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Julius Evola, "Five o' clock tea", 1917-1918, Fondazione Brescia Musei (foto dal sito www.mart.tn.it)

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TRA le mostre da non perdere, di cui mi sono occupato con convinzione, nel generale silenzio imposto da pregiudizi e ideologie, vi è certamente quella di Julius Evola, demonizzato per il suo pensiero ma pittore di straordinaria intelligenza tra 1915 e 1921 a fianco dei futuristi ma nella direzione di una pittura astratta che lo assimila per rigore della ricerca a Kandinsky.

Per entrambi, lo spirituale dell’arte coincide con l’astrattismo in un percorso quasi mistico che va da Mondrean a Rotcko. Il medesimo rigore, troviamo in Evola, che è stato sottostimato fino a tempi recenti prima che la sua pressoché intera opera fosse presentata al Mart di Rovereto con l’attenta cura di Giorgio Calcara e di Guido Andrea Pautasso e l’impegno di Beatrice Avanzi.

Evola si muove non diversamente da Fortunato De Pero nei tempi e nei modi dell’avanguardia futurista italiana, ma la sua attitudine filosofica e la sua ricerca puramente intellettuale lo rendevano estraneo all’esibizionismo futurista, tanto da fargli dire: “Non tardai però a riconoscere che, a parte il lato rivoluzionario, l’orientamento del futurismo si accordava assai poco con le mie inclinazioni. In esso mi infastidiva il sensualismo, la mancanza di interiorità, tutto il lato chiassoso e esibizionistico, una grezza esaltazione della vita e dell’istinto […]”.

È un passaggio importante della sua autonoma libertà creativa, che confina con una altissima dignità morale, incompresa e vituperata. Oggi appare incontestabile la forza creativa e originale di Evola,nel tempo limitatissimo della sua produzione pittorica ,tra 1913 e 1921, quando “andò oltre” ,per dedicarsi ad altri settori della cultura come l’esoterismo, le tradizioni, le analisi dei simboli, la storia delle religioni.

Negli anni buoni, in rapporto con Tristan Tzara, Evola fu il più importante esponente italiano del dadaismo. Proprio a Tzara scrive il 3 gennaio 1920 :”aderisco con entusiasmo al vostro movimento al quale senza saperlo mi ero avvicinato già da tempo in tutte le mie opere; e che dichiaro essere il più importante e il più profondamente originale che sia comparso fino ad oggi nell’arte”. Qualche mese dopo , il 17 marzo, puntualizza: “trovo molto naturale la nostra rottura con i cubisti : in quanto non so in che cosa avrebbero potuto avvicinarsi al vero spirito del movimento”.

Nel marzo del ‘21 sarà ancora più esplicito: “non avevo mai trovato, in tutta la mia esperienza culturale, cose che sentissi come le vostre , e vi sarò sempre grato per il senso di interiorità e di astrazione che molte delle vostre poesie hanno alimentato in me”. Nell’epistolario con Tzara si apprezza anche la dimensione internazionale della ricerca di Evola, che ha rapporti diretti con Christian Schad, con Blaise Cendrars, con Jean Arp, in un contesto di relazioni con Jean Cocteau, Marcel Duchamp, Max Ernst, Benjamin Péret, Man Ray, Pierre Reverdy, Kurt Schwitters, Edgar Varèse.

Nella mostra del Mart, la più importante e ricca fin qui realizzata, si conferma la grande tensione interiore di Evola che prende le distanze dall’originaria esperienza futurista ,nella scia di Balla, perché rappresenta “una sorta di dinamismo su base essenzialmente sensoriale , una sorta di slancio vitale del tutto sprovvisto di una dimensione interiore”. La sua ricerca può essere intesa come “astrattismo mistico”, concetto pertinente con l’opera.

Certamente Evola è uno dei più notevoli esponenti dell’arte astratta. E non poteva che interpretarla come una esperienza mistica e iniziatica se, nel 1925, nel saggio “Sul significato dell’arte modernissima”, osservava: “il capolavoro dell’arte moderna sta altrove, non nella produzione di un’opera perfetta, organizzata e compiuta, bensì nella realizzazione di un nuovo modo di vivere la funzione estetica… rispetto alla quale realizzazione ciò che viene prodotto rappresenta un momento secondario trascurabile”. Infatti si consuma fino a evaporare, o a trasformarsi da arte implicata a arte applicata, ponendosi al servizio della pubblicità, come farà, proprio in quegli anni, Fortunato Depero.

Con Evola finisce una concezione filosofica e spirituale dell’arte. In lui è possibile avvertire, nel breve tempo della sua produzione esplicita, una veritiera affinità con Kandinsky, confermando le intuizioni di Crispolti. Del resto Evola nel Dadaismo aveva riconosciuto l’anticipazione di un “ulteriore processo”, portato però “nell’ordine delle potenze non del mondo ideale, sibbene di quello reale. Così l’arte pura può dirsi il preludio della magia”, e “tutto quel che è umano e pratico, può essere superato”.

Evola annuncia il suo “suicidio artistico”, avvenuto nel 1922. Quello che farà dopo esce dai confini dell’arte figurativa, ed è la drammatica e titanica testimonianza di un sopravvissuto. Antagonista del mondo moderno, che lui stesso aveva contribuito a far nascere, rovesciando nel suo il destino di Kandinskij.


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