Giovanni Boldini, Ritratto di Fattori nel suo studio, Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d'Italia – Milano, Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo / foto Paolo Vandrasch, Milano
6 minuti per la letturaIL PRIMO fu Gaio Cilnio Mecenate, vissuto nel I sec. a.C. protettore e benefattore degli artisti (come Orazio e Virgilio) in età Augustea, poi arrivarono gli altri ma la parola mecenatismo resta imperitura ad indicare la “tendenza a favorire le arti e le lettere, accordando munifica protezione a chi le coltiva”, per dirla con Treccani. A raccontare il mecenatismo tra passato e presente (e futuro, perché no) è Bianca Pedace: storica dell’arte, curatrice ed estetologa. Dopo la laurea all’Università di Perugia, si specializza e consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’arte con Enrico Crispolti.
Oggi è docente di Estetica presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Attualmente in corso a sua cura la mostra Open. Claudio Verna, presso la Stazione di Posta a San Gemini.
Quale è stato il ruolo del mecenatismo nel corso dei secoli?
«Per comprendere il ruolo del mecenatismo nel corso dei secoli ci aiuta la storia delle parole: il termine è nato, per antonomasia, dal nome di Mecenate, fido consigliere e “ministro della cultura” ante litteram di Augusto. Il mecenatismo dunque storicamente reca, anche sulla base del gusto personale e della raffinatezza, un’efficace promozione delle arti e della cultura, di solito congiunta, o inquadrata, in un contesto e in un disegno, in senso lato, politici, di autorappresentazione o autopromozione, talvolta anche in dimensione internazionale e dunque geopolitica. Va sottolineato che negli ultimi decenni le figure dei mecenati sono state spesso oggetto di specifici studi storico-artistici; del resto, alcune posizioni teoriche riconoscono all’intero sistema dell’arte, con tutti i suoi attori, un ruolo fondamentale nei processi creativi. In questa chiave, il mecenate è un comprimario di grande importanza».
Chi sono i mecenati oggi?
«Oggi ci sono diverse figure di mecenati, sebbene i fasti del passato, penso ad esempio al Rinascimento, siano quasi ineguagliabili. Abbiamo, ad esempio, il mecenatismo delle fondazioni, alcune dedicate all’arte, che commissionano opere o promuovono esposizioni, contribuendo in modo determinante allo sviluppo del dibattito. Potremmo citare, per la coerenza nell’impegno, la Fondazione Brunello e Federica Cucinelli o la Fondazione Prada. Oppure curano l’eredità scientifica di un protagonista, come la Fondazione Lucio Fontana e la Fondazione Burri. Talvolta assumono un ruolo di mecenate anche alcuni collezionisti – la differenza tra le due figure è sottile ma dirimente: il collezionista entra in gioco a cose fatte, recependo e acquisendo ciò che l’artista ha realizzato, il mecenate invece ha un ruolo propositivo e proattivo anche a monte della stessa operazione creativa (per queste ragioni, Duchamp, in una celebre conferenza tenuta a New York, liquidò, relegandola al passato, la figura del mecenate). Abbiamo poi il mecenatismo pubblico, che si dipana in molte forme: da quello statale (ad esempio: quando si costruisce un edificio di destinazione pubblica una piccola parte del budget è per legge destinata alle opere d’arte, solitamente scelte per concorso) a quello civico, con commissioni per gli spazi pubblici delle città. Infine abbiamo un mecenatismo legato ad associazioni o iniziative di cittadini, di vario genere. Un fenomeno di lungo periodo: dalle opere rinascimentali commissionate da associazioni di privati, di solito di matrice religiosa alle forme di sottoscrizione popolare e a quelle recenti di crowdfunding. Una storia nella storia si potrebbe tracciare riferendosi a peculiari forme di mecenatismo che finanziano i premi o le residenze artistiche, ultimamente, per fortuna, ritornate in auge. Il Prix de Rome, l’Accademia tedesca di Villa Massimo, l’American Academy , solo a Roma. Si potrebbero citare tra le esperienze recenti, le residenze del parco Carta volute da Rubbettino in Calabria».
