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Un dipinto di Renoir

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A Milano, a Palazzo Reale, si apre la mostra dei due pittori impressionisti Cézanne e Renoir. Metterli a confronto, significa stabilire un collegamento, che neppure a Parigi è stato istituito


Si apre a Milano una mostra di gran successo su due pittori impressionisti: Cézanne e Renoir, a Palazzo Reale. Sarebbe stata una mostra facile, come quelle cui ci siamo abituati negli ultimi anni, ispirate da una logica commerciale, quando il viaggio a Parigi è la più semplice risposta a quella necessità culturale. Ma il confronto, con il dialogo, fra i due pittori ha una sua originalità. Consente accostamenti imprevisti e risposte a una doppia identità dell’impressionismo, tra tradizione e innovazione, continuità e rottura verso le avanguardie del primo Novecento, sempre a Parigi. Cezanne muore nel 1907, l’anno in cui Picasso dipinge “Les demoiselles d’Avignon”.
Una fine e una partenza. Una idea. Una idea certa. In Italia. A Milano, non a Parigi. Mentre le Gallerie d’Italia propongono la mostra, tutta lombarda, come fu nel 1951 con Caravaggio, di Giambattista Moroni. Le città, per la cultura, hanno una vocazione. Quella di Milano, negli anni, si è fatta più cosmopolita. Milano è la sola città italiana (se si esclude Venezia, con la Biennale) che, anche per la cultura, le mostre, il teatro, l’architettura e il design, può misurarsi con Parigi e New York. Una dimensione veramente internazionale.

Importante è, quindi, di questi tempi, che una mostra, fuori dei suoi confini naturali, abbia un’idea portante che allarghi i confini della conoscenza. Perché la conoscenza del non conosciuto è stato lo spirito delle mostre in Italia. Le grandi mostre di arte antica a Venezia, in alternanza con la Biennale, erano mostre di scoperte, di autori poco conosciuti o mai esposti, finalmente visti in modo monografico. Se si andava a Parigi, si potevano vedere artisti come Soutine (1972) che non erano stati presentati prima.
Naturalmente, quando fu compiuta l’impresa di svelare ciò che era nascosto, iniziarono i tempi, dagli anni ‘90 in avanti, delle mostre in qualche modo prefabbricate, che attirano per il nome. E quindi imperversarono per l’Italia gli impressionisti. Da Treviso a Brescia e poi in altre città, insistendo sui grandi nomi: Monet, Van Gogh, Degas, con un favore popolare straordinario. Perché l’impressionismo pone la Francia al centro del mondo. Gli impressionisti, e poi i cubisti, e poi il surrealismo, di cui ricorre quest’anno il centenario, trovano a Parigi il luogo della loro forza espressiva sul piano spirituale. È chiaro che con la potenza di Parigi soltanto Milano può concorrere: la prima delle grandi avanguardie, il Futurismo, nasce in Corso Venezia, e ha il manifesto di Marinetti, pubblicato nel 1909 sul Figaro di Parigi.
Quindi comincia un gemellaggio, che è quello che rende Milano la città più affine a Parigi rispetto all’impulso delle avanguardie.

Ma è inevitabile che per quello che riguarda le occasioni espositive si comincia soprattutto, dicevo, dalla fine del secolo scorso, a ripetere autori e a tornare sulla mitologia delle avanguardie. Soprattutto gli impressionisti. Per cui vedere oggi a Milano una mostra su Cézanne e Renoir ha qualcosa che potrebbe sembrare risaputo se fosse una mostra dell’uno o dell’altro.
Metterli insieme, a confronto, significa stabilire un collegamento, che forse neppure a Parigi è stato istituito in modo così puntuale, di due sensibilità così lontane: l’una che è legata a una continuazione senza limite della grande tradizione occidentale mediterranea, che ha il suo maestro in Tiziano, e di cui Renoir è sicuramente il punto d’arrivo; l’altra indica la frattura formidabile dell’inventore dell’avanguardia, che muore nel 1907, da cui parte il cubismo e tutta la modernità: ed è Cézanne. Sono coevi, sono amici, sono vicini e lontani, sono l’antico e il presente, sono la continuazione di una tradizione e l’invenzione di una tradizione nuova. Perché la modernità, la contemporaneità, è già tradizione. Mettere insieme Cézanne e Renoir è fortemente innovativo. Sono tanto lontani quanto vicini; sono tanto capaci di inventare un’immagine nuova, così come potrebbero essere Manet e Monet, non ancora messi a confronto.

Io, che ho una visione più legata al passato, non avrei fatto una mostra su Cézanne e Renoir. Ma su Cézanne e la sua fortuna italiana. Che vuol dire cosa ha preso da lui il primo pittore italiano del Novecento, che è Morandi. Ovviamente, cosa ha preso da lui Soffici, cosa hanno preso da lui tutti i pittori che hanno visto come Cézanne abbia influenzato la “Voce”, ”Lacerba”, le riviste italiane di quegli anni.
Cézanne e Renoir, oggi a Milano, vuol dire: Milano è un prolungamento di Parigi. Dimostriamo, come fossimo a Parigi, che Palazzo Reale assume il compito di far vedere ciò che è universale, ciò che rappresenta la stagione della modernità, dalla seconda metà del ‘800 fino ad oggi. Oggi la grande mostra è a Milano o non è. Milano è come New York, è come Parigi, cioè è un luogo universale dove nulla ha un carattere locale. E quindi esporre Cézanne e Renoir a Milano è assolutamente naturale. E istruttivo.


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