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Dodici storie di provincia di quando il calcio aveva le ali e i campi erano di terra e polvere e i numeri sulle maglie andavano dall’1 all’11: La squadra scombiccherata di Fubbàll l’album dei giocatori delle ultime file. Storie inventate che sembrano vere

La formazione messa in campo, è così composta: Milo, Glauco, Osso Nilton, Treccani, Giuseppe, Wagner, Berto Dylan, Efrem Giresse, Pablo, Baffino, Nadir. Il 12 è Oliviero, allenatore. Disputano la loro partita, ognuno per sé, ma il racconto è corale, come dev’essere per un gioco di squadra, nelle 148 pagine di “Fubbàll” di Remo Rapino (minimum fax, 16 euro).

Un piccolo grande gioiello nel quale si intravvede, finalmente, la possibilità di avere, anche alle nostre latitudini, un romanzo (tale è, al di là del fatto di essere diviso in 12 storie) capace di dare dignità letteraria a quel gioco del calcio che è pur sempre una delle grandi identità collettive italiane. Passione che accomuna milioni di persone e che pure, a gran fatica, ha trovato narratori capaci di restituirne la complessità, le contraddizioni, la magia, l’epica e lo squallore.

Ci riesce Remo Rapino, scrittore abruzzese dalla traiettoria biografica assai anomala, rispetto ai cliché. Per una vita, è nato nel 1951, docente di filosofia nei licei, per decenni appartato poeta e scrittore: inizia a pubblicare nel 1993. Facile fare i conti, che si completano nel 2020 quando Rapino è finalista al Premio Campiello e lo vince, con il rapinoso (nomen omen) “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”, anch’esso titolo minimum fax come, due anni fa, “Cronache dalle terre di Scarciafratta”. È scrittore attorno al quale è cresciuta nel tempo una sorta di culto che, ne siamo certi, troverà nuovi adepti.

La squadra scombiccherata di Fubbàll l’album dei giocatori delle ultime file

“Fubbàll” coglie un obiettivo tanto ambizioso quanto non facile da raggiungere: narrare il grande calcio, quello dei campioni, mettendo in campo una formazione scombiccherata, calciatori di fantasia irresistibilmente veri. Dodici storie. Storie di provincia di quando il fubbàll aveva le ali, e i campi erano di terra e polvere, e i numeri sulle maglie andavano dall’1 all’11. Storie tenere e allegre di gente che correva per non dover pensare al filo spinato che avvolgeva le giornate, un’umanità manovale e derelitta che aveva avuto tanti guai e qualche lampo di celebrità, e portava come bandiere le leggende di una volta: Gigi Meroni, Gigi Riva, Nilton Santos: l’Enciclopedia del calcio, Nereo Rocco, il Mago Herrera, Omar Sivori.

Le note di copertina dicono il vero: Remo Rapino ha messo insieme un album di figurine di quelli delle ultime file: piccole biografie di calciatori non illustri, brutti, storti, anonimi. Vecchi mobili tarlati dall’età e dai ricordi. Giocatori tristi che non hanno vinto mai. Una squadra di esclusi che non troveremo in nessun albo d’oro di nessun campionato.

UNA SQUADRA DI ESCLUSI CHE SEDUCE IL LETTORE

Eppure ci si tuffa nelle pagine, nella storia del portiere Milo, che voleva giocare solo in squadre con il rosso e il nero come colore sociale perché quelli sono i colori dell’anarchia o del libero Treccani, guidato dalla passione sfrenata per il calcio, i libri e il greco. Potrà mai esistere simile giocatore, è la legittima domanda, al tempo degli ingaggi ipermilionari, dei tatuaggi esibiti, delle casacche cambiate con irridente velocità, dei procuratori avvoltoi, di una narrazione, specie televisiva, sovente isterica, eccessiva, retorica.

Non lo sappiamo, non lo vogliamo sapere. Noi vogliamo leggere di Osso Nilton, il terzino che dall’Audace Genazzano passa alla Roma ma la cui carriera viene spezzata da un infortunio. Vogliamo leggere di Berto Dylan, l’ala, il numero 7, a cui la gente voleva bene perché giocava con i calzettoni calati, per la barba e i capelli lunghi, sembrava Shel Shapiro dei Rokes e suonava la chitarra nelle osterie e “per tutti i grilli che mi cantavano in testa, pure per le cazzate che facevo mi volevano bene, perché alla fine dei conti, il calcio è solo una gran bella cazzata, che, se uno si ferma un attimo a pensare, la vita gira intorno a cose molto più importanti”.

Vogliamo leggere di Wagner: il numero 6, il cui padre emigra in cerca di fortuna da Genova a Buenos Aires. È patito per la musica e chiama i figli Verdi, Mascagni e… Wagner. Gioca nel Boca e lo chiamano “El carnicero”, il macellaio. Arriva in Italia, al Genoa, ed è il Pirata.

La squadra di Fubbàll E l’album dei giocatori delle ultime file

Eccolo, il calcio di Remo Rapino. Raccontato con una scrittura lirica, poetica. Andando a spasso, con le storie dei suoi “fubbàllisti”, attraverso la storia, quella con la S maiuscola. Mette in fila autori e libri, campi polverosi e fatiche proletarie, le canzoni che ci hanno accompagnato e i sogni di tutti i ragazzi che hanno inseguito un pallone. Cita Albert Camus: “Tutto quello che so della vita, l’ho imparato dal calcio”. Rapino, a domanda risponde che se proprio deve indicare due libri che lo hanno accompagnato tutta la vita, essi sono “Cent’anni di solitudine” e “L’antologia di Spoon River”.

Ecco allora che il suo fubbàll, il suo calcio, è fatto di nostalgia per i debutti, promesse mancate, infortuni e altre imboscate della sorte, rari colpi andati a segno. Un tempo, suggeriscono i suoi undici calciatori più Oliviero, in cui tra gli uomini c’era un rispetto, un trattarsi da pari a pari, qualunque fosse il loro stato. Era il tempo degli uomini affamati di cuoio, scrive. E Rapino li racconta così bene, sembrano così veri, che davvero vorresti fossero esistiti. Mentre di quelli che vedi per davvero oggi in campo, vorresti vederne sempre meno, tanto sembrano finti.


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