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Alessandro Baricco

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IN ORIGINE, Nietzsche non era un filosofo, ma un filologo. Studiava l’antica Grecia con una passione tale da ottenere la cattedra di lingua e letteratura greca all’età di ventiquattro anni. Dopo pochi semestri, però, Nietzsche decise di abbandonare l’insegnamento universitario. Si era reso conto che l’accademia, seguendo rigorosamente il metodo scientifico, non poteva più progredire. Le mancava l’intuizione. Peggio ancora: l’intuizione, intesa come espressione del sé, era stata messa al bando. Dalla seconda metà degli anni ’70 dell’Ottocento, Nietzsche diventa un apolide, un senza patria. Gira l’Europa incarnando la figura del filosofo-viandante. Nel settembre del 1888, il suo girovagare lo porta a Torino, in un appartamento da 30 lire al mese in via Carlo Alberto 6. Oggi, una targa ne ricorda la permanenza. Un secolo più tardi, un giovane Alessandro Baricco, neolaureato in filosofia, contempla quella targa commemorativa. Con Nietzsche ha in comune la passione per i greci e per la musica (inizierà la sua carriera come critico musicale per la Repubblica e poi per La Stampa), nonché un certo senso di riluttanza nei confronti della cultura erudita.

Così, osservando l’invito nietzschiano a tradire se stessi, Baricco lascia – almeno temporaneamente – la strada intrapresa, per diventare un narratore. È ancora ignaro del fatto che, anni dopo, in Italia, il mestiere del narrare sarà indissolubilmente legato al suo nome.

L’esordio di Alessandro Baricco come scrittore risale al 1991, quando esce per Rizzoli Castelli di rabbia. Già dal suo primo libro è evidente che abbia una voce estremamente riconoscibile, capace di giocare magistralmente con il lettore, di legarlo alla pagina con la suggestione. Una voce che rapisce, che dice ciò che il lettore vuole sentirsi dire ancor prima che quest’ultimo si renda conto di volerselo sentir dire. Altrettanto evidente è che la voce di Baricco sia il risultato di una polifonia: è il coro, perfettamente modulato, degli autori che hanno formato il suo universo letterario: Dickens, Proust, gli americani. La sua prosa è un risultato quasi esatto di queste influenze: asciutta e calda insieme, ossimorica. Invogliato dall’accoglienza del suo esordio (che viene candidato al Premio Campiello e che vincerà il Prix Médicis étranger), Baricco, a scrivere romanzi, ci prende subito gusto. Nel ’93 e nel ’96 escono due dei suoi romanzi più apprezzati dal pubblico: Oceano Mare e Seta. Nel ’94, scrive la sua prima sceneggiatura teatrale, il monologo Novecento, epica storia di un pianista nato su una nave da cui non scenderà mai, resa celebre dalla trasposizione cinematografica di Giuseppe Tornatore (La leggenda del pianista sull’oceano, 1998). Alla costante ricerca della libertà espressiva, si mette alla prova in molteplici forme letterarie, senza mai perdere il suo stile peculiare, che non vacilla né nella sua folta produzione saggistica, né in esperimenti più arditi, come la contestata riscrittura dell’Iliade omerica, uscita per Feltrinelli con il titolo Omero, Iliade.

Mentre la sua carriera da scrittore decolla, Baricco si rivolge anche a un pubblico ben più amplio di quello dei lettori, approdando in televisione. A partire dal 1993 si dedica alla divulgazione culturale con programmi come L’amore è un dardo (in cui si occupa di musica lirica) e il più noto Pickwick, di cui è anche ideatore, a cui farà eco Totem, condotto assieme a Gabriele Vacis. Forte dei successi in libreria, ormai volto nazional-popolare dell’intellettuale italiano, Alessandro Baricco consegna il suo nome alle prime pagine degli inserti culturali anche per un’altra ragione. Nel 1994, fonda a Torino la Scuola Holden, una scuola di scrittura creativa. Il fatto non lascia indifferenti gli animatori del dibattito culturale, la maggior parte dei quali non era certo abituata all’idea – tutta americana – di una scuola dove imparare a scrivere. La Scuola Holden nasce così, tra lo stupore degli addetti ai lavori, “in una palazzina liberty vicino al Po, […] grande quanto un paio di campi da tennis” – oggi ha una sede molto più grande: una vecchia fabbrica di bombe in Piazza Borgo Dora. Il nome, com’è intuibile, è preso in prestito dal celebre personaggio di J.D. Salinger, Holden Caulfield. La ragione viene spiegata dallo stesso Baricco: fondare l’unica scuola da cui nemmeno Holden – che all’inizio del romanzo viene cacciato dalla terza scuola consecutiva – sarebbe mai stato espulso. Una scuola che premiasse l’intuizione e non l’erudizione. Che incentivasse l’espressione del sé.

Il caso di Alessandro Baricco è piuttosto unico nella letteratura italiana contemporanea. Scrittore di successo, divulgatore e imprenditore culturale, le sue scelte, e la fama che ne è derivata, gli sono costate spesso la nomea del piccolo borghese moderatamente colto – parafrasando le parole usate dal critico letterario Giulio Ferroni durante un celebre alterco risalente al 2006 – che sfrutta le sue doti comunicative come fosse un sofista delle emozioni. Un affabulatore. Eppure, anche volendo tralasciare per un momento la sua produzione letteraria, ascoltare Alessandro Baricco che parla di letteratura resta un’esperienza degna di nota – forse unica. Per essere più precisi: ascoltare Alessandro Baricco – di musica, dei greci, del ferro di una vecchia nave o della forma dei primi computer – trasforma tutto il mondo in letteratura. Tanto che, nel suo caso, il verbo parlare può essere utilizzato come sinonimo del verbo narrare. Nei suoi trent’anni, camminando per la sua Torino, con le maniche della camicia già rigirate appena sotto il gomito, le mani in tasca e i ricci ancora scuri, con lo sguardo rivolto alla targa commemorativa di Federico Nietzsche, è probabile che non sapesse cosa sarebbe diventato.

È possibile che nel cuore avesse solo un sentimento, lo stesso del pianista Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, che confinato tra prua e poppa nella vastità dell’oceano non poteva fare a meno di chiedersi se la vita fosse più vasta di come gli appariva, e in ogni luogo diversa ma in ogni luogo uguale. Ma come il suo personaggio, Baricco non scenderà mai dalla sua nave. Continuerà a suonare, “perché l’oceano è grande”.


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