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Un particolare del Polittico di Butinone e Zenale

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TRA LE meraviglie della pittura del Quattrocento in Lombardia, nel cuore di quella che Roberto Longhi chiamava la Padanìa, c’è il grande polittico di Butinone e Zenale per la chiesa di San Martino a Treviglio. Una vera e propria macchina teatrale, concepito da una mente che elabora tutte le più innovative e prospettiche invenzioni del suo tempo.

L’effetto finale è un tempio, maestoso e solenne, che ospita una cerimonia solenne, un corteo di santi solenni in preghiera, sopra e sotto, ai lati della vergine, mentre il cavaliere Martino è in azione, non in contemplazione, per soccorrere cristianamente il povero ignudo, nel gesto più semplice e universale di umanità e di assistenza.

Lo spettacolo è iniziato: si solleva il sipario e ognuno è al suo posto. Noi siamo gli attoniti spettatori. E non finiremo la meraviglia. E’ il più grande spettacolo del secolo. Premesso come indubbio che la primitiva formazione del Butinone si verificò sui testi dell’arte padovana squarcionesca e sui grandi modelli della pittura ferrarese, è per lo meno ragionevole supporre che essa fu favorita da una speciale inclinazione di temperamento al punto che l’artista, “da buon squarcionesco, riuscì talora più ferrarese dei ferraresi” (Longhi). Quanto però alle circostanze e alle occasioni che determinarono una così profonda assimilazione stilistica e poetica – rimasta fondamentale anche dopo la ricezione di altre nozioni culturali e il relativo mitigarsi dei modi primitivi – va detto che nessun documento esiste circa una presenza di Butinone a Padova o a Ferrara né circa eventuali contatti diretti; contatti che è necessario postulare poiché non sembrano sufficienti le pur note vicende di svariati rapporti e scambi intercorsi tra quei centri e la capitale del ducato sforzesco, che generarono, verso il ’70, un moto di assimilazione tutt’altro che marginale da parte di molti artisti lombardi ed il cui vertice è ravvisato nello stilismo scheggiato e patetico della scultura dei Mantegazza.

Il polittico sensazionale, pittura e architettura insieme, è uscito dalla mente fervida di due artisti, Bernardino Butinone e Bernardo Zenale. I due lavorano anche in San Pietro in Gessate, a Milano, per gli affreschi della Cappella Griffi. Temperamenti dissimili, complementari, guidati da una visione comune, di grande efficacia teatrale. Eppure entrambi sono pittori puri. In particolare Bernardino, educato a uno sperimentalismo fantastico che viene indubitabilmente dai pittori ferraresi, dal Mantegna e forse da un passaggio a Padova, ancora viva del grande dibattito sull’arte contemporanea.

Butinone si affianca a Vincenzo Foppa, e ha una fantasia degna di Crivelli e di Cosmè Tura. Lo si vede già nella “Crocifissione” della Galleria Nazionale di Palazzo Barberini, dove accentua l’espressionismo di Mantegna. Nella sua prima opera conosciuta, il trittico del Carmine, ora a Brera, egli mostra di avere assimilato anche certi caratteri della scultura contemporanea, del Mantegazza, dell ‘Amadeo. A Treviglio, Butinone vuole sorprendere, mostrare di essere architetto, scultore e pittore. Nessuno, in tutto il Quattrocento, ha concepito un’ opera così complessa. E le premesse sembravano confinare questo artista nell’ambito della miniatura, naturalmente capricciosa, fantasiosa, onirica.

Nel polittico di Treviglio, come per contenere la fantasia sulfurea del collega, il più sobrio e concreto Zenale prepara la cornice architettonica.  Una grande architettura, un meraviglioso teatro con le sante e i santi affacciati al balcone, come non si sarebbe piu visto fino a Manet, per una elegantissima prima con la Madonna nel palco presidenziale. Si rappresenta il miracolo di San Martino, con il concorso di altri santi infilati sotto gli archi delle logge. C’e spazio per tutto: per l’ oro e per il paesaggio, per i Padri della Chiesa e le storie di Cristo, dalla nascita alla crocifissione alla resurrezione. L’obiettivo di Butinone, con l’amico Zenale, è competere con Mantegna, andare oltre la pala di San Zeno, tenere insieme pittura, scultura e architettura, in uno spettacolo mai visto prima. San Martino è un vero cavaliere e le sante sono dame di corte, e il povero è magro, privo di tutto, nudo. Butinone e Zenale sono indifferenti al richiamo edificante, alla forza dell’esempio evocato dal gesto del santo. Vogliono stupire.

II loro smisurato polittico non emana solo luce, manda suoni, è stereofonico, come un organo che diffonde musica nella chiesa. Tutti gli altri sensi sono presi, oltre ogni umano limite. In tutto il nord Italia non c’è un’opera mobile più grandiosa è importante. Essa è oltre la realtà. E non è un sogno.


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Alessandro Chiappetta

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