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L’indicatore di gravità di un fenomeno sale a seconda di quanto tempestivamente esso viene tradotto in inglese: un principio che potrebbe essere considerato come una nuova legge della fisica, tanto sta diventando attendibile. Uno dei motivi che scatenano quotidianamente la guerra dell’idioma, in virtù della quale consideriamo un evento più o meno grave rispetto a quando si definiva solo in italiano, è il catcalling.
Se non lo avete mai sentito nominare, non è comunque detto che non lo abbiate fatto o ricevuto: si definisce “catcalling” il comportamento di un uomo o di un gruppo di uomini che richiama insistentemente l’attenzione di una donna che passa per strada con fischi, complimenti e osservazioni.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, non ha nulla a che fare con i gatti. “Catcalling” è un’espressione che viene dal settore degli spettacoli: già nel Settecento indicava l’atteggiamento di fischiare o fare apprezzamenti poco graditi agli artisti la cui performance non era stata giudicata piacevole.
Il catcalling pareva congelato nei meandri della voce “approccio” di qualsiasi dizionario di italiano, finché non è intervenuta a gamba tesa la lingua inglese a decrittarlo come comportamento molesto: è molto più facile sentire una ragazza dire che ha “ricevuto catcalling” piuttosto che sentirla dire che è stata importunata per strada. Un po’ come se gli anglosassoni avessero il potere di settorizzare i comportamenti umani e dividerli in accettabili e non accettabili. Ma com’è evoluta davvero la questione catcalling, che oggi infiamma le opinioni di tutto il mondo?
Per qualcuno, anche se ha cambiato nome, il catcalling resta comunque un blando complimento fatto per strada. Per qualcun altro è sempre stato una molestia, per altri ed altre ancora è un comportamento che ha subìto profonde distorsioni nel corso del tempo. Proprio per questo motivo la domanda è: ha iniziato a diventare grave solo quando si è trasformato in una definizione inglese? Ci siamo accorti solo adesso di quanto fosse sgradevole anche quando ci si sedeva sui muretti fuori scuola, dagli anni Cinquanta in poi?
Di sicuro, il contesto fa molto: in un momento storico che è riuscito a racchiudere contemporaneamente il movimento #MeToo, lanciato dalle attrici americane vittime di violenza e molestie dopo lo scoppio del caso Weinstein, una sempre crescente curva di femminicidi e una forbice di gender pay gap (pardon: una differenza salariale tra uomo e donna) sempre più larga, è stato istintivo includere anche il catcalling tra le attenzioni sgradite verso una donna.
Il catcalling fa paura? Potremmo definire la questione soggettiva. Probabilmente non è la battuta in sé a intimorire, ma la prospettiva in cui potrebbe degenerare la situazione dopo quella battuta: non è tanto il complimento non gradito, ma il modo in cui viene espresso, la pesantezza delle parole ricevute, le volgarità, che finiscono con l’intimorire e col far rivisitare velocemente il proprio guardaroba. La regola, insomma, diventa una consuetudine silente tra le donne: con la gonna si sentono carine, ma con i jeans si sentono al sicuro. Spesso neanche del tutto.
Se è vero che al fischio e al complimento sgradito e volgare si può rispondere a tono o li si può ignorare, è anche tristemente vero che in entrambi i casi capita che la situazione si evolva in sfavore della vittima.
Ti fischio e mi ignori? Ti seguo finché non mi dai retta. Ti fischio e ti rivolgi male? Se sono da solo, mi mostro infastidito dalla tua risposta scortese; se sono in gruppo, faccio branco e ti accerchio.
No, non è una versione antipatica della tenera storia di due giovani innamorati che grazie a questo approccio singolare si scoprono innamorati e stanno insieme per tutta la vita. Ci sono stati tempi in cui il catcalling restava nell’angolo, depotenziato, praticamente ancillare e inoffensivo rispetto al desolante panorama sociale e normativo in cui una donna era solita vivere: tanto per fare un esempio, il delitto d’onore venne abolito solo nel 1981.
Poteva mai il catcalling – allora definito semplicemente “corteggiamento” – rappresentare una minaccia per l’incolumità e la sicurezza della donna?
Alberto Sordi in “Ladro lui, ladra lei”, pellicola del 1958, era riuscito a fare dell’odierno catcalling perfino un siparietto curioso che sosteneva la trama: Cesira, bellissima ragazza legata al truffatore Cencio, era la destinataria della famosa espressione “ah fataaa!”, urlata da due ragazzi che a bordo di una Vespa (nomen omen) le ronzavano intorno. Un episodio passato praticamente inosservato all’epoca, ma guardato con occhi diversi oggi.
E proprio tornando a oggi non possiamo fare a meno di chiederci: si può davvero biasimare una ragazza che si sente violata nel ricevere un complimento sgradito per strada, se uscendo di casa quella stessa mattina ha letto sul suo smartphone notizie come quella di Sarah Everard, rapita e uccisa la sera del 3 marzo scorso in Inghilterra, mentre tornava a casa da lavoro?
La verità è che là dove non si può controllare un atteggiamento, si cerca di contenerlo per prevenire una deriva che purtroppo, allo stato dei fatti, è sempre più frequente nelle cronache. Sono ancora tante le persone che minimizzano il catcalling, probabilmente perché il comportamento in sé potrebbe anche passare inosservato, se non fosse che nove volte su dieci il complimento finisce per diventare un insulto o un fastidio protratto per tutta la strada di ritorno verso casa.
E quando l’empatia in sé non basta, si punta all’immedesimazione di chi viene molestato per strada: “tutti bravi finché non lo fanno a tua figlia o a tua nipote dodicenne”, dicono. E probabilmente non hanno tutti i torti.
Ma c’è anche un altro aspetto da considerare, ed è la scala di colori del catcalling. La sua gradualità ci fa comprendere quanto sia soggettivo un atteggiamento insistente subìto per strada: ci sono donne e ragazze più fragili per le quali un “che ti farei” urlato per strada rappresenta un motivo di turbamento; in molte altre, che forse hanno fatto più facilmente il callo a questo copione, il disagio può non essere così evidente. Questo però non basta a definire il catcalling come comportamento innocuo: viviamo in una società che impara a stento che ciò che ferisce uno, può ferire tutti.
Non è detto che il cafone che fischia sia pericoloso a priori, ma la fisica ci insegna anche che nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. E a volte, quando quella trasformazione rischia di diventare pericolosa, è meglio farsi trovare pronti.
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