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“Restano sempre le cose più insignificanti / a sopravvivere, / fourrures, souvenirs, / l’amante che ti morde l’orecchio, / il più sciocco, il più vecchio / ti gira intorno, / ti guarda morire. L’amore arrivò davanti a me / come un dannato. / Sceglieva per i nostri riti / le ore del mattino, / voleva essere strozzato/ in una gelateria vuota. / Sarebbe salito su un palco / nudo, alla gogna, / colpito da pietre e flagelli / senza dolore, senza vergogna. / Ma i banditi d’amore / vanno all’inferno. / Finché vivo, finché affogo / non brucerò il suo ritratto. / Parlerò col fuoco, parlerò col gatto / queste sere d’inverno”.

Sono i versi di un poeta stimato, e dimenticato, del secondo Novecento: Leonardo Sinisgalli. È arrivato il momento di ricordarlo. Nato a Montemurro, in Basilicata, nella dolce provincia dell’Agri, trova la poesia negli studi di matematica attraverso la quale raggiungerà un umanesimo integrale. È proprio lui a raccontare, in “Furor mathematicus”, di aver conosciuto, fra i quindici e i vent’anni, “giorni d’estasi”, grazie alla “musica accorata”, che gli quietava le voglie, e ai “modelli impenetrabili alla malinconia” che gli offriva la matematica.

Una visione assoluta, assai lontana da quella sentimentale della poesia con cui abbiamo aperto, carica di rimpianti e nostalgia, fin dal titolo : “Non brucerò il suo ritratto”. È a Roma che per Sinisgalli, si impone una scelta, senza perdere i caratteri formativi e distintivi della sua aspirazione matematica .

Invitato da Enrico Fermi, nel 1929, ad entrare nell’Istituto di Fisica di via Panisperna, Sinisgalli decide di rinunciare allo studio dei “neutroni lenti e della radioattività artificiale” per seguire “pittori e poeti”, e non senza incertezze ed esitazioni. Confesserà che non riusciva a vederci chiaro nella sua vocazione, e che gli sembrava di avere “due teste, due cervelli, come certi granchi che si nascondono sotto le pietre”.

Ed è un artista, Domenico Cantatore, a rassicurarlo , quando pubblica il suo primo libro di poesia, dal titolo eloquente: “Quaderno di geometria”, che è il primo numero della fortunata collana “all’insegna del pesce d’oro” dell’editore Vanni Scheiwiller.

Oltre alla qualità dei versi, il libro rappresenta il punto di congiunzione tra le diverse forme artistiche, con un atteggiamento di libertà e di conoscenza inconsueto per i poeti di quel tempo. Scrive Luciano Anceschi : “Sinisgalli era veramente uno dei più pronti a dominare la situazione e la conversazione, nei giochi propri dei caffè letterari. Ricordo ancora, con una certa emozione, l’uscita delle 18 poesie. Fu uno dei libri che allora ebbero una accoglienza sicura da parte dei giovani e della critica più sensibile. Subito ci si accorse che si era davanti ad una figura rilevante della civiltà poetica di quel tempo”.

Ed è per questo che, come per Sciascia, sarebbe importante ricordare Sinisgalli cercando nei suoi scritti e nei suoi saggi i riferimenti agli artisti e architetti del suo tempo, con i quali condivise non solo spazi e visioni ma anche concezioni estetiche. Negli anni milanesi Sinisgalli stringeva amicizia con Persico, Pagano, Nizzoli, Terragni, Veronesi, con il grande architetto Giò Ponti, frequentando lo studio Boggeri e la Galleria del Milione. I suoi “Ritratti di macchine” e “Quaderno di geometria” rappresenta il primo tentativo di giungere a un superamento del dualismo tra la cultura scientifica e cultura artistica.

Ecco, dalla scienza alla poesia. Con le sue capacità uniche, Sinisgalli riuscì a dialogare con Alfonso Gatto e con Adriano Olivetti.

Nel 1949 gira un documentario scientifico sui solidi “superiori”, intitolato: “Lezione di geometria”, premiato a Venezia nel corso della Mostra del Cinema. Stessa sorte avrà “Millesimo di millimetro”, cortometraggio dell’anno successivo. In questo stesso anno esce da Mondadori il “Furor mathematicus”: versione ampliata del primo Furor, che include tutti gli scritti di matematica, di geometria, di architettura, di arte e artigianato, di tecnica e storia della scienza, antesignano della “Civiltà delle macchine”, la prestigiosa rivista che Sinisgalli inventò nel 1953 e diresse per cinque anni (32 numeri). È l’occasione per inventare slogan, escogitare nomi (“Giulietta” dell’Alfa Romeo), cimentarsi nel curare mostre, tra cui spicca quella del ‘55 dedicata all’ “Arte e industria”, in collaborazione con Enrico Prampolini, presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma.

La versatilità di Sinisgalli è tale che, oltre le mille curiosità , e la assoluta poesia della matematica, com’egli la intende, vi è l’intuizione precoce, e non facile per la sua generazione, del valore creativo della propaganda pubblicitaria, che non è solo arte applicata, ma campo per creatività diverse, come dimostrerà Bruno Munari.
Con spirito moderno, Sinisgalli lavorerà, con spirito creativo, per l’Agip e per l’Alitalia . Agli inizi degli anni ‘60 la felicità della parola inizia a offuscarsi e Sinisgalli trova uno sfogo creativo, come accadrà anche a Montale, nel disegno e nella pittura.

Lo racconta nel saggio “Passione del disegno” del libro “L’odor moro”. L’arte è una dimensione essenziale per lui, e affianca la poesia. Sempre più preso dal disegno e dalla pittura, nel 1980 fonda a Roma, con Roberta Du Chene ed Ida Borra , la galleria “Il Millennio”. La mostra d’apertura è dedicata ai pastelli e agli acquerelli di Sinisgalli. È arrivato il momento di riproporlo, nella compiutezza della sua ricerca poetica, come artista.


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