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Un set di cartoline di auguri

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Le origini del rituale degli auguri, storia di una tradizione antica … E cinquanta anni fa un esperimento fece scoprire al mondo la reciprocità


Auguri, auguri, auguri, auguri, auguri: a tutti, per tutti, su tutto (tranne gli scaramantici che amano il classico in bocca al lupo). Ma quando è iniziato questo rituale degli auguri?
Un gioco lessicale: a te, ai tuoi, da noi, a voi, a loro e gli auguri sono fatti. In apparenza poco a che vedere con l’inizio della storia, cioè con quegli Àuguri conosciuti in tutto il mondo antico per la loro arte divinatoria da cui però gli auguri di oggi discendono se non altro per la radice etimologica. La parola augurium in latino significa augurio, presagio o anche profezia, comunque porta in sé l’auspicio di qualcosa di bello. Nella moderna babele di auguri reali o virtuali però quasi nessuno ricorda più che dietro questo rituale c’è una storia secolare.

Bisogna andare indietro nel tempo. Tornare agli Egizi, ad esempio, che usavano foglie di papiro per scrivere messaggi di buon augurio. Risalire agli Etruschi e ai Romani. Si perde nella notte dei tempi, l’origine del termine che predilige la versione “trarre auspici” e rimanda all’àugure. Questa misteriosa figura portava con sé il lituo, un bastone ricurvo a forma di punto interrogativo. Era un sacerdote che per gli antichi romani, leggendo i segni della natura, contemplando il volo degli uccelli e interpretando i sogni, prediceva il futuro. Una sorta di medium tra il cielo e la terra, tra gli uomini e gli dei. Si racconta che questo ordine sacerdotale sia stato creato da Romolo.

La tradizione di scambiarsi gli auguri poi deriverebbe dalla festività romana dei Saturnali in epoca imperiale, che si svolgeva dal 17 al 23 dicembre, secondo i dettami di Domiziano. I saturnali, durante i quali tra l’altro veniva rovesciato l’ordine sociale, avevano inizio con banchetti e sacrifici. I partecipanti usavano scambiarsi l’augurio io Saturnalia. Altro non sarebbe che l’abbreviazione di “ego tibi optimis Saturnalia auspico” (“io ti auguro di trascorrere lieti Saturnali”). Insieme all’auspicio era in uso lo scambio di piccoli doni simbolici, chiamati strenne. Si arriva al XV secolo quando gli auguri – seguendo una narrazione che mette insieme fatti, leggende, storie e curiosità – iniziano a prendere la forma che conosciamo oggi. Un esempio lo si trova in Germania con gli “Andachtsbilder” . Una sorta di biglietti di auguri con un’immagine votiva (solitamente un Gesù bambino) e la scritta “Ein gut selig jar”: “Un anno buono e radioso”.

Di certo avrà ricevuto più di un augurio per quel suo compleanno speciale Johann Wolfgang von Goethe. All’autore del Faust si attribuisce il compleanno per come lo conosciamo oggi. Era il 28 agosto del 1802 quando lo scrittore tedesco in soggiorno in Italia, a Roma volle celebrare il suo cinquantatreesimo genetliaco con tutti i crismi della festa: torta e candeline compresi. E basta spulciare negli archivi degli auguri di Natale o inizio d’anno e lo scrigno della memoria si apre su un’epoca in cui fare gli auguri richiedeva tempo e cura. Cartoline da affrancare e spedire.

Una storia che a che fare con la carta e con un piccolo mondo antico fatto di segni e simboli perduti. Finiti nel dimenticatoio del c’era una volta, ora non più. Accartocciati insieme a certe parole. Buttati nel cestino delle cose che non usano più. Démodé. La prima cartolina natalizia “ufficiale” della storia fu commissionata nel 1843 in mille esemplari da sir Henry Cole a John Callcott Horsley. Lui, l’amico artista disegnò una famiglia al gran completo. Nonni, genitori, figli, parenti e affini. Tutti intenti a festeggiare il Natale e a farsi gli auguri. Come? Con un brindisi a base di punch e di polemiche da parte dei più puritani che non gradirono i calici alzati col liquore.

Non manca chi sostiene che la prima vera cartolina natalizia della storia potrebbe essere quella conservata nel British Museum. Realizzata da un giovanissimo William Egley Jr. tra il 1842 e il 1849. Fatto sta che partita la consuetudine dei biglietti beneauguranti da affrancare e spedire, le cartoline iniziarono a viaggiare in lungo e largo per il mondo. Nella buona e nella cattiva sorte. E così nel mezzo dei due conflitti mondiali non raccontarono più solo favole belle ma raffiguravano soggetti bellici quando non messaggi propagandistici.
La storia degli auguri coinvolge tutti, anche i reali – la regina Vittoria, inviava cartoline ufficiali di auguri natalizi agli altri regnanti europei, dando il via ad una tradizione ancora oggi portata avanti – e gli uomini di stato.

Ma cosa si nasconde dietro il rituale? Sotto, sotto spunta il concetto di “reciprocità sociale” legato a un curioso esperimento realizzato nel 1974 dal sociologo Phillip Kunz. Lo studioso inviò cartoline natalizie con una foto sua e della sua famiglia insieme ad una nota scritta a mano a 600 persone scelte a caso. Affrancò, spedì e restò in attesa.
Poco dopo nella sua cassetta della posta arrivarono circa duecento bigliettini di auguri ricambiati: una persona su tre si era sentita in dovere di rispondere a un perfetto sconosciuto. È la regola della reciprocità sociale, dicono gli addetti ai lavori. È la potenza, la magia degli auguri, commentano i profani. Un modo per sentirsi parte di una comunità.

Salvo poi macerarsi per quelli non arrivati da chi ce li aspettavamo, per quelli che noi abbiamo dimenticato di fare, per quelli rimasti senza risposta insieme al nome dei destinatari scomparsi dal radar delle nostre esistenze. In questi casi si può fingere indifferenza o scatenare l’inferno. Si può anche porre rimedio all’ultimo minuto con gli occhi bassi e ricorrere a convenevoli senza sostanza. Giri di parole, insomma. Vale ancor più oggi al tempo degli auguri pronti all’uso con Facebook e affini che ricordano le date pure ai più distratti. Un’agenda virtuale che almeno in parte sostituisce la più selettiva (e autentica) memoria del cuore.

E allora, una frazione di secondo e via: gli auguri partono per tutti i numeri in rubrica sul cellulare. Preconfezionati, digitati in tutta fretta, duplicati in serie invadono senza chiedere permesso i giorni di festa (ma anche quelli ordinari). Di giorno e di notte. Certo gli auguri chattati, postati, ri-postati accorciano le distanze, tagliano di netto i tempi dell’attesa della risposta.
Resta il fatto che di forma o di sostanza, reali o virtuali, dati o ricevuti in qualsiasi occasione gli auguri raccontano di noi agli altri, e gli altri a noi.


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