Che cosa spinge un imprenditore a diventare mecenate?
«Credo si intreccino istanze diverse, rispetto alle quali si dovrà distinguere una semplice sponsorizzazione rispetto a una azione di mecenatismo, che è complessiva e organica. Prima di tutto, si riscontra l’amore per l’arte, che è ovviamente un motore dell’intera vicenda. A ciò si aggiungono spesso considerazioni legate per un verso alla responsabilità sociale dell’impresa – anche nei confronti del territorio o dei territori in cui opera o a cui si rivolge in termini di mercato – e per altro verso alla promozione di un’immagine positiva dell’azienda o dell’imprenditore/imprenditrice o alla complessiva costruzione e consolidamento di un brand. Elementi che rendono opportune e proficue le operazioni di mecenatismo. Talvolta, è presente un ritorno economico diretto; più di frequente, indiretto. In alcuni Paesi tale prassi è incoraggiata dagli incentivi fiscali. Non da ultimo, c’è l’intento di lasciare un segno, anche alle future generazioni».
Qual è il ruolo della banche?
«L’esempio insuperato del mecenatismo mediceo dice già tutto. Mutatis mutandis, anche oggi il ruolo delle banche, con rinnovato fervore negli ultimi anni, è fondamentale. Numerose sono le banche che hanno costituito una apposita collezione, talvolta aprendone le porte al pubblico per qualche tempo o con esposizioni permanenti. È anche il caso delle Gallerie d’Italia, create da Intesa Sanpaolo a Milano, Napoli, Torino e Vicenza. Oppure del Museo di Palazzo Baldeschi, a Perugia, voluto dalla Fondazione CariPerugia Arte, in parte derivante dalla collezione di Alessandro Marabottini, grande storico dell’arte di cui sono stata a suo tempo allieva. Va infatti sottolineato l’apporto delle fondazioni bancarie. Importanti sono anche i bandi e i premi volti a stimolare studi e ricerche, che incrementano le conoscenze e la loro disseminazione – anche questa è una forma di mecenatismo. Infine, moltissime mostre realizzate in Italia non sarebbero possibili senza le sponsorizzazioni bancarie, che costituiscono un ulteriore capitolo della storia del mecenatismo».
La crisi economica sta incidendo sul mecenatismo?
«Una battuta d’arresto si è registrata dopo la grande crisi del 2008, sia per ragioni strettamente economiche e finanziarie sia per ragioni d’immagine. In anni più recenti la situazione si è assestata, migliorando decisamente. Tuttavia, la pandemia, con il lockdown e le restrizioni, ha colpito particolarmente a lungo i musei, le mostre e il settore dell’arte, vanificando molte occasioni di mecenatismo. Oggi le preoccupazioni per il futuro dovute anche alla guerra sono forti. Spero e credo, tuttavia, che il processo positivo che si è innescato non si fermerà. La delicatezza dei meccanismi di economia dell’arte e della cultura merita di essere protetta e accortamente pensata e agita. Sul piano strettamente economico, peraltro, l’arte può essere anche una eccellente forma di investimento».
La figura di Raffaele Mattioli, il banchiere umanista resta un esempio…
«Mi pare sia pertinente citare questa figura proprio per l’organica azione di promozione umana che ha esercitato. Il ruolo da lui giocato nella costruzione del panorama bancario e delle relazioni economiche internazionali è ben noto. Ma negli ultimi anni è stata anche chiarita la sua azione di finanziatore e mecenate, anche a titolo privato, di molte iniziative letterarie, a partire dalla rivista «La Cultura» fino alla curatela degli scritti per celebrare gli ottant’anni di Benedetto Croce. Vorrei in particolare ricordare il suo diretto intervento come editore e la sua veste di promotore della collezione di arte contemporanea del Comit che è stata portata avanti dai suoi collaboratori e successori ed è oggi confluita nel Cantiere del ‘900. Opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo, ordinate da Francesco Tedeschi, per la sede milanese delle Gallerie d’Italia».
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