X
<
>

La copia conservata alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d'America de La grande onda di Kanagawa

Share
9 minuti per la lettura

Non solo è assoluto protagonista, ma si fa metafora di temi politici, economici e sociali: il mare crudele degli scrittori sposta l’attenzione dall’esistenzialismo all’essenzialismo, coinvolge e stimola la filosofia, dà vita a nuove correnti di pensiero e mantiene tesa la fune tra la vita e la morte


«La più stupefacente meraviglia del mare è la sua insondabile crudeltà». Non a caso lo scrittore svedese Björn Larsson, nella sua antologia marinaresca Raccontare il mare (Iperborea, 2015), ricorda questa frase di Joseph Conrad, il navigatore polacco autore di Cuore di tenebra. Parole potenti, di un’attualità sconcertante, soprattutto se si pensa agli oltre ventottomila migranti che dal 2014 fino a oggi hanno perso la vita nel Mediterraneo, dalle coste africane a Cutro, da Lampedusa a Roccella Ionica, solo pochi mesi fa.

Il mare è anche questo. Persino come topos letterario rispecchia questa sua ambivalenza: stupefacente, meraviglioso, affascinante, ma anche crudele, spietato, senza scrupoli. È la forza della natura, quella più celebrata: la tempra creatrice e distruttrice che da sempre la contraddistingue. E l’uomo, davanti alla sconfinata bellezza del mare, così come la ginestra «su l’arida schiena / contenta dei deserti», non è in grado di resistere. Può imparare a conoscerlo, a interiorizzarlo, talvolta a combatterlo.

Da Ulisse a Robinson Crusoe, da Hemingway agli oceani di Joshua Slocum, dal Mediterraneo di Biamonti e Guy de Maupassant, fino al mare del Nord di Erskine Childers e Harry Martinson, passando per Coleridge e Montale, il mare ha occupato sempre un posto d’onore nella letteratura mondiale e, a più riprese, è stato il palcoscenico di storie epiche, avventure, esplorazioni.
Il mare è un impulso inesauribile ed eterogeneo. Quel senso di sovrumana infinità, di bellezza mutevole e mai uguale a se stessa, il suo disincantato potere, spesso capace di consumare e distruggere, hanno stimolato l’estro narrativo e poetico in modi sempre diversi. Allo stesso modo i lettori, nella percezione del mare, sono stati plasmati da certi libri, ben prima che il Romanticismo lo rendesse uno scenario perfetto.

Secondo la tradizione classica il mare rappresenta il pericolo, l’ignoto che respinge l’uomo. Ulisse nell’Odissea, a causa dell’ira di Poseidone, è condannato a navigare per venti anni nel Mediterraneo monstrum che diventa personificazione dell’insidia e a cui Omero affida il capovolgimento della trama e degli eventi. Lo stesso dio dei mari, nell’Eneide, chiamerà a sé «una sola vittima per la salvezza di molti», un sacrificio che toccherà a Palinuro, il mitico nocchiero di Enea che, tradito dal sonno, cadrà in mare di fronte la costa cilentana, tra il golfo di Policastro e l’insenatura di Pisciotta.

Anche nella letteratura delle origini, dalla poesia giocosa dei trovatori fino alla letteratura volgare dei Comuni, il mare comincia a essere visto sotto la nuova luce della sfida. Il Milione di Marco Polo, resoconto di viaggi alla scoperta di mondi lontani, a ben vedere, anticipa e supera il monito dantesco del Canto XXVI dell’Inferno che utilizzerà Ulisse e la metafora del naufragio come castigo per i peccati di hybris, la tracotanza nei confronti della legge divina. Persino un classico della letteratura di viaggio e agiografica come La navigazione di san Brandano, opera del X secolo presumibilmente scritta da un ecclesiastico di origini irlandesi, indica il mare come luogo d’accesso alle porte del Paradiso. Attraverso pericoli, isole-balena, pecore giganti e mostri marini, le lenti dell’ambivalenza filtrano il mare ancora una volta e lo rendono leggendario. Discorso pressoché simile può essere fatto con Beowulf, il più lungo poema anglosassone della storia.

