Egon Schiele, dettaglio dell’opera “Der Dichter” (Il poeta) 1911
2 minuti per la letturaNon parlerò di quest’ultima aberrazione umana, non certo per una volontà di distinguermi, ma più semplicemente perché non troverei davvero le parole per esprimere il mio lacerante disagio.
La poesia come disarmo, riguarda invece un ambito assai più ampio di quanto contemplino le violenti perversioni dell’umano agire. Si tratta, semmai, di un’ipotesi a larghissimo spettro che includerebbe le azioni degli uomini, ma solo in quanto conseguenza di un’eventuale metabolizzazione a lentissimo disassorbimento.
Ungaretti, che di atrocità ne conobbe a dismisura, ebbe a dire “la parola è impotente”. Eppure con il “Porto sepolto”, “Allegria di naufragi” e L’allegria egli, come nessun altro, ha saputo assordarci di sangue rappreso e tanfo di morte. Lui, ma assieme a tantissimi altri, ha tentato l’impossibile per redimere gli uomini.
Non è servito a nulla.
A questa orrenda constatazione conseguirebbe una sola disarmante presa d’atto, che l’uomo (e il maschile non è certo casuale) non sappia proprio svestirsi della violenza che evidentemente lo permea.
Potremmo argomentare con mille e mille ipotesi o congetture, ma finiremmo, probabilmente, per litigare persino sul concetto di pace. Temo cioè che non troveremmo una risposta esaustiva, e quindi potenzialmente risolutiva, se non appunto l’osservazione del feroce sentire che abita il genere umano.
Ma allora, che cosa intendo per Poesia come disarmo. Provo a chiarire attraverso un cenno dell’insegnamento di Michelangelo a proposito della scultura che, guarda caso, collima perfettamente con la parola granitica di Giuseppe Ungaretti.
Togliere, dal freddo marmoreo della figura umana, tutto ciò che risulta superfluo. Togliere nel senso quasi ossimorico di privare per aggiungere bellezza. In Poesia, scarnificare la parola per giungere alla sua essenza valoriale.
Nella vita di ciascuno di noi, far proprio un disapprendimento. Mi vengono in mente i presocratici, di loro sono rimasti solo frammenti, eppure dalla loro apparente semplicità, emana consonanza infinita. Consonanza, quella di cui avremmo davvero necessità è una semplicità che dialoghi apertamente con la luce. Mi ripeto, nella vita di ciascuno di noi, far proprio un disapprendimento.
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