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Felice Casorati, “Meriggio” (1922), Museo Revoltella, Trieste

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Un quadro sorprendente è al museo Revoltella di Trieste, “Meriggio” di Felice Casorati. Dipinto nel 1922, subito prima che Margherita Sarfatti desse origine al gruppo di “Novecento”.

E serenamente dominante nella sala in cui si sfidano il “Pastore” di Sironi, i “Guerrieri” di Savinio, i “Gladiatori” di De Chirico, la “Donna al mare” di Carrà, una testa di bronzo potente di Francesco Messina. Eppure quel mondo gira intorno a questo quadro di Casorati che lo domina, che pretende tutti i nostri sguardi. Non ce ne è per nessuno.

Susanna Gregorio dei musei civici lo dice “senza dubbio l’opera più importante delle raccolte d’arte novecentesche del museo Revoltella”. L’atmosfera, pur con la presenza di tre donne ignude, è la stessa delle opere metafisiche di Giorgio Morandi.

E tanto meglio se due di loro non si siano ribellate alla esibizione di nudi plastici come di vetro o pietre dure, più nature morte che corpi. Nella statuaria immobilità, il soggetto è, quant’altri mai, scandaloso e profano. Silenziosamente insinuante. Altro che meriggio!

Si tratta dello sfinimento o della pausa di riposo in una casa di appuntamenti, in attesa del prossimo turno di clienti. Un postribolo, pulito, ordinato, illuminato bene. Le forme levigate e i nudi composti allontanano l’idea dell’orgia o della vendita dei corpi. L’atmosfera metafisica prevale sull’idea del commercio fisico.

Ma Casorati, pur nella apparente impassibilità, si vuole divertire. E introduce elementi di disturbo, come indizi, per farci capire la singolarità della situazione e il suo scandalo.

Guardavo il dipinto qualche giorno fa, con l’assessore alla cultura del comune di Trieste Giorgio Rossi, un signore ironico e all’antica, che manifestava il suo consenso e ammirava la composizione per la sua pulizia formale, il suo classicismo, anche il suo mistero nel rapporto fra le figure silenti, senza aver mai osservato che nello spazio di quell’appartamento, tra le due donne ignude e distese, e la terza seduta di spalle, tutte indifferenti e incomunicanti, vi era una inquietante, imbarazzante, impertinente, ma inequivocabile presenza: un prete, un monsignore, addirittura un vescovo, ritirato in una stanza riservata per atti innominabili con una quarta ragazza invisibile, ma denunciato dal cappello nero e dalle morbide pantofole rosse. È lui il protagonista assente.

Ironia, divertimento, denuncia, scandalo, tutto certamente contribuì alla leggenda del dipinto, alla sua notorietà sulla soglia di “Novecento” e “Valori plastici.

Sulla nitidezza dell’immagine e del suo messaggio, nessun dubbio: “monsignore al casino”.

Soluzione del rebus.


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