Ma leggende, avventure e segreti sono notoriamente alla base del romanzo ottocentesco che già dal 1719, con la pubblicazione di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, inizia a prendere piede in tutta Europa. Opere in cui il mare non solo è assoluto protagonista, ma si fa metafora di temi politici, economici e sociali di un’epoca, sposta l’attenzione dall’esistenzialismo all’essenzialismo, coinvolge e stimola la filosofia, dà vita a nuove correnti di pensiero e mantiene tesa la fune tra la vita e la morte. La complessità dell’animo umano non può dunque risolversi nella comprensione del mare, ma navigandoci sopra, in mezzo, in balia delle tempeste più impensabili oppure a pelo d’acqua, galleggiando placidamente quando è calmo. E dai suoi abissi inesplorati giungono simboli, segreti, interiori oscurità.

In Moby Dick di Herman Melville, epopea marittima tra le più celebri della letteratura statunitense, il mare non fa solo da sfondo agli eventi, ma diviene assoluta metafora della lotta dell’uomo contro la natura, contro se stessi e contro gli intimi tormenti degli uomini del Pequod, dal Capitano Achab a Ismaele. Joseph Conrad, nella sua produzione “marittima”, distinguerà alcuni “racconti di mare” particolarmente significativi come Tifone e Giovinezza; Robert Louis Stevenson in Racconti di mare e d’avventura, L’isola del tesoro e Nei mari del sud riuscì a scandagliare, attraverso il rapporto con l’oceano, la coscienza di ogni singolo personaggio; un chiaro esempio, in tal senso, il pirata Long John Silver. Jules Verne in Ventimila leghe sotto i mari scriverà: «Il mare è tutto. Il suo respiro è puro e salutare. È l’immenso deserto nel quale l’uomo non è mai isolato, perché al suo fianco sente fremere la vita».

Ma la lista non è per nulla breve. In Ernest Hemingway il mare assume aspetti variabili: profonda resistenza e simbolo della dignità umana nella strenua lotta del vecchio pescatore Santiago contro il gigantesco Marlin ne Il Vecchio e il mare, metafora sessuale in Bonaccia, poesia di rara potenza del 1922: «Il mare desidera scafi profondi / Si gonfia e s’inarca. Il mare trabocca di passione». Jack London, nel tragico finale di Martin Eden, lascerà che il protagonista si anneghi nello stesso mare che era stata la sua prima casa di marinaio. In Gita al faro di Virginia Woolf, il mare affronta e sviscera i temi della memoria, della perdita, del tempo.
Nel romanzo, tra i più introspettivi della scrittrice inglese, la casa in riva al mare e il faro diventano punti di riferimento emotivi e temporali per i personaggi, mentre l’oceano che bagna le Isole Ebridi assume i contorni della continuità, simbolo del cambiamento, di ciò che è stato e ciò che potrà essere.

Anche tra le poesie del Romanticismo inglese si rintraccia un forte legame con il mare. La ballata del vecchio marinaio di Samuel Coleridge esplora il senso di colpa e la redenzione attraverso ritratti marittimi; quella del marinaio che, per aver ucciso un albatros, è costretto a navigare senza fine in un viaggio di espiazione è di certo una delle immagini più forti della lirica britannica.
Secondo Larsson, in un’intervista rilasciata a «la Repubblica», la letteratura italiana ha da sempre vissuto un fortissimo divario con la tradizione letteraria mondiale rispetto al tema del mare. Per quanto condivisibile, pur non avendo prodotto vere e proprie epopee marittime, poesia e narrativa italiana godono di un discreto immaginario marittimo.

