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SONO i nipoti dell’Abbecedario di Pinocchio, i nipoti della Maestrina dalla penna rossa e i cugini dei sussidiari: i libri di testo, i libri di scuola, sono i veri protagonisti di settembre. Il loro profumo di nuovo, le pagine ancora dritte e senza pieghe il cellophane ancora integro rappresentano il sabato del villaggio della scuola, il momento in cui tutto attende e in cui tutto deve ancora succedere.
È una domanda che ci siamo posti tutti, almeno una volta nella vita, imparando a memoria quei nomi che ci facevano compagnia tutti i giorni sul banco: chi li scrive i libri di scuola? Da bambini immaginavamo senza fatica degli esseri sferici onniscienti che assumevano sembianze e usanze umane per tradurre in libri di testo e trasferire così anche a noi una seppur minima parte del loro sconfinato sapere. Qualcuno li ringraziava, qualcun altro li malediva e nemmeno troppo segretamente: mai nessuno come gli autori dei libri per la scuola ha ricevuto una quantità simile di inviti a farsi gli affari propri. La verità però è molto meno romanzata di così: per scrivere un libro per la scuola, e che quindi finirà in mano all’utente più giovane nel panorama dei lettori, bisogna essere stati bravi a scuola.
Sembra una presa in giro, ma di fatto sono gli esperti di una determinata materia, insieme a un team di docenti, che danno l’avvio alla costruzione dei libri di testo. Docenti, quindi, spesso agli antipodi (in pensione oppure molto giovani e freschi di studi), psicologi, esperti di didattica, pedagogisti e perfino presidi: non c’è un’età per chi scrive un libro di testo per la scuola, è campo aperto dai 35 ai 65 anni. Il contenuto dei libri di testo per la scuola, che si tratti di storia, geografia, italiano o matematica, si attiene fedelmente al programma previsto per la classe che lo adotterà, ma è la modalità con cui quel contenuto viene espresso a cambiare ed a fare la differenza: non a caso pare che siano più di mille i sussidiari tra i quali i docenti devono scegliere, e non è quasi mai una scelta semplice. Una delle più grandi difficoltà del libro di scuola è quella di doversi adattare alle teste dei bambini o dei ragazzi che lo leggeranno e che interagiranno attivamente con i suoi contenuti.
Tutto ciò che è contenuto nel libro lavora alacremente per rispettare degli standard: qualitativi, innanzitutto, perché mica si può saltare la Prima Guerra Mondiale. Che ce ne faremmo di un libro di geografia che non nomini almeno una volta le intramontabili colture della barbabietola da zucchero? Per non parlare dei libri di grammatica, ai quali tocca, forse, il compito più arduo: studiare meticolosamente gli schemi, le tabelle, le strategie dialogiche più accurate possibili degne di un tavolo ONU per consentire ai giovani allievi di imparare l’importante numero di tempi verbali che la lingua italiana prevede (e per giunta uno dei motivi che la rendono così ostica ai nostri amici stranieri). Ma non è solo il contenuto che conta, anzi: immagini, colori, fotografie d’epoca, perfino tracce audio da ascoltare in classe per memorizzare meglio alcuni concetti e completare gli esercizi, affinando l’attenzione e l’ascolto. Alzi la mano chi ricorda lo stereo che la maestra d’inglese portava sempre in classe durante le sue ore: il “listening” rimane tutt’oggi uno dei momenti più odiati dagli studenti, costretti a ore di fortissimo accento britannico e a non perdere mai di vista il CD (momento Amarcord) incollato in terza di copertina e avvolto dalla bustina di plastica, ché non averlo durante le ore dedicate all’ascolto si trasformava automaticamente in una nota sul registro. Ed ancora: attività didattiche, tracce per temi, riassunti e impressioni personali.
Sembra una contraddizione, ma il libro di scuola lo scrive proprio l’alunno. Chi lo struttura si limita a dare indicazioni in bianco che la crescita e il progresso personale del ragazzo o della ragazza provvederanno a colorare e a riempire, ciascuno a suo modo. Ma che succede se, oltre ai ragazzi che rischiano di arrivare il giorno dopo a scuola senza compiti fatti, anche il libro si rende “colpevole” di alcune mancanze? È uno dei grandi temi della scuola moderna: il programma di classe. Una scaletta di argomenti che nel corso degli anni è diventata ridondante e ripetitiva, che ha seguito finora uno schema talmente appiattito della didattica da essere diventata una macchietta. Chiunque abbia mai visto il film “Notte prima degli esami” lo sa: gli argomenti che Luca Molinari, il protagonista, studia sotto l’occhio severo del Professor Martinelli, amorevolmente soprannominato dagli alunni “Carogna”, sono gli stessi che hanno visto impegnate anche le generazioni successive alle porte del diploma. Ungaretti, Montale, Quasimodo; Seconda Guerra Mondiale, Guerra Fredda; Alessandro Manzoni, Ugo Foscolo, Luigi Pirandello e, forse, Grazia Deledda: il limite è il Contemporaneo. Tutto ciò che sfiora la Storia più recente e che si esprime in tematiche geografiche, scientifiche e perfino sociali viene trascurato. Come se ci fosse da imparare soltanto dal passato; eppure anche presente e futuro hanno dimostrato di poter essere degli ottimi maestri.
E l’attenzione all’ambiente? La grande sfida dei sussidiaristi di oggi non è soltanto quella di costruire dei libri di testo più accattivanti, più moderni e scorrevoli, ma anche al passo con i tempi dal punto di vista sociale. Sono molti i docenti che negli ultimi tempi preferiscono adottare libri che abbiano tra le attività interattive quelle legate alla cura dell’ambiente e l’educazione all’ecologia. Ancora un sei di incoraggiamento meritano i libri che, soprattutto per la fascia delle scuole elementari, strutturano gli esercizi rischiando di cadere facilmente nello stereotipo. “Cosa fa la tua famiglia?”, chiede la traccia. Ma le alternative sono sempre poche: “mamma stira, lava i piatti e pulisce, papà va al lavoro”. L’educazione civica entra in aula tutte le mattine in ritardo e l’educazione sessuale non si vede da mesi; bocciate anche loro.
Ma la verità è che forse abbiamo smesso da tempo di aver bisogno solo e soltanto dei libri. Abbiamo capito (probabilmente troppo tardi) che il testo supporta, ma è l’esempio che guida. “Studio” ha smesso di essere soltanto una parola molto tempo fa per divenire un concetto a tutto tondo: qualunque evento sia alla nostra portata dev’essere oggetto di studio, compresi i nuovi fenomeni sociali che ci riguardano così da vicino e che devono diventare i primi strumenti attraverso i quali i ragazzi sviluppano una coscienza critica e un metodo di ragionamento autonomo: i fatti di cronaca di domani, insomma, sono nelle mani dei libri di oggi. Il segreto è lasciarli aperti anche dopo scuola. Aperti sul mondo, come fossero occhi. E del resto, che insegnamento è se i libri lavorano solo per il tempo di una campanella?
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