Gregorio Sciltian, Autoritratto (1954)
3 minuti per la letturaLa damnatio memoriae che ha travolto, nel secondo Novecento, i pittori figurativi, ha oscurato anche Gregorio Sciltian, come e più di De Chirico, nemico giurato di ogni avanguardia, di cui è stato riottoso contemporaneo. L’ultima Thule di quella esperienza, che si scontrò con le tendenze prevalenti e vincenti dell’arte, fu lo scioglimento nel 1949 del gruppo dei “Pittori moderni della realtà” di cui facevano parte, con Sciltian, Pietro Annigoni, Giovanni Acci, Antonio e Xavier Bueno, Carlo Guarienti, Alfredo Serri. Il loro obbiettivo, davanti al baratro delle varie e prepotenti sperimentazioni, era dichiarato in un provocatorio quanto velleitario manifesto:
Non ci interessa né ci commuove una pittura cosiddetta “astratta” e “pura” che, figlia di una società in sfacelo, si è vuotata di qualsiasi contenuto umano ripiegandosi su se stessa, nella vana speranza di trovare in sé la sua sostanza.
Noi rinneghiamo tutta la pittura contemporanea dal postimpressionismo a oggi, considerandola l’espressione dell’epoca del falso progresso…
Di fronte a un nuovo accademismo o passatismo, fatti di avanzi di formule cubiste e di sensualità impressionista standardizzata, noi abbiamo esposto una pittura che, incurante di mode e di teorie estetiche, cerca di esprimere i nostri sentimenti attraverso quel linguaggio che ognuno di noi, a seconda del proprio temperamento, ha ritrovato guardando direttamente la realtà.
Sciltian, pittore della realtà, ma ai margini della realtà della pittura, e ai limiti del tempo pur osservando il costume (non lo spirito) del suo tempo, continuerà la sua ostinata impresa fino a ottenere anche, nel 1952, l’ambito plauso di Roberto Longhi. Dopo molti anni di indifferenza, Sciltian è tornato all’attenzione della giovane critica con una mostra ricca e precisa in villa Bardini a Firenze, in una sequenza espositiva che ha visto riemergere veri pittori come Giovanni Colacicchi e Pietro Annigoni. Stefano Sbarbaro, studioso originale e curioso, ha ritrovato opere disperse e dimenticate. Alcune, degli anni Venti e Trenta, così antiche da rivelare compatibilità e perfetta coerenza con la potente Nuova oggettività tedesca: “L’uomo che si pettina” (1925), l’ “Autoritratto con la famiglia Bianchi” (1925), “Messalina” (1926), “Marinette” (1927), “Bacco in osteria” (1935-1936).
Altre, inattuali, nel clima degli anni Cinquanta e Sessanta (peraltro intimamente cinematografiche, in un’aura di neorealismo favoloso), come “La scuola dei ladri” (1954-1955), e “L’eterna illusione” (1967-1968), sempre nello spirito indomito del Manifesto e in irriducibile polemica con le tendenze contemporanee. Un particolare, fino ad oggi sfuggito, nel grande dipinto “La scuola dei modernisti” (1955-1956), evidenzia le posizioni contrapposte, affiancando i due critici più significativi di quegli anni: Lionello Venturi e Roberto Longhi. È certamente sintomatico che il vincitore di allora, nella schiacciante affermazione delle ricerche non figurative, appaia oggi totalmente scomparso e ininfluente anche nella imprescindibile storicizzazione, rispetto al secondo, codificatore, in un coerente percorso estetico, perenne, della “pittura della realtà”, da Caravaggio a Ceruti, a Sciltian.
Finalmente, oltre i pregiudizi, il terminale di quella visione riappare, più radicale di Carlo Socrate e Antonio Donghi, e degno di una nuova attenzione, in una più pacata riflessione storica. Nessun dubbio che Sciltian appaia oggi titolare di un realismo non negoziabile, legittimo in ambito surrealista, e forse declinabile in una dimensione magica, favolosa, come un Norman Rockwell italiano con un formidabile istinto della comunicazione.
Per tenere fede alla missione di queste pagine, oltre allo svelamento della identità di Venturi e Longhi, fin qui non riconosciuti, rendo nota, originale reinterpretazione di Antonello da Messina, una inedita “Annunciata” (olio su tavola, cm.48×37) dipinta, certamente per destinazione privata, da Sciltian negli anni Quaranta, nel momento di più forte riflessione sulla pittura antica.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA