapido di morte» è necessario e sogna di essere ritrovato. È probabile però che la poesia di Costabile si ritrovi maggiormente, e non a caso, proprio nelle «poesie disperse» del 1916 di Ungaretti in cui si legge «la malinconia mi macera il corpo dissanguato, mi dissangua la poesia».
Da qui l’attualità di Franco Costabile, una voce di viva protesta che attraverso i suoi versi tonanti di denuncia non solo ha indicato chiaramente cos’è stato il Sud, ma ha evidenziato ciò che, per certi versi, accende tuttora la questione meridionale. La sua poesia contro il tempo resiste e resisterà ancora a lungo e «noi dobbiamo deciderci / con questo cuore troppo cantastorie» ad ascoltarla dieci, cento, mille volte.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE