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Raffaello, genio assoluto e divino, la differenza con gli altri pittori risiede nel suo essere senza capricci e originale


La differenza tra Raffaello, assoluto e divino, e gli altri pittori, è nella assenza di stravaganza, capricci, originalità di condotte che spesso accompagnano il genio, da Leonardo a Michelangelo, da Caravaggio a Van Gogh.
Una frequenza tale da aver generato l’endiadi “Genio e sregolatezza”. Dunque un artista ordinato, e anche rassicurante, nel racconto di un mondo di valori di cui è testimone, prima che interprete. In Raffaello la forza dell’individuo è subordinata al suo compito di spiegare e illustrare non miracoli o storie, ma la grandezza della chiesa. Il primo a registrarne l’insolita condizione, quasi evocando l’artista maledetto che era di lì a venire, ma che era suggerito proprio da lui, impareggiabile narratore di pittori, e fedelissimo del più potente per carattere e indipendenza, Michelangelo: Giorgio Vasari:

“Con ciò sia che la maggior parte degli artefici passati avevano sempre da la natività loro arrecato seco un certo che di pazzia e di salvatichezza, la quale oltra il fargli astratti e fantastichi fu cagione, il piú delle volte, che assai piú apparisse e si dimostrasse l’ombra e l’oscuro de’ vizii loro, che la chiarezza e splendore di quelle virtú, che giustamente fanno immortali i seguaci suoi. Dove per adverso in Rafaello chiarissimamente risplendevano tutte le egregie virtú dello animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia e costumi buoni, che arebbono ricoperto e nascoso ogni vizio quantunque brutto, et ogni machia ancora che grandissima. Per il che sicurissimamente può dirsi che i possessori delle dote di Rafaello, non sono uomini semplicemente, ma dèi mortali.”
Dunque in questo suo probo, e insolito, temperamento, Raffaello è pressoché unico, e, anzi, un “Dio mortale”. E in perfetta armonia con i genitori.

“Nacque Rafaello in Urbino città notissima l’anno MCCCCLXXXIII, in Venerdí Santo a ore tre di notte, d’un Giovanni de’ Santi, pittore non molto eccellente, anzi non pur mediocre in questa arte. Egli era bene uomo di bonissimo ingegno e dotato di spirito e da saper meglio indirizzare i figliuoli per quella buona via, che per sua mala fortuna non avevano saputo quelli che nella sua gioventú lo dovevano aiutare…E subito nato lo destinò alla pittura ringraziandone molto Idio, né vole mandarlo a baglia, ma che la madre propria lo alattassi continovamente.

Crescendo fu ammaestrato da loro, che altro che quello non avevano, con tutti que’ buoni et ottimi costumi che fu possibile; e cominciando Giovanni a farlo esercitare nella pittura e vedendo quello spirito volto a far le cose tutte secondo il desiderio suo, non gli lasciava metter punto di tempo in mezzo né attendere ad altra cosa nessuna, acciò che piú agevolmente e piú tosto venissi nell’arte di quella maniera che egli desiderava… E cresciuto che fu cominciò a esercitarlo nella pittura, vedendolo a cotal arte molto inclinato, di bellissimo ingegno; onde non passarono molti anni che Raffaello, ancor fanciullo, gli fu di grande aiuto in molte opere che Giovanni fece nello stato d’Urbino.

In ultimo, conoscendo questo buono et amorevole padre che poco poteva appresso di sé acquistare il figliuolo, si dispose di porlo con Pietro Perugino il quale, secondo che gli veniva detto, teneva in quel tempo fra i pittori il primo luogo; per che andato a Perugia, non vi trovando Pietro, si mise, per più comodamente poterlo aspettare, a lavorare in San Francesco alcune cose. Ma tornato Pietro da Roma, Giovanni, che persona costumata era e gentile, fece seco amicizia e quando tempo gli parve, col più acconcio modo che seppe, gli disse il desiderio suo.

E così Pietro, che era cortese molto et amator de’ belli ingegni, accettò Raffaello; onde Giovanni andatosene tutto lieto a Urbino e preso il putto, non senza molte lacrime della madre che teneramente l’amava, lo menò a Perugia, là dove Pietro, veduto la maniera del disegnare di Raffaello e le belle maniere e’ costumi, ne fé quel giudizio che poi il tempo dimostrò verissimo con gl’effetti. È cosa notabilissima che, studiando Raffaello la maniera di Pietro, la imitò così a punto et in tutte le cose che i suo’ ritratti non si conoscevano dagl’originali del maestro e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere…”

E, altro motivo di stupore, è questa particolarissima condizione di figlio tanto amato da indurre il padre Giovanni Santi ad affidarlo a un pittore più bravo di lui, in perfetta consapevolezza dei propri limiti, con la piena disponibilità del Perugino. Un gesto, dell’uno e dell’altro, così nobile da assumere un significato altissimo, un patto di vita: “affidato il figlio undicenne al vero maestro, il padre morì.”
Un altro momento di primato degli affetti è la chiamata a Roma, per le stanze Vaticane, volute da Guilio II, grazie al Bramante, quasi urbinate, di Fermignano. Una pagina da mozione degli affetti:

“E questo avvenne perché Bramante da Urbino, essendo a’ servigi di Giulio II, per un poco di parentela ch’aveva con Raffaello e per essere di un paese medesimo, gli scrisse che aveva operato col Papa, il quale aveva fatto fare certe stanze ch’egli potrebbe in quelle mostrar il valor suo. Piacque il partito a Raffaello, perché lasciate l’opere di Fiorenza e la tavola dei Dei non finita, ma in quel modo che poi la fece porre Messer Baldassarre da Pescia nella Pieve della sua patria dopo la morte di Raffaello, si trasferì a Roma, dove giunto, Raffaello trovò che gran parte delle camere di palazzo erano state dipinte e tuttavia si dipignevano da più maestri; e così stavano, come si vedeva, che ve n’era una che da Pietro della Francesca vi era una storia finita…

Laonde Raffaello, nella sua arrivata avendo ricevute molte carezze da papa Iulio, cominciò nella camera della Segnatura una storia quando i Teologi accordano la filosofia e l’astrologia con la teologia, dove sono ritratti tutti i savi del mondo che disputano in vari modi; sonvi in disparte alcuni astrologi che hanno fatto figure sopra certe tavolette e caratteri in varii modi di geomanzia e d’astrologia, et ai Vangelisti le mandano per certi Angeli bellissimi, i quali Evangelisti le dichiarano. Fra costoro è un Diogene con la sua tazza a giacere in su le scalee, figura molto considerata et astratta Similmente vi è Aristotile e Platone, l’uno col Timeo in mano, l’altro con l’Etica, dove intorno li fanno cerchio una grande scuola di allievi”.

È la descrizione della “Scuola di Atene”: il più grande manifesto dell’Occidente, e del trionfo ideologico e religioso del Rinascimento. E risposta grata, perfino assurda ed esaltata, di papa Giulio II, è potentissima, un superamento del passato nella certezza del presente, nel vivo pensiero della grandezza di Raffaello, quasi un insuperabile teologo, come nessuno era stato: “Adornò ancora questa opera di una prospettiva e di molte figure finite con tanto delicata e dolce maniera che fu cagione che papa Giulio facesse buttare atterra tutte le storie degli altri maestri e vecchi e moderni, e che Raffaello solo avesse il vanto di tutte le fatiche che in tali opere fussero state fatte sino a quell’ora. E se bene l’opera di Giovan Antonio Soddoma da Vercelli, la quale era sopra la storia di Raffaello, si doveva per commessione del Papa gettare per terra.”
Già per Sodoma era pronto uno spazio nobile nell’affresco universale della Scuola di Atene.
Affetti: grande pittura.


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