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Illustrazione di Roberto Melis

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Si fa sempre un gran parlare di cultura nel nostro paese, si tira in ballo la scuola e quello che i ragazzi dovrebbero sapere e non sapere. L’ultima trovata ministeriale è stata l’introduzione dell’Educazione civica nelle scuole superiori, come se studiando la Storia o il Diritto non si affrontassero i medesimi argomenti, o come se fosse possibile studiare la Storia senza affrontare l’educazione civica. A scuola non si fa politica, spesso si ripete. Ma è proprio così?

Ebbene l’impressione è che alberghi molta confusione non tanto sul termine specifico, quanto sullo scopo finale della cultura. Se cultura vuol dire coltivare, passare dalla superficie alla profondità e comprendere, essa è sempre arbitraria, è sempre una scelta di campo, ecco perché non può delinearsi solo come sapere astratto o disciplinare. Anzi il senso ultimo per noi italiani non può essere che la cultura democratica tout court, ovvero l’unione di uguaglianza e diritti nella vita individuale, sociale, politica, come recita la Costituzione. Il fine di questa cultura poi, non potrà che essere l’antifascismo, ovvero l’amore per la libertà dei popoli e per i diritti umani, alla base di qualsiasi legittimazione istituzionale democratica.

D’altronde di cosa parla quel capolavoro letterario di La Cava, I fatti di Casignana, se non dell’utopia dell’emancipazione? Di cosa parla Sciascia quando nelle sue opere mette a fuoco con estrema lucidità l’essenza della Sicilia e il suo rapporto con la mafia? E di cosa parlano La storia di Elsa Morante, o Il partigiano Johnny di Fenoglio? Sullo sfondo vi è sempre la costruzione o l’utopia di un paese democratico, dunque più umano. L’abissale differenza tra partigiani e fascisti in Fenoglio è nella diversa dignità che si attribuisce al genere umano, è questo in fondo a farne una questione di vita o di morte con i repubblichini, non è altro che la diversa considerazione che si ha per i popoli e le genti.

Se questa è la premessa naturale a un discorso culturale repubblicano, va rilevato che la cultura democratica ha un forte senso politico, o meglio che nella nostra storia non esiste cultura senza politica, anche perché essendo l’Italia la patria della dittatura fascista, i nostri padri costituenti hanno scritto la Costituzione in completa opposizione ai princìpi del Ventennio.

Eppure, da più parti, in varie stagioni e giorni alterni, si invoca sempre più una cultura indistinta, magari piegata alle leggi di mercato, cioè svuotata della sua carica politica. Si vorrebbe quasi che la cultura democratica perdesse di vista il suo telos, e magari smarrisse il suo scopo finale per diventare qualcosa di innocuo e irrilevante per chi esercita il potere.


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