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Il Tempio di Segesta (foto da Wikipedia)

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NUOVE polemiche a Segesta dove (per un anno!) la Soprintendenza, nel silenzio incomprensibile della politica autonoma, con il competente assessorato alla cultura, ha voluto e imposto al mondo (come non sembrerebbe possibili in altri siti archeologici assoluti, fuori d’Italia) una invenzione, gentile quanto fragile, di una giovane artista, una piccola idea, per un divertimento giornaliero per un matrimonio o la festa del patrono, per decorare, punkizzare (alla fine, umiliare) il grande tempio. Questa l’idea, davanti al mondo, senza limiti e ritegno. “Texere” è un progetto di installazioni e laboratori affidato dal direttore Luigi Biondo all’artista Silvia Scaringella. Ripartire, con l’arte, dove il devastante incendio dell’anno scorso aveva lasciato cumuli di cenere. Le fiamme si erano fermate per miracolo dinanzi al tempio. Ricostruire. Tessere fili come relazioni. Un buon proposito. Il risultato è che il Tempio è diventato, per unanime valutazione, un telaio. E l’opera, che ne sembra generata, assai esile.

Helga Marsala, efficacemente, su Artribune, annota: “Milleduecento metri di tessuti riciclati, recuperati e assemblati grazie alla collaborazione del Centro di Riuso del Comune di Calatafimi, poi annodati fra le colonne di uno dei lati lunghi del tempio: il risultato? Un gigantesco orpello decorativo che avvolge e snatura l’architettura, nel tentativo di affrontarne la potenza soverchiante. Al netto delle valide premesse, delle attività partecipate, dell’impegno profuso e dell’accurata costruzione del progetto, l’opera appare gratuita (nel senso che ne sfugge la profonda ragione) e goffa (cioè priva di grazia). È impattante da vicino e lo è a distanza, nell’interruzione chiassosa di quel dialogo religioso tra il santuario pagano ed il paesaggio. L’odierna, diabolica “instagrammabilità” vince ancora sulla logica della misura, dell’intimità. Il tempio appare fasciato, addobbato per una festa etnica, costretto a infilarsi un abito che non gli dona, non gli appartiene. I materiali (la ruvida pietra e le stoffe variopinte) cozzano tra loro, mentre il chilometrico patchwork si arrotola maldestramente sull’architettura, interpretata come un immenso telaio e perciò trattata come supporto, oggetto funzionale fuori scala.”

Che dire? Per Angelo Argento la nuova installazione è “per molti versi poco convincente” e “personalmente, aberrante”. Generalmente prudente Argento crede che l’intervento della Scaringella alteri il sito e il sentimento puro della contemplazione. L’antico non è inviolabile, il tempio vive nel presente. Ma il presente non è l’attualità. Il presente è la presenza assoluta del Tempio di Segesta che vuole quiete e silenzio, in una luce perfetta, nel rapporto con la natura, nella condizione inarrivabile fuori del tempo. Non c’è ragione di interrompere quella armonia. Non c’è speranza di rendere più contemporaneo ciò che è già fuori del tempo. Il tempio celebra il sacro, e l’Arte ne è una manifestazione. Il Tempio può custodire, e il sacro può mutare. Lo dimostrò Yves Klein a Cascia con l’ex voto per Santa Rita, un oggetto di dirompente modernità in un contesto intatto e devozionale, con un corteo di suore. Nel caso di Segesta, il problema è che non si intende, e si traveste, come se fosse una risposta, la contemporaneità del Tempio di Segesta. Cosa aggiungere agli idoli cicladici? Cosa di più presente e vivo di un tempio greco? Cosa di più contemporaneo, nella sua integrità? Occorreva, proprio come a Cascia, ricreare una cella entro il tempio, un’area sacra chiusa, e mettere a confronto, durante il tempo, la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca e un dipinto di Piet Mondrian. Il resto è decorazione. Arredo per una sera da dimenticare.


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