Ugo Foscolo dedicherà raffinati versi al mare greco di Zante e a quelle «sacre sponde» che, da esiliato, non riuscirà più a toccare. Giacomo Leopardi, in una delle poesie più celebri, scriverà «Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare». Non basterebbe un libro intero ad analizzare il rapporto leopardiano tra il mare e l’infinito, ma vale la pena ricordare qualche scritto meno noto in cui il mare è assoluto protagonista: l’Inno a Nettuno, gli «infiniti flutti» nella canzone Ad Angelo Mai, «il mare senza termini» e «senza lito» del Canto settimo e del Canto ottavo; nelle Operette morali racconterà persino del ruolo dei mari nella creazione del Mondo. Eugenio Montale trasse grande ispirazione dal mare, soprattutto quello della sua Liguria.

In opere come Ossi di seppia, che sin dal titolo richiamano un certo tipo di immaginario, il mare è una presenza costante, un interlocutore silenzioso con cui il poeta dialoga e a cui affida i momenti di introspezione. Pascoli nella poesia Mare, in una lucida presa di coscienza, riconosce l’immobilità catastrofica dell’io di fronte alla selvaggia bellezza della natura; Giosuè Carducci nell’ode In riva al mare scriverà «Tirreno, anche il mio petto è un mar profondo»; così dirà Gabriele D’annunzio ne L’onda, pubblicata per la prima volta in Alcyone: «il Mare. / Sembra trascolorare». Aldo Palazzeschi in Mar grigio lo definirà «un’immensa lamiera d’argento brunastro», Giuseppe Ungaretti in Finale come un «campo incolore» che «fa pietà», Salvatore Quasimodo un «buio murmure» in S’ode ancora il mare.

Così in poesia, anche nella narrativa si fatica a enumerare i riferimenti all’universo marittimo. Il mare di Corrado Alvaro, ispirato dalle vacanze estive a Positano, a cui Pirandello lo costrinse, lo portò a scrivere di un «mare cattivo», capace di «fare male come gli uomini quando sono soli».
Diverso quello di Enrico Pea, tra i più grandi scrittori dimenticati del ‘900, che come molti degli autori romantici citati in precedenza, prese la via del mare come mozzo. Pea, autore di Moscardino, uno spaccato autobiografico composto da frammenti di raro lirismo e slanci mitico-fantastici, scrisse anche diverse lettere a Lisetta Zucchetti, raccolte in un carteggio dal significativo titolo Il mare è il mio elemento. In pochi sanno che Alberto Moravia, autore de Gli Indifferenti e di Agostino, romanzo in cui il mare ha un ruolo fondamentale, nella rivista Le vie d’Italia, mensile del «Touring Club Italiano», nel maggio del 1959, scrisse un saggio dal titolo Il Mare fra Sapri e Paola, in cui esalta le peculiarità della costa tirrenica.

Il mare, però, è presente anche altrove. Nella Sicilia di Leonardo Sciascia e di Andrea Camilleri. In Giovanni Verga, nei complessi rapporti de I Malavoglia, lì dove la provvidenza ha reso celebre il naufragio di Bastianazzo; in Calvino, nella scelta del barone rampante di vivere sugli alberi con lo sguardo perennemente rivolto al mare, infinito orizzonte di libertà. Per lo scrittore italiano nato a L’Avana, il mare è anche quello dell’oggettività in un aspro articolo pubblicato sul «Menabò» in cui critica il totale abbandono da parte della letteratura all’oggettività delle cose. E ancora L’isola di Arturo di Elsa Morante, ambientato a Procida, romanzo di formazione in cui il mare è casa, prigione, via di fuga, sogno.

Si pensi a Cesare Pavese, uomo terragno delle Langhe piemontesi, confinato politico a Brancaleone, un piccolo paese affacciato sulla costa ionica calabrese. Qui il mare, come avrà modo di scrivere ne Il carcere, uno dei suoi romanzi più esistenzialisti, da parete azzurra e senza vita, fattore strutturale della sua prigione, diverrà riscoperta della tradizione greca, dell’essenza stessa di scrivere, quell’elemento primigenio che nel libro delle Genesi avvolgeva il mondo prima che tutto soffocasse